contropiano
Gran
parte della generazione nata nel primo decennio successivo alla fine
del secondo conflitto mondiale, non può non trovare nel ricordo della
morte di Aretha Franklin la storia e la forte e potente presenza di
movimenti etici nella musica e nello spettacolo.
Si
tratta di movimenti nei quali agivano con forza, determinazione e
potenza comunicativa: band musicali e cantanti-cantautori-cantautrici, e
contemporaneamente anche nel campo del cinema, del teatro, si è avuto e
prodotto tutto ciò che sono stati capaci di esprimere, raffigurare o
rappresentare in quella “torsione” etica, culturale e sociale che si
esprimeva con materiali o strumenti che quella fase sociale, storica e
contestativa, metteva a loro disposizione, uso e consumo.
In
questo variopinto mondo caratterizzato dalla presenza di movimenti con
caratteristiche “globali” (anticipandone – forse – perfino i contenuti
“merceologici-mercantili”) spiccavano varie soggettività e personaggi
differenti tra di loro ma efficaci – in parte ma non solo – musicalmente
prima e “socialmente” poi.
In
ciò ha spiccato, tra gli altri, il ruolo e la funzione che veniva
espressa da personaggi come Aretha Franklin, la quale ebbe anche il
coraggio di esprimersi – prima con la sua straordinaria capacità e
bravura vocale e musicale, poi con scelte di natura etico-sociale che
l’accompagnava prendendo spunto dai duri conflitti presenti nella
società statunitense, in particolare le rivolte (i riot) dei “ghetti”
neri contro la ferocia razzista delle autorità, della polizia e di pezzi
di società statunitensi, le quali intervenivano sempre con maggiore
violenza e brutalità contro i neri (i nigger) nei ghetti in rivolta.
E’
il caso della sua bellissima canzone “Respect”, nella quale invocava e
reclamava rispetto per la gente di “colore”, per la sua gente.
La
soggettività di Aretha Franklin – non solo la sua – nel campo musicale é
coincisa indubbiamento con quel sommovimento sociale antirazzista,
etico, morale e politico.
Con
ciò mi convinco sempre più come la scomparsa di Aretha Franklin, oltre a
provocare tristezza e dolore ai molti appassionati di musica e di vita
sociale, può tornare anche utile, o quantomeno fornire l’occasione per
una migliore lettura, di cosa ha significato e quale sia stata
l’influenza sociale, politica e culturale che la presenza di simili
personaggi, culture e movimenti nati nelle contraddizioni – soprattutto
“razziali” – che riempivano allora, e ancora oggi, intere parti e
settori delle società statunitensi o europee – ebbero nella critica
verso forme razziste e di rifiuto di un’integrazione sociale malata alla
base delle rivolte (riots) che riguardavano allora gran parte del
territorio metropolitano statunitense.
In
ciò può anche tornare utile una comparazione tra gli sviluppi e le
pratiche che alcune presenze ebbero nello svolgere o sviluppare
funzioni, ruoli con caratteristiche alternative e antagoniste
all’omologazione passiva del senso comune (normalizzazione delle coscienze e dei saperi critici) di
molte generazioni schiacciate da un dominio economico, culturale,
repressivo e poliziesco. Una funzione oggi descritta come
governamentalismo!
Fare
il punto su questo usando come “lente di lettura” l’eredità che una
artista come Aretha Franklin – non solo lei – ha lasciato come
riflessione, insegnamento e testimonianza sociale ed etica è
un’orizzonte tutto da indagare e riscoprire.
Tantissimi
gruppi, cantanti/e diedero corpo materialità e sonorità a quel percorso
tracciato dall‘esperienza del movimento afroamericano di protesta
politica e sociale.
Movimento
poi caratterizzato oltre che da esperienze politiche – come il Black
Panther Party – anche da prodotti musicali e culturali di respiro ampio e
strategico.
A
tale movimento parteciparono in vario modo, titolo e partecipazione
esponenti della cultura statunitense. Aretha Franklin, dedicò una sua
canzone alla vicenda del carcere di Attica nel quale vennero uccise
decine di prigionieri, sullo stesso tema Archie Sheep fece “Attica Blues”. Ma la stessa Aretha Franklin, coraggiosamente,
contro tutte le pressioni ricevute dalle istituzioni statunitensi, si
offrì di pagare di tasca sua la cauzione per la liberazione di Angela
Davis militante ed esponente nera dell’American Comunist Party. 1
Le
presenze di queste personalità – da Aretha Franklin a LeRoi Jones
(Amiri Baraka) poeta e scrittore di ampio successo – furono
caratterizzate da una forte componente di critica sociale e politica al
razzismo feroce imperante negli USA di allora e che sta riprendendo
vigore e potere con l’avvento di Donald Trump.
In
questo la sua scomparsa può quindi ben rappresentare – oltre
all’apparire di orizzonti con segnali molto ambigui, diversi, pericolosi
e degradanti dal punto di vista etico, morale o sociale – un
esaurimento di quel filone culturale della black music e del black soul
che monopolizzò l’intero ambiente musicale dagli anni ‘60/’70 in poi.
In
quella fase storica, culturale musicale e sociale, caratterizzata da
presenze femminili, non si può tacere del ruolo che ebbe anche un’altra
grande artista come Nina Simone, la quale fu probabilmente l’esponente
con caratteristiche più politiche del movimento del black power e del
black soul jazz.
Per
una colllocazione migliore e più specifica del ruolo e della funzione
di Aretha Franklin e di altri rappresentanti di quella cultura musicale e
non solo, dobbiamo riferirci sicuramente anche a specifici fenomeni che
caratterizzarono quella stagione con caratteristiche molto
politicizzate, sociali e antirazziste.
Su
tutte agì sicuramente il movimento politico che prese il suo nome da un
animale che meglio poteva rappresentarne la sua origine cioè: la
“pantera” (Black Panthers Party). Questa esperienza (principalmente e in
pratica politica e sociale) agì per costruire un ipotetico, per quanto
difficile e illusorio “Potere Nero” (Black Power) ma mise in evidenza
anche un “orgoglio nero” il quale fu presente negli Stati Uniti dalla
seconda metà degli anni ’60 fino alla metà degli anni ’80, definendo tra
altre cose la propria identità musicale intorno a due personaggi come
James Brown e Nina Simone!
«Say
it loud, I’m black and I’m proud» (“Dillo forte, sono nero e sono
orgoglioso”) questo è il passaggio una strofa di una canzone di James
Brown, molto famosa e di ampia diffusione, che presto divenne l’inno per
il “Black Power Movement”.
Il
Black Power ha inciso profondamente la società statunitense, sia a
livello politico sia nella dimensione socio-culturale. La musica occupa
un posto di rilievo e figure come Nina Simone e James Brown ne sono
senza dubbio un’ottima testimonianza.
Questi
movimenti sono stati tutti caratterizzati dalla originaria musica
“gospel” tipica espressione di critica sociale che gli “schiavi” addetti
alla raccolta del cotone usavano per esprimere le loro critiche agli
schiavisti e al potere allora dominante. In questo territorio ebbe poi
vita e sviluppo l’intera dinamica culturale e musicale nella quale, ebbe
grande popolarità anche quel tipo di blues d’inizio secolo.
Trasformandosi poi con una sua forma secolarizzata in Rhythm and blues
(chiamata anche Soul music) in spiccarono ulteriori interpreti e
personaggi non solo femminili come Aretha Franklin o Nina Simone oppure
Diana Ross; Dionne Warwich oltre a personaggi come Ben E. King; Sam
Cooke; Otis Redding.
Nei
nostri tempi la forma espressiva musicale sia critica sia di denuncia
sociale ha avuto una sua radicale trasformazione ed ampia diffusione con
il rap! Fenomeno e pratica musicale nella quale la maggiore espressione
comunicativa proviene direttamente dai precedenti movimenti di black
music e soul.
Tra
i neri afroamericani la musica Soul con canzoni intelligenti e
filosofiche rivoluzionò i messaggi in essa contenuti dei quali Aretha
Franklin ne fu interprete e propagandista. Ecco perché la sua
“scomparsa” può caratterizzare anche la perdita di “innocenza” che gran
parte del popolo statunitense crede ancora di conservare.
L’importanza
che tutta questa vicenda presenta sia nella scena sociale e culturale
sia politica negli USA è data anche dal fatto nella lista dei 50 artisti R&B più potenti di tutti i tempi presente nel panorama comunicativo, la quasi totalità dei componeti di questa lista è di origine …nera!! 2
Aggiungiamo
a questo, solo per testimoniarne l’eredità e la continuità espressiva,
il fenomeno rappers, o della musica trasgressiva di denuncia sociale
variamente raffigurata, ha tra i suoi promotori o interpreti principali
personalità come Marvin Gaye; James Brown; George Clinton (ideatore e
promotore del Funk con i suoi Funkadelic).
Nei
campi di raccolta del cotone (la principale attività schiavistica) era
consuetudine intonare i cosidetti field holder (grido dei campi), spesso
utili poiché usati per comunicare tra di loro, a volte anche con forme e
contenuti codificati per nasconderne il contenuto ai padroni
schiavisti!
Ciò
si modificò convertendosi in “religiosità” seguendo il periodo di
grande fervore religioso che coinvolse tutto il paese. In quelle
occasioni erano cantati inni scritti principalmente dai pastori
protestanti (infatti, il padre di Aretha era un pastore di religione
battista) e fu allora che le persone di colore iniziarono a cantare
questi inni alla loro maniera dando origine ai cosidetti spirituals.
Fu da queste forme musicali che nacquero il blues, il jazz e il gospel.
Aretha
Franklin e altri esponenti musicali afroamericani hanno attinto a piene
mani da questo retroterra e lo lo abbiamo potuto verificare ampiamente.
Aretha ci mancherà.
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