C’era una volta una scuola che, anziché una scuola, sembrava un santuario. Statue di Cristo e della Madonna, foto dei papi, preghiere prima delle lezioni e prima di mangiare. Non era una scuola privata cattolica: era una scuola pubblica di Palermo.
Quella scuola non c’è più. Perché una volta che la notizia è diventata di pubblico dominio il preside, entrato in carica a settembre, ha capito che il “si è sempre fatto così” non poteva continuare a essere seguito da un “e così sarà sempre, nei secoli dei secoli”. Ha fatto togliere le statue, ha fatto togliere le foto, ha disposto che le preghiere non avessero più luogo. Ha fatto quello che dovrebbe fare ogni preside di ogni scuola pubblica di uno stato laico. In una situazione del genere, dovrebbe meritarsi un plauso dalle istituzioni scolastiche.
Invece no.
La ministra Valeria Fedeli, anziché complimentarsi con il preside Niccolò La Rocca, l’ha pubblicamente rimproverato. Tanto per far capire a tutti da che parte sta, l’ha rimproverato durante il Festival della dottrina sociale della Chiesa, dove ha avuto modo di conversare amabilmente con il presidente dei vescovi italiani, mons. Gualtiero Bassetti. E l’ha rimproverato nonostante il preside abbia applicato la legge. Che evidentemente la ministra non conosce, perché ha fatto riferimento a una circolare riguardante i crocifissi. Che (purtroppo) sono invece rimasti al loro posto, quello che occupano da quando il regime fascista li impose. Circostanza che alla ministra - sedicente democratica - evidentemente sfugge.
Non deve quindi sorprendere che, nel criticare il preside, Valeria Fedeli, nomen omen, si sia ritrovata in compagnia del sottosegretario ciellino Daniele Toccafondi, della leader postfascista Giorgia Meloni e dei fascisti “senza se e senza ma” di Forza Nuova. Nel silenzio assordante dei sindacati di settore. Perché il problema fondamentale è che, nella classe dirigente italiana, manca la capacità di comprendere che, in una scuola pubblica, non ci si va per pregare, ma per imparare. Per quelli che vogliono pregare ci sono già la chiesa e l’oratorio.
Tuttavia, le parrocchie sono ormai in crisi profonda, e i parroci sono anziani e insufficienti. L’effetto del papa alla mano è durato ben poco, se mai c’è stato. Non c’è stato nemmeno da un punto di vista laico, se si guarda alla prassi, con buona pace dei tanti apologeti a sinistra: vedi l’imbarazzante endorsement del Manifesto. Nulla è cambiato da Ratzinger a Bergoglio: la Chiesa continua come prima a chiedere e a ottenere. Ma che la Chiesa faccia il suo mestiere è comprensibile.
Sono invece i ministri a non farlo. In fondo Fedeli ha tanti poco nobili predecessori. Da Stefania Giannini, prefatrice di un libro che proponeva di tagliare del 40% i fondi stanziati per la scuola pubblica, a Mariastella Gelmini, indimenticabile interprete di “Tu scendi dalle stelle” per protestare contro un preside “anti-Natale” (sic). Da Giuseppe Fioroni, tornato agli onori della cronaca proprio questo weekend per non aver ottenuto la benedizione di una sede Pd, a Letizia Moratti, che al ministero si circondò di ciellini, inserì in ruolo gli insegnanti di religione, e cercò di eliminare l’evoluzionismo dai programmi scolastici. Prima ancora, i tanti ministri, rigorosamente democristiani, che per oltre tre decenni hanno occupato il ministero dell’istruzione pubblica. Oggi, ufficialmente, nemmeno più tale.
Basta scorrere l’elenco dei ministri per capire, con un semplice colpo d’occhio, perché la scuola pubblica è messa tanto male. C’è quasi da sorprendersi che non sia ancora definitivamente crollata: se le scuole private cattoliche non ce la fanno, nonostante tutto il sostegno che ricevono, devono essere scuole veramente cattive, se non pessime. Forse è colpa delle nemesi di Pio IX, che pensava che l’istruzione obbligatoria fosse un flagello.
Le buone scuole sono invece quelle dove ogni studente ha diritti identici al suo vicino di banco, dove le classi non si separano perché c’è l’ora di religione, dove alle pareti non ci sono simboli religiosi di parte. Buone scuole così non esistono, in Italia. E non esisteranno a lungo, con politici e ministri di questo tipo. Farsi da parte sarebbe il minimo. Ma la colpa è anche nostra: in fondo, basterebbe non votarli. Le elezioni si avvicinano. Ricordiamoglielo.
Raffaele Carcano
(28 novembre 2017)
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