mercoledì 22 novembre 2017

Al circo della sinistra il pubblico se n’è andato.

Se si perde la propria ragion d'essere, si smarriscono anche gli elettori. Nel Pd, certo, ma anche nei gruppi cosiddetti radicali.

 

L'Espresso Alessandro Gilioli
Al circo della sinistra il pubblico se n’è andato Un pomeriggio di fine autunno, da bambino, mio padre mi portò in un circo fuori Milano, impiantato nel fango forse da troppo tempo. Non c’era la cassa e pagammo duemila lire direttamente a un signore con il papillon. Scostammo la tenda pesante, ma - dietro - gli spalti erano completamente vuoti: neanche uno spettatore. Dopo mezz’ora di silenzi, un paio di inservienti iniziarono a rimettere gli attrezzi nelle scatole. Ci restituirono i soldi, scusandosi. Tornammo a casa, ingoiati nel traffico attorno a Sesto San Giovanni.
Non so perché quel circo era vuoto. Può darsi che fosse ripetitivo e monotono, già visto troppe volte nelle sue identiche e forse perdenti performance. È possibile che fosse mal assemblato, un mix improbabile di vecchi domatori bolsi e di giovani acrobati tanto arroganti quanto incapaci. Qualcosa faceva pensare che la sera gli artisti litigassero tutti tra loro, ciascuno convinto di saper fare l’unico numero da applausi e ognuno colmo di “Schadenfreude” nel vedere il giocoliere scivolare su una sfera o la trapezista finire a terra. Oppure, semplicemente, nel tempo
Quel circo aveva perso la sua ragion d’essere, la sua missione profonda e antica. Ci si era dimenticati perché qualcuno tanto tempo prima lo aveva fondato. E nel frattempo era diventato inutile: non faceva più né ridere né piangere, né paura né brivido, né allegria né fremito. Era il nulla. Il vuoto. Il vuoto di idee dei suoi artisti colpevoli e insieme il vuoto di speranza della sua ex platea, dileguatasi nel cercare emozioni altrove o ad obnubilarsi davanti alla televisione, che spesso è una versione come altre della non partecipazione, cioè dell’astensione.


Saranno stati centinaia i motivi di quel circo vuoto, fuori Milano, anni fa; migliaia sono invece le cause della platea scomparsa della sinistra italiana. Cause tante volte cercate e spesso trovate, analizzate, vivisezionate, perfino ridicolizzate dai comici amici e non. E allora: l’insipienza teorica nel produrre un’idea praticabile di società solidale dopo la caduta del Muro, l’emulazione dei controvalori avversari che fino al giorno prima venivano combattuti, la globalizzazione che esternalizza i poteri reali dalle democrazie ai vari “piloti automatici”, l’inesorabile robotizzazione che deforma l’offerta e la domanda di lavoro, la perdita di qualsiasi briciola d’egemonia culturale nell’individualismo triste della società liquida. Giù giù fino al degrado culturale (e talvolta morale) di chi la sinistra dice di rappresentare nei Palazzi e nei partiti: i personalismi, le risse, gli arrocchi, le vanità, le caste, i bullismi, le irrisioni, fino al punto grottesco in cui a dividersi nelle aree più radicali non sono più gli atomi ma le particelle elementari - ciascuna con il suo regolare leader e le sue dieci bandiere per impallare le telecamere e nascondere piazze sempre più rarefatte.

Fuori dal circo, l’Italia è divenuta il terzo paese occidentale per disuguaglianza di reddito e il penultimo per mobilità sociale. I ragazzi sono diventati ergastolani della Gig economy - i “lavoretti” - e della loro cinica precarietà; i vecchi si chiedono se cammineranno ancora sulle loro gambe quando potranno ritirare la loro prima pensione. Ed entrambi, quando possono, se ne vanno: 
i giovani in qualche nord a comprarsi una speranza, gli anziani in qualche sud a evitare l’umiliazione di un tramonto nell’indigenza.

È così, più o meno, che la sinistra è rimasta un circo vuoto. Almeno a oggi, fine 2017, nei giorni dell’autunno sempre più freddo, di Casa Pound, delle molestie di Weinstein e dell’eliminazione dai mondiali.
Ci restano, forse, solo le parole con cui il sociologo David Harvey racconta e illumina una scena di “Il cielo sopra Berlino”, il capolavoro di Wim Wenders: «Quando il tendone è stato smontato e il circo se n’è andato, Marion rimane sola in quel luogo vuoto, e si sente senza radici, senza storia, senza Paese. Eppure proprio questo senso di vuoto sembra offrirle la possibilità di una trasformazione radicale. “Non ho che da alzare gli occhi e ridivento il mondo”, dice mentre guarda un jet attraversare il cielo».

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