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Tutti al lavoro: per legge. Lo garantisce la Costituzione. Quale?
Quella del 1948, largamente inattuata, o – meglio ancora – quella che
andrebbe in parte riscritta e aggiornata al 2017, per trasformarla in
uno strumento capace di fronteggiare la vera piaga dei nostri tempi? Il
mostro ha le sembianze della disoccupazione di massa, alimentata dal
neoliberismo sfrenato della globalizzazione più selvaggia e predatoria,
privatizzatrice. E’ la peste che ha delocalizzato il lavoro e importato
“neo-schiavi” migranti, mettendo ancora più in crisi i lavoratori europei, costretti a salari al ribasso, nell’eclissi generale dei diritti
conquistati nei decenni ruggenti del welfare e del benessere. Vogliamo
finirla con le chiacchiere e cominciare a fare sul serio? Allora bisogna
ripartire proprio da lì, dalla Carta costituzionale. Deve diventare la
norma fondamentale attorno a cui rifondare, dalle radici, la comunità
nazionale: «Si tratta di costituzionalizzare il diritto al lavoro: cioè
fare in modo che la piena occupazione sia garantita, e che quindi
nessuno abbia più, costituzionalmente, la possibilità di rimanere senza
lavoro, senza reddito e senza dignità».
E’ la sfida che lancia il Movimento Roosevelt, impegnato a Roma con un convegno
su come rimettere in moto l’anima progressista della Costituzione
italiana, sempre celebrata con vuote formule rituali ma di fatto
largamente inattuata, ingessata come
un totem intoccabile o magari «surrettiziamente insidiata da riforme
involutive come quelle proposte da Renzi», e bocciate dal referendum del
2016. «Dobbiamo ragionare in termini di Costituzione come del fulcro
della vita civile e politica di un paese», dice Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio”.
E non vale solo per l’Italia: «Se noi avessimo avuto una Costituzione
Europea passata attraverso il vaglio dei cittadini, quindi non imposta
dall’alto ma condivisa, se cioè avessimo una Costituzione politica, l’Europa
non sarebbe quella che è: non sarebbe questa cosa matrigna e
tecnocratica di pochi burocrati al servizio di interessi privati, con
cancellerie europee altrettanto asservite e un Parlamento Europeo che
non conta nulla, incapace di farsi carico degli ideali di giustizia
sociale e di diffusione della proprietà e della piena occupazione,
nonché della rigenerazione dei territori».
La riflessione sulla Costituzione, aggiunge Magaldi, «deve farci
capire che in Italia, senza Costituzione democratica pienamente attuata o
perfezionata per adempiere a certi bisogni, non si va da nessuna
parte». L’affronto più grave alla Costituzione antifascista? L’avervi
inserito l’obbligo del pareggio di bilancio – governo Monti, appoggiato
da Berlusconi e Bersani. Pareggio di bilancio? Una bestemmia, per un
economista come Nino Galloni, dirigente del Movimento Roosevelt, di
scuola keynesiana: il debito pubblico (deficit positivo) è esattamente
lo strumento-chiave attraverso il quale rilanciare l’economia privata, come dimostra la storia
italiana dei decenni del boom, sorretti da un sistema economico misto,
pubblico-privato, e dalla sovranità monetaria, quindi con capacità di
fare investimenti strategici – quelli che oggi mancano, sanguinosamente,
a causa del divieto imposto da Bruxelles. Risultato: il declino
evidente del paese, nell’ultimo quarto di secolo. Agitare retoricamente
la Costituzione? Così com’è, «in questi 25 anni la Costituzione non è
stata capace di garantire l’arresto del declino dell’Italia sul piano
economico, civile e politico», dice Magaldi. «E quindi serve una
scossa».
«Già il solo parlare di riforme, in senso opposto a quello renziano,
significa magari galvanizzare la possibile attuazione di quelle parti
della Costituzione che sono state sin qui dimenticate», aggiunge il
presidente del Movimento Roosevelt, che auspica di poterne discutere con
personaggi come Paolo Maddalena e Gustavo Zagrebelsky, ma anche Giorgio
Cremaschi e Alfredo D’Attorre, Antonio Ingroia e Ferdinando Imposimato.
«Pensiamo che la Costituzione del 2018 possa essere più adatta a calare
nel nuovo secolo lo spirito originario di quella del 1948, che a sua
volta riprendeva lo spirito di quella della Repubblica Romana». Correva
l’anno 1849: sulle barricate c’era un certo Garibaldi, primo gran
maestro del Grande Oriente d’Italia, alla testa di un’avanguardia di
massoni progressisti. Obiettivo, oggi: recuperare quello spirito
originario, di cui abbiamo un bisogno estremo. Soprattutto di questi
tempi, con una politica completamente allo sbando e un Parlamento che, grazie al Rosatellum, dopo le elezioni del 2018 saràletteralmente ingovernabile, preda di larghe intese e governi di bassissimo profilo.
Inutile sperare in quel che resta della sinistra ufficiale, avverte
Magaldi, ridotta a «piccolo circolo di nostalgici di una sinistra che
non c’è più e che non ci sarà mai più». Le spoglie di Sel, Mdp e
Articolo 1, il gruppo del Teatro Brancaccio, Sinistra Italiana, Campo
Progressista di Pisapia? «Consiglierei loro di ragionare in termini di
rigenerazione della democrazia, non della sinistra – dice Magaldi – perché la democrazia
e il progresso non sono né di destra né di sinistra». Vero, alcuni
partiti di sinistra hanno fatto grandi battaglie in questo senso, «ma è
anche vero che, per sinistra, in Italia si intende tutto quel mondo
comunista e post-comunista che nella versione comunista avversava la democrazia
e propugnava ideologicamente un mondo post-democratico, mentre nella
versione Pds-Ds-Pd è diventata asservita a quella stessa ideologia
neoliberista declinata da tutti i partiti di centrodestra», come nel
caso del famigerato inserimento del pareggio di bilancio nella
Costituzione. Destra e sinistra? Conviene «superare questa tassonomia
obsoleta». Contrastare il Jobs Act renziano? «Va bene difendere
l’articolo 18, ma ancora meglio sarebbe liberare gli imprenditori da
lacci e laccioli, e al tempo stesso garantire, per legge, la piena
occupazione». Onestamente: «L’Italia è cambiata, servono categorie
diverse. E il popolo è afflitto da una decadenza che il ceto politico
non è in grado di arrestare».
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mercoledì 1 novembre 2017
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