La studiosa approfitta del centenario della Rivoluzione d'Ottobre per leggere in filigrana la vicenda del Novecento conclusosi, di fatto, nel 1989 quando ad essere sconfitta non è stato l'esperimento comunista. A perdere una partita importate, nel 1989, è stata la politica, sconfitta per mano dell'economia.
In conseguenza di ciò, si è registrato il trionfo della democrazia, o meglio della democrazia procedurale teorizzata dall'economista austriaco Joseph Schumpeter, cioè quella forma di democrazia più vicina all'economia, assimilata in tutto e per tutto al mercato. A ciò, però, almeno in Europa, si è arrivati gradualmente e solo dopo il 1989. Prima, la politica era riuscita a trattare alla pari l'economia proprio con la minaccia del '17 bolscevico.
Conclusasi quell'esperienza, tutta la politica si è indebolita. Gli attori della mediazione politica sono diventati irrilevanti; la rappresentanza si è svuotata e il potere si è sempre più concentrato in una fitta rete di legami tra banche, Stati, gruppi industriali e media.
Un filo rosso che accompagna il volume è l'attenzione rivolta ai filosofi-re, coloro i quali sono in grado di influenzare gli altri uomini e convincerli a credere che esiste una modalità alternativa e migliore del vivere associato. Essi, infatti, storicamente hanno dimostrato l'esistenza del cambiamento e, ove possibile, lo hanno perseguito e difeso.
Il loro ruolo è stato determinante nella partita che ha visto contrapposte due idee del mondo, infatti il terreno delle idee è stato uno dei campi di battaglia nei quali è avvenuto lo scontro tra il capitalismo e l'esperimento sovietico. Lo sforzo maggiore, compiuto soprattutto dai Paesi europei, i più vicini geograficamente all'Urss, è stato quello di impedire, attraverso media, immagini, miti, ideologie, intellettuali organici, che il '17 fosse pensabile come alternativa di miglioramento. Dall'altra parte, invece, dopo l'uscita di scena di Lenin, agli intellettuali, che pure si erano appassionati alla rivoluzione e l'avevano sostenuta, toccò la stessa sorte dei borghesi.
Qui la studiosa introduce l'efficace e affascinante metafora del golem, una figura mitologica ebraica, dotata di una grande forza, ma priva di pensiero e anima, che inizialmente serviva il suo demiurgo. Si è arrivati così all'operaio-golem, cioè a imporre ovunque la direzione operaia, dalla fabbrica allo Stato. Un tentativo che durò settant'anni, ma le cui crepe si aprirono fin da subito lasciando presagire l'esito.
Il tutto avvenne dentro un processo di forte industrializzazione, soprattutto pesante, che stava dentro la concezione del mondo dell'avversario capitalista e non ha permesso di rispondere alla domanda cruciale: in cosa si distingue il socialismo dal capitalismo?
Negli anni più recenti, affievolitasi sempre più l'idea dell'alternativa, un nuovo golem si è imposto nel mondo globalizzato. È l'algoritmo, la formula magica che trasforma tutto il vivere insieme in un calcolo tra costi e benefici. Va da sé, benefici utilitaristici, non certo collettivi. Il suo successo si deve allo straordinario sviluppo delle tecnologie informatiche. La connessione elettronica sostituisce quella sociale e i network, più che social, sono asocial, lasciando l'individuo nella sua solitudine, imprigionato in una ragnatela dove conta solo come consumatore. È questa la più grande forma di materialismo che ha finito per disumanizzare l'uomo imponendo il primato della teologia della tecnica.
In questa situazione, per l'autrice, l'unica soluzione, quasi miracolosa,
sarebbe il ritorno dall'inferno del pensiero computazionale dei filosofi-re, colpiti da ostracismo, disprezzati dai politici professionali, sconosciuti agli esseri umani con cui dividono l'inferno. Si tratterebbe per i filosofi-re di uscire dalla caverna del tempo nuovo e lottare non più contro gli zar dell'economia bensì contro la teologia della tecnica, il nemico del tempo nuovo.
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