sabato 25 novembre 2017

Ma perché nessuno parla della violenza contro lavoratrici e disoccupate ricattate sul lavoro? Basta con questa falsa coscienza a senso unico. Anche lo sfruttamento è un male

http://www.controlacrisi.org

E le donne che lavorano? E le disoccupate? Quale e quanta violenza subiscono loro? Perché tutto questo silenzio sulle donne che vengono sfruttate e ricattate nel lavoro? La storia di Francesca G. (nome di fantasia) raccolta quasi per caso nei giorni scorsi ci aiuta a parlare di questa "falsa coscienza" dell'estabilishment che glissa con stile su tutto quello che riguarda "il lato oscuro" della violenza. Sia chiaro, non vogliamo parlare d'altro in una giornata di presa di coscienza collettiva. Vogliamo parlare dell'altro.
Oggi, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne tutti, donne comprese, sono pronti a fornire ampie e solide testimonianze, grazie alla grande disponibilità di vocaboli triti e ritriti, sul perché è importante combattere la violenza contro le donne. E cosa debbano fare i maschi per tentare di cambiare il corso delle cose. E la violenza a cui sono sottoposte le donne nella cosiddetta "società civile"? Non è scritta forse nella Costituzione della Repubblica la pappardella del lavoro dignitoso e del salario corrispondente a mantenersi? 
Francesca è una donna che ormai ha sessantanni. Sposò, molto tempo fa, un uomo che le ha procurato tanta amarezza e, soprattutto, le ha prosciugato il conto in banca dopo una vita di lavori faticosi eseguiti senza risparmio. Particolare non secondario di questa storia: Francesca è una mamma per scelta. La sua famiglia l'ha formata attraverso il coraggio dell'adozione. E l'ha mantenuta fin quando è stato possibile. Fino a quando, cioè, non ha preso coscienza del profondo lavorìo manipolatorio del compagno. Nonostante tutto, dimostra che la sua vita non vuole regalarla a messuno e, ben consapevole dei rischi e delle incognite, decide di darsi un'altra possibilità.


E in questo Francesca dimostra più determinazione di quel che ha realemnte. Vuole ricominciare. Si ispira agli insegnamenti tramandati da suo padre, di cui segue a puntino i consigli. Ed eccola all'opera per cercare un lavoro. Non solo assiste la sua vecchia mamma ma, avendo urgenza, cerca di sbarcare il lunario come può accettando tutto quel che gli viene proposto. Ovviamente, tutto questo nella più perfetta solitudine e abbandono da parte delle istituzioni.
Pochi giorni fa Francesca segue il consiglio di una sua amica e si presenta ad un colloquio di lavoro in un'azienda di catering dell'indotto aeroportuale nei pressi di Fiumicino. Tira aria di un contratto a tempo ma rinnovabile. Vero e proprio oro in questo periodo di precarietà senza limiti. Il preambolo non è dei migliori però: grazie alle indicazioni sommarie e imprecise del datore di lavoro si perde nelle campagne appena fuori Roma-ovest nei pressi della Magliana. Le promettono che la vengono a recuperare ma non si presenta nessuno. Hanno troppo da fare. Anche in questo caso se la cava da sola.

Ma il bello arriva quando si sente dettare le condizioni. Il contratto c'è, ed è di sei mesi. Le mansioni sono quelle tipiche della donna delle pulizie, ma "reinterpretate" dal direttore dell'azienda: oltre ad occuparsi della sterminata cucina e dei locali adiacenti c'è da passare anche le toilettes di cuochi e inservienti e quelle dell'amministrazione. In più, Francesca deve scaricare il camion che ogni mattina porta le materie prime. Praticamente tre mansioni in una. 

Francesca pensa ai novecento euro promessi. E alla possibilità di far studiare senza troppe preoccupazioni la figliolanza. E quindi fa altre domande, ma per pura formalità: immaginando risposte grosso modo alla sua portata e facendo contemporaneamente lo slalom tra sguardi e avances dei cuochi. La risposta arriva, stando al suo racconto, come uno schiaffo: l'orario di lavoro è di 8-10 ore sette giorni su sette. Contando le due ore che le occorrono per arrivare al lavoro, visto che abita in un'altro comune, e le due ore per tornare a causa del traffico di Roma Capitale, a Francesca rimane appena il tempo di consumare una cena fredda e mettersi al letto dormendo sei ore. La sua giornata, dal lunedì alla domenica, è tutta qui. Arriverà ai sei mesi della scadenza?

Dopo una notte quasi insonne, assalita da dubbi di tutti i generi, e grazie a una offerta del classico lavoretto da badante con meno ore e un compenso minore ovviamente, Francesca riesce a trovare la forza per dire no. "Non ci potevo ccredere. Ma uno a sessant'anni come fa a campare in quelle condizioni? Ma non è stata la paura della fatica a inquietarmi ma l'orrore di vievere in un mondo in cui qualcuno pensa che sia lecito fare proposte di questo genere", dice.

Qualcuno potrebbe obiettare che questa condizione la vivono anche gli uomini? Secondo me è un motivo in più per non tacerla quando si parla di violenza contro le donne. Anche gli uomini devono capire che oltre un certo limite non si può andare. Che quando si dà spazio ai ragionamenti sulla competitività tutto allora diventa lecito. E se tutto è lecito allora regna il ricatto continuo. O no? Nei tanti discorsi solenni che si sono sentiti in questi giorni la violenza contro le donne è tipizzata. Tutti si sforzano di dire che per essere considerata violenza c'è bisogno di un maschi stupratore o anche soltanto molestatore. Certo, è indubbio. Ma questo recinto nuoce alla battaglia perché la violenza non si fa certo tipizzare. La violenza è tutto ciò che non permette scelte all'individuo. E Francesca si è trovata esattamente in questa condizione. Qualsiasi "via d'uscita" la paghi sulla tua pelle.

Terzo tempo: Francesca appena uscita dall'azienza ha ricevuto una chiamata da uno dei dipendenti, quello che avrebbe dovuto recuperarla nella campagna a due passi dalla Magliana e che non si è presentato. Avendola notata aggiarsi tra scaffali e frigoriferi non si è lasciato scappare l'occasione, ovviamente.

Nessun commento:

Posta un commento