Dopo un anno di lavoro il movimento Non Una Di Meno ha prodotto un ampio e articolato documento programmatico contro la violenza maschile e di genere, presentato in questi giorni, in vista della manifestazione contro la violenza del 25 novembre. Un Piano elaborato a partire dalla necessità di superare l’inefficacia delle politiche istituzionali in materia. Una sfida ambiziosa e, al tempo stesso, quanto mai necessaria.
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micromega Intervista a Sara Picchi di Ingrid Colanicchia
Era un obiettivo ambizioso, ma il movimento Non Una Di Meno (Nudm) ce l’ha fatta: a un anno di distanza dal lancio dell’iniziativa, ha prodotto un Piano femminista contro la violenza maschile e di genere frutto di un percorso di elaborazione e di scrittura collettiva come non se ne vedevano da tempo. Un anno cadenzato da decine di assemblee in circa 70 città, da cinque incontri nazionali nonché da uno sciopero globale delle donne (l'8 marzo scorso). Nove i tavoli tematici che hanno lavorato, a livello sia locale che nazionale, su altrettanti aspetti della violenza per mettere a punto un programma di contrasto complessivo.
«Il Piano - hanno spiegato durante la partecipatissima conferenza stampa di presentazione del documento (a Roma, presso la Casa internazionale delle donne, il 21 novembre scorso) - si basa sul presupposto che la violenza maschile contro le donne è sistemica, attraversa cioè tutti gli ambiti delle nostre vite e si fonda su comportamenti radicati». Per questo non può e non deve essere affrontata in un’ottica emergenziale, né considerata come una questione geograficamente o culturalmente determinata.
«In Italia, le misure attuate fino ad oggi si sono rivelate inconsistenti e parziali», si legge nel Piano, lungo una cinquantina di pagine. «Hanno infatti voluto mettere a fuoco solo singole, benché eclatanti, espressioni del fenomeno, come lo stalking e il femminicidio. Le istituzioni continuano a considerare la violenza di genere un fatto privato e, al tempo stesso, a utilizzarla in maniera strumentale e retorica, al fine di costruire, di volta in volta, un nemico esterno: ora il degrado, per giustificare misure repressive rispetto alle libertà; ora il migrante, per legittimare politiche razziste e securitarie, che criminalizzano le persone migranti e propongono solo interventi repressivi». Sono stati insomma adottati «provvedimenti per una parità formale ma non sostanziale, senza mai porre realmente in questione i rapporti di potere vigenti e, soprattutto, senza mai assumersi fino in fondo la responsabilità politica del problema della violenza».
Il Piano di lotta e di azione di Non Una Di Meno nasce proprio da qui: dalla necessità di superare l’inefficacia delle politiche istituzionali in materia.
Ne abbiamo parlato con Sara Picchi, di Nudm Roma.
Che valutazione dai del percorso di scrittura collettiva che ha portato al Piano?
Ciò che si è creato durante quest’anno non è un’emozione da poco! Mi considero una privilegiata per aver avuto l’occasione di partecipare a un fatto che definirei storico, ovvero essere tra le moltissime donne che si sono confrontate per mesi condividendo esperienze e competenze per affrontare la violenza di genere nella sua complessità. Per prima cosa ci siamo divise in tavoli di discussione, che hanno rappresentato gli ambiti su cui, secondo noi, bisogna intervenire prioritariamente per contrastare la violenza sessista, ovvero percorsi di fuoriuscita, educazione, formazione, narrazione, spazi femministi, mobilità, lavoro e welfare, diritti e ambiente. I tavoli hanno poi prodotto dei report a seguito dei cinque incontri nazionali svoltisi nel corso dell’anno. Il Piano è in pratica una sintesi di tutto ciò, quindi di centinaia di voci e altrettante mani! È un percorso innovativo proprio perché ha prodotto un documento che è il risultato di un processo condiviso e partecipato, in presenza, a cui non si assisteva da tempo. Questa è solo una prima valutazione perché come abbiamo chiarito fin da subito il Piano è un working in progress. È uno strumento operativo e dinamico, nel caso si adatterà anche alla luce delle prossime mobilitazioni e assemblee nazionali.
Su quali aspetti è stato più difficile trovare una convergenza?
Il percorso che ha portato al Piano non è stato facile, anche emotivamente. Sarebbe retorico dire il contrario ma questa è stata la vera sfida. Non era scontato che organizzazioni politiche, collettivi femministi, centri antiviolenza, sindacati e un’infinità di singole si mettessero in relazione. Evidentemente la proposta su cui convergere era più che convincente. Anche la lettura della violenza come problema sistemico e l’approccio intersezionale (che intende cioè analizzare le forme di oppressione che si innestano sulle differenze sociali, di origine, di classe, di identità di genere e sessuale, abilità e età) hanno giocato un ruolo fondamentale. Elementi più forti di eventuali, presenti ma anche storici, conflitti. E comunque questi fanno parte della relazioni, un aspetto che le femministe non hanno mai negato e su cui hanno sempre lavorato attraverso pratiche specifiche su cui basare il confronto, ovvero nessun giudizio e totale ascolto dell’altra. Le differenze per noi sono una delle proposte per affrontare la violenza maschile e di genere. Nel Piano infatti sottolineiamo proprio come sia necessaria un’educazione che sappia parlare alle molteplici identità di genere e che non costringa i destini affettivi e relazionali a seguire un’eterosessualità imposta.
Quali punti ritenete prioritari?
Gli ambiti di intervento che riteniamo prioritari in questo momento sono tre: i percorsi di fuoriuscita, l’indipendenza e l’autodeterminazione delle donne e delle persone Lgtqi; l’educazione e la formazione; e la salute e libertà di scelta. Nel primo rientrano tutti quegli interventi volti a favorire materialmente e concretamente i percorsi di fuoriuscita dalla violenza. Sulla decisione di uscire dalla violenza pesa infatti, tra le altre cose, anche la possibilità di avere accesso a strumenti e a vie di fuga. Quindi non solo il reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire da relazioni violente, ma anche diritto all’asilo e ius soli. Nel Piano diamo un’attenzione specifica alle donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo per le discriminazioni multiple cui sono esposte anche a causa di politiche orientate da una logica di sicurezza e di respingimento piuttosto che di accoglienza e che da ultimo, bloccando la “rotta italiana” degli sbarchi, hanno dato mano libera ai trafficanti di esseri umani, lasciando migliaia di persone a un destino di abusi e violenze. Quanto al secondo punto, una delle altre priorità è la prevenzione, quindi educazione e formazione. Affinché la scuola o la formazione superiore non contribuiscano più a diffondere una visione stereotipata e sessista dei generi e dei rapporti di potere tra essi, nel Piano chiediamo ad esempio la revisione dei manuali e del materiale didattico adottati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei corsi universitari. Ultimo ma non per importanza, il tema della salute riproduttiva e la libertà di scelta. Qui secondo me si palesano in maniera più lampante le contraddizioni che le donne vivono in questo paese, vale a dire avere dei diritti garantiti sul piano formale, ma svuotati su quello sostanziale. Quindi oltre a richiedere naturalmente il pieno accesso a tutte le tecniche abortive per tutte le donne che ne fanno richiesta; nel Piano chiediamo tra le altre una cosa molto importante perché spezza la retorica sulla maternità affrontandola invece in termini di salute riproduttiva e sessuale, ovvero il riconoscimento della violenza ostetrica come una delle forme di violenza contro le donne.
Qual è il segreto per tenere insieme tante donne con idee diverse?
Sicuramente il Femminismo come pratica politica, che vuol dire partecipare a partire da sé e dalle oppressioni che viviamo, dal fatto che ci riconosciamo in questa/e diseguaglianza/e, empatizzare, riconoscere i propri privilegi, scegliere e difendere la propria specifica strada di libertà. Ritrovare queste pratiche nelle altre ci permette di costruire relazioni politiche. Poi c’è un elemento che secondo me appartiene alla storia recente. Sembra che il movimento sia esploso all’improvviso, ma molte delle realtà che lo costituiscono lavorano insieme da tempo. Nudm ha una storia di piazza che va rintracciata anche in quella del movimento femminista di questi ultimi dieci anni. In parte siamo le stesse che manifestarono nel 2007 dicendo che “L’assassino ha le chiavi di casa”. Nel tempo abbiamo costruito e rafforzato in rete molte iniziative, manifestazioni, cortei notturni, slutwalk. In questo periodo abbiamo aperto spazi per le donne e consultorie autogestite. Quando diciamo che affrontiamo la violenza machista quotidianamente, è perché lo abbiamo fatto davvero. Nudm in parte è anche il risultato di questo lavoro, che ci ha portato a sentirci autorevoli per scrivere un Piano oggi, una proposta concreta e adeguata fatta di obiettivi, pratiche e azioni.
È previsto un incontro con le istituzioni per parlare del piano?
Per ora non è previsto nessun incontro, anche se il Piano è nato anche per affrontare il nodo della violenza istituzionale per cui le donne sono spesso doppiamente vittime. Nudm vuole essere un movimento indipendente ed autonomo, sono i princìpi a cui aspiriamo nella vita e per cui lottiamo. Il Piano nasce infatti anche per essere un’alternativa a quell’approccio per cui la dimensione di genere della violenza sessista viene neutralizzata e dietro cui si nasconde il tentativo di mantenere le donne in uno stato di passività e dipendenza. Invece il messaggio deve essere la riaffermazione della propria autonomia e autodeterminazione. Per questo ora siamo più interessate a promuovere le parole d’ordine del Piano e a farlo conoscere a più persone possibile. Il Piano non è stato scritto per le istituzioni o per le femministe, ma per essere uno strumento a disposizione di tutte e tutti.
Nei mesi passati il movimento è stato oggetto di qualche polemica: in particolare Nudm è stata accusata di non voler prendere parola in merito a una questione che negli ultimi tempi ha generato qualche mal di pancia nella galassia femminista, la gestazione per altri. Cosa risponde il movimento a queste accuse?
Nudm si è data una priorità. Non abbiamo la pretesa di rispondere a qualsiasi questione che riguardi le donne e Nudm ha scelto la violenza maschile e di genere per affrontare il sistema patriarcale perché la riteniamo il frutto di un’oppressione originaria. Tuttavia proprio perché movimento, Nudm è in divenire quindi non escludo che nel prossimo futuro affronteremo anche questo tema, con toni e modalità femministe però. Quindi ricercando una relazione d’ascolto e senza giudizio. In questo caso, gli schieramenti non aiutano di certo nessuna né tantomeno rincorrere le onde emotive dei dibattito pubblico o dei social. È giusto che NUDM rispetti i propri tempi.
Dopo la manifestazione di sabato quali saranno i prossimi passi del movimento?
Il prossimo passo sarà il 26 Novembre. Ci incontreremo alla facoltà di psicologia, a Roma, in un’assemblea nazionale, per decidere le prossime mobilitazioni territoriali e comuni, le questioni che vogliamo affrontare e come proseguire. Un altro punto centrale all’ordine del giorno sarà come potenziare e nutrire il processo di scambio e confronto del movimento femminista globale. Non è stato solo lo sfondo dentro cui ci siamo mosse, ma un elemento politico sostanziale su cui pensiamo di doverci concentrare. Lo sciopero globale dello scorso 8 marzo è stato senza dubbio il punto di espressione più alto di questa dimensione.
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