mercoledì 22 agosto 2018

Aretha Franklin, l’onda lunga del “field holler”



 contropiano
Gran parte della generazione nata nel primo decennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale, non può non trovare nel ricordo della morte di Aretha Franklin la storia e la forte e potente presenza di movimenti etici nella musica e nello spettacolo.
Si tratta di movimenti nei quali agivano con forza, determinazione e potenza comunicativa: band musicali e cantanti-cantautori-cantautrici, e contemporaneamente anche nel campo del cinema, del teatro, si è avuto e prodotto tutto ciò che sono stati capaci di esprimere, raffigurare o rappresentare in quella “torsione” etica, culturale e sociale che si esprimeva con materiali o strumenti che quella fase sociale, storica e contestativa, metteva a loro disposizione, uso e consumo.

In questo variopinto mondo caratterizzato dalla presenza di movimenti con caratteristiche “globali” (anticipandone – forse – perfino i contenuti “merceologici-mercantili”) spiccavano varie soggettività e personaggi differenti tra di loro ma efficaci – in parte ma non solo – musicalmente prima e “socialmente” poi.
In ciò ha spiccato, tra gli altri, il ruolo e la funzione che veniva espressa da personaggi come Aretha Franklin, la quale ebbe anche il coraggio di esprimersi – prima con la sua straordinaria capacità e bravura vocale e musicale, poi con scelte di natura etico-sociale che l’accompagnava prendendo spunto dai duri conflitti presenti nella società statunitense, in particolare le rivolte (i riot) dei “ghetti” neri contro la ferocia razzista delle autorità, della polizia e di pezzi di società statunitensi, le quali intervenivano sempre con maggiore violenza e brutalità contro i neri (i nigger) nei ghetti in rivolta.
E’ il caso della sua bellissima canzone “Respect”, nella quale invocava e reclamava rispetto per la gente di “colore”, per la sua gente.
La soggettività di Aretha Franklin – non solo la sua – nel campo musicale é coincisa indubbiamento con quel sommovimento sociale antirazzista, etico, morale e politico.
Con ciò mi convinco sempre più come la scomparsa di Aretha Franklin, oltre a provocare tristezza e dolore ai molti appassionati di musica e di vita sociale, può tornare anche utile, o quantomeno fornire l’occasione per una migliore lettura, di cosa ha significato e quale sia stata l’influenza sociale, politica e culturale che la presenza di simili personaggi, culture e movimenti nati nelle contraddizioni – soprattutto “razziali” – che riempivano allora, e ancora oggi, intere parti e settori delle società statunitensi o europee – ebbero nella critica verso forme razziste e di rifiuto di un’integrazione sociale malata alla base delle rivolte (riots) che riguardavano allora gran parte del territorio metropolitano statunitense.
In ciò può anche tornare utile una comparazione tra gli sviluppi e le pratiche che alcune presenze ebbero nello svolgere o sviluppare funzioni, ruoli con caratteristiche alternative e antagoniste all’omologazione passiva del senso comune (normalizzazione delle coscienze e dei saperi critici) di molte generazioni schiacciate da un dominio economico, culturale, repressivo e poliziesco. Una funzione oggi descritta come governamentalismo!
Fare il punto su questo usando come “lente di lettura” l’eredità che una artista come Aretha Franklin – non solo lei – ha lasciato come riflessione, insegnamento e testimonianza sociale ed etica è un’orizzonte tutto da indagare e riscoprire.
Tantissimi gruppi, cantanti/e diedero corpo materialità e sonorità a quel percorso tracciato dall‘esperienza del movimento afroamericano di protesta politica e sociale.
Movimento poi caratterizzato oltre che da esperienze politiche – come il Black Panther Party – anche da prodotti musicali e culturali di respiro ampio e strategico.
A tale movimento parteciparono in vario modo, titolo e partecipazione esponenti della cultura statunitense. Aretha Franklin, dedicò una sua canzone alla vicenda del carcere di Attica nel quale vennero uccise decine di prigionieri, sullo stesso tema Archie Sheep fece “Attica Blues”. Ma la stessa Aretha Franklin, coraggiosamente, contro tutte le pressioni ricevute dalle istituzioni statunitensi, si offrì di pagare di tasca sua la cauzione per la liberazione di Angela Davis militante ed esponente nera dell’American Comunist Party. 1
Le presenze di queste personalità – da Aretha Franklin a LeRoi Jones (Amiri Baraka) poeta e scrittore di ampio successo – furono caratterizzate da una forte componente di critica sociale e politica al razzismo feroce imperante negli USA di allora e che sta riprendendo vigore e potere con l’avvento di Donald Trump.
In questo la sua scomparsa può quindi ben rappresentare – oltre all’apparire di orizzonti con segnali molto ambigui, diversi, pericolosi e degradanti dal punto di vista etico, morale o sociale – un esaurimento di quel filone culturale della black music e del black soul che monopolizzò l’intero ambiente musicale dagli anni ‘60/’70 in poi.
In quella fase storica, culturale musicale e sociale, caratterizzata da presenze femminili, non si può tacere del ruolo che ebbe anche un’altra grande artista come Nina Simone, la quale fu probabilmente l’esponente con caratteristiche più politiche del movimento del black power e del black soul jazz.
Per una colllocazione migliore e più specifica del ruolo e della funzione di Aretha Franklin e di altri rappresentanti di quella cultura musicale e non solo, dobbiamo riferirci sicuramente anche a specifici fenomeni che caratterizzarono quella stagione con caratteristiche molto politicizzate, sociali e antirazziste.
Su tutte agì sicuramente il movimento politico che prese il suo nome da un animale che meglio poteva rappresentarne la sua origine cioè: la “pantera” (Black Panthers Party). Questa esperienza (principalmente e in pratica politica e sociale) agì per costruire un ipotetico, per quanto difficile e illusorio “Potere Nero” (Black Power) ma mise in evidenza anche un “orgoglio nero” il quale fu presente negli Stati Uniti dalla seconda metà degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’80, definendo tra altre cose la propria identità musicale intorno a due personaggi come James Brown e Nina Simone!
«Say it loud, I’m black and I’m proud» (“Dillo forte, sono nero e sono orgoglioso”) questo è il passaggio una strofa di una canzone di James Brown, molto famosa e di ampia diffusione, che presto divenne l’inno per il “Black Power Movement”.
Il Black Power ha inciso profondamente la società statunitense, sia a livello politico sia nella dimensione socio-culturale. La musica occupa un posto di rilievo e figure come Nina Simone e James Brown ne sono senza dubbio un’ottima testimonianza.
Questi movimenti sono stati tutti caratterizzati dalla originaria musica “gospel” tipica espressione di critica sociale che gli “schiavi” addetti alla raccolta del cotone usavano per esprimere le loro critiche agli schiavisti e al potere allora dominante. In questo territorio ebbe poi vita e sviluppo l’intera dinamica culturale e musicale nella quale, ebbe grande popolarità anche quel tipo di blues d’inizio secolo. Trasformandosi poi con una sua forma secolarizzata in Rhythm and blues (chiamata anche Soul music) in spiccarono ulteriori interpreti e personaggi non solo femminili come Aretha Franklin o Nina Simone oppure Diana Ross; Dionne Warwich oltre a personaggi come Ben E. King; Sam Cooke; Otis Redding.
Nei nostri tempi la forma espressiva musicale sia critica sia di denuncia sociale ha avuto una sua radicale trasformazione ed ampia diffusione con il rap! Fenomeno e pratica musicale nella quale la maggiore espressione comunicativa proviene direttamente dai precedenti movimenti di black music e soul.
Tra i neri afroamericani la musica Soul con canzoni intelligenti e filosofiche rivoluzionò i messaggi in essa contenuti dei quali Aretha Franklin ne fu interprete e propagandista. Ecco perché la sua “scomparsa” può caratterizzare anche la perdita di “innocenza” che gran parte del popolo statunitense crede ancora di conservare.
L’importanza che tutta questa vicenda presenta sia nella scena sociale e culturale sia politica negli USA è data anche dal fatto nella lista dei 50 artisti R&B più potenti di tutti i tempi presente nel panorama comunicativo, la quasi totalità dei componeti di questa lista è di origine …nera!! 2
Aggiungiamo a questo, solo per testimoniarne l’eredità e la continuità espressiva, il fenomeno rappers, o della musica trasgressiva di denuncia sociale variamente raffigurata, ha tra i suoi promotori o interpreti principali personalità come Marvin Gaye; James Brown; George Clinton (ideatore e promotore del Funk con i suoi Funkadelic).
Nei campi di raccolta del cotone (la principale attività schiavistica) era consuetudine intonare i cosidetti field holder (grido dei campi), spesso utili poiché usati per comunicare tra di loro, a volte anche con forme e contenuti codificati per nasconderne il contenuto ai padroni schiavisti!
Ciò si modificò convertendosi in “religiosità” seguendo il periodo di grande fervore religioso che coinvolse tutto il paese. In quelle occasioni erano cantati inni scritti principalmente dai pastori protestanti (infatti, il padre di Aretha era un pastore di religione battista) e fu allora che le persone di colore iniziarono a cantare questi inni alla loro maniera dando origine ai cosidetti spirituals.
Fu da queste forme musicali che nacquero il blues, il jazz e il gospel.
Aretha Franklin e altri esponenti musicali afroamericani hanno attinto a piene mani da questo retroterra e lo lo abbiamo potuto verificare ampiamente. Aretha ci mancherà.

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