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Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al
ministero delle infrastrutture i testi dei contratti di concessione
autostradale. Sembrava una richiesta di routine, e invece i funzionari
ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati
delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati.
Nemmeno all’organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del
tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della
creazione dell’Autorità. L’Aiscat, l’associazione dei gestori, era
riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri:
contrariamente a quello che accade in altri paesi, l’Autorità deve
ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco
in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di
Autostrade. Non meraviglia dunque che “Phastidio”,
il sito dell’economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni
«un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In
questo caso, però, a essere protetta non è la collettività, ma le
società che incassano i pedaggi.
Il muro di gomma ha fino ad ora sempre tenuto, sventando ogni pericolo;
l’esempio più recente risale all’inizio di quest’anno: mantenendo
all’apparenza le ripetute promesse di trasparenza, Graziano Delrio,
ministro dei trasporti del governo Gentiloni, ha
fatto pubblicare su Internet i testi incriminati. Peccato però che
siano state escluse le parti più importanti, quelle davvero utili per
farsi un’idea della sensatezza economica degli accordi. Le concessioni,
in tutto una ventina o poco più, sono i contratti con cui lo Stato
(attraverso il ministero delle infrastrutture) affida a una società la
gestione di un tronco autostradale, i rispettivi obblighi e diritti, i
ricavi che l’operatore privato ne potrà trarre e gli investimenti a cui
si impegna. Nella maggior parte dei casi risalgono alla fine degli anni
Novanta, il periodo delle grandi privatizzazioni. Quella di Autostrade
per l’Italia, siglata nel 1997, scadeva nel 2038; ma di recente, in
cambio dei lavori sulla nuova super-tangenziale di Genova, la cosiddetta
Gronda, è stata prorogata al 2042.
Proprio le proroghe sono uno dei tasti più delicati. La legge europea
prevede che, una volta scadute, le convenzioni vengano messe a gara,
nel nome di una sana competizione. Peccato che in Italia non succeda
praticamente mai. Il cavallo di Troia sono di solito i nuovi
investimenti: il gestore si impegna a costruire un nuovo tronco, una
terza (o quarta) corsia, opere considerate indispensabili, e come
remunerazione finisce con l’ottenere dal governo un aumento dei pedaggi o
una proroga del contratto (talvolta entrambi). Spesso, tra l’altro,
l’investimento provoca un aumento del traffico e il gestore ci guadagna
due volte. Atlantia
dei Benetton (con Autostrade primo gestore italiano) o il gruppo Gavio
(secondo) hanno un altro vantaggio: possiedono delle società di
costruzioni interne a cui, almeno in parte, affidano i lavori. L’incasso
tende così a triplicarsi.
Uno dei dominus del sistema è Fabrizio Palenzona, tra i più formidabili uomini di potere
dell’Italia degli ultimi decenni. Ai tempi della Prima Repubblica era
già un democristiano in carriera (è stato sindaco di Tortona e
presidente della provincia di Alessandria). Poi è diventato banchiere
(vicepresidente di Unicredit) e proconsole dei Benetton nel settore
infrastrutture. In questa veste è presidente di Aiscat (come detto
l’associazione dei gestori autostradali) e di Assoaeroporti (i Benetton
controllano lo scalo di Fiumicino). La famiglia di Ponzano Veneto, oggi
in difficoltà di fronte all’accanita competizione nel settore dei
maglioncini (dove da anni perde soldi) è entrata nel più redditizio
comparto dei servizi in concessione già dalla prima privatizzazione nel
1998. Più o meno nello stesso periodo sono entrati i Gavio. Le società
della famiglia di Tortona sono state coinvolte qualche anno fa in una
grottesca vicenda che rende bene la scarsa trasparenza del settore. La
cosiddetta legge sblocca-Italia del 2015 prevedeva a loro vantaggio la
solita proroga (con relativi incassi) in cambio di lavori per 10
miliardi. Arrivata a Bruxelles la norma fu bocciata tra mille imbarazzi: i «nuovi» lavori, dissero i funzionari Ue, sono gli stessi che ci avete presentato negli anni precedenti. Quante volte volete farveli pagare?
(Angelo Allegri, “L’indecente segreto di Stato sui contratti di concessione”, dal “Giornale” del 17 agosto 2018).
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venerdì 17 agosto 2018
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