Se
si vuol capire come funziona uno Stato al servizio di interessi privati
abbiamo un esempio eccellente sottomano: Susanna Masi, esperta in
materia fiscale alle dipendenze del ministero dell’Economia è stata
formalmente accusata di vendere i segreti fiscali del governo alla
società rivata da cui proveniva, Ernst & Young, potente
multinazionale della consulenza fiscale.
I
magistrati hanno condotto un’indagine durata almeno tre anni,
controllando sia le sue comunicazioni informatiche e telefoniche, sia il
flusso di bonifici dalla società Usa al suo conto bancario. Il quadro è
insomma ricco, completo e inconfutabile.
La
cronache ricostruiscono la sua carriera. La Masi era una stimata
professionista del network globale di servizi di consulenza, un colosso
con 250.000 dipendenti, 700 uffici in 150 paesi. Insomma, di una società
privata che riunisce in sé la conoscenza di tutti i sistemi fiscali
esistenti sul pianeta, e che dunque può fornire ai suoi clienti – grandi
gruppi multinazionali, oltre che professionisti abbastanza ricchi da
poterne pagare le salatissime parcelle – consigli efficaci su come
risparmiare sulle tasse spostando sedi, utilizzando “teste di legno”,
ecc.
Com’era
arrivata al ministero dell’economia e di qui anche in Equitalia? Grazie
a Mario Monti, che l’aveva scelta nel 2012 e poi lasciata in eredità a
Saccomanni (nel governo Letta) e Pier Carlo Padoan (governi Renzi e
Gentiloni).
Fin
qui, nulla di strano. Certo, si potevano cercare “risorse umane”
all’interno dei ministeri, ma non è strano che si assumano esperti
esterni, specie se molto competenti.
Il problema è sempre che questo passaggio dal privato al pubblico dovrebbe
venir accompagnato da un radicale cambio di mentalità, o una completa
revisione della “scala dei valori”. Specie in materia fiscale. Perché
una cosa è consigliare i clienti sul come evaderle, l’opposto è
potenziare lo Stato nell’ottenerne il pagamento. Un po’ come il ladro e
il poliziotto, insomma…
Sembra
evidente che nel caso di Susanna Masi nessuno si sia preso la briga di
spiegare alla neo-assunta che ora avrebbe dovuto impiegare a rovescio le
sue competenze. O, almeno, che la signora non se ne sia dato per
inteso…
Dalle
carte emerge infatti che Masi avrebbe «fornito a Ernst & Young
notizie riservate possedute grazie al suo ruolo istituzionale di membro
della segreteria tecnica» o «consigliere del ministro», così consentendo
alla società di poter offrire ai grossi clienti (specie banche) servizi
di ottimizzazione fiscale già parametrati sulle norme che sarebbero
entrate in vigore qualche mese dopo.
Ma
non si sarebbe accontentata di fare “la spiona” sui progetti del
minsitero. Una volta entrata nel gotha dirigenziale, infatti, si sarebbe
«resa disponibile a proporre modifiche, a vantaggio di Ernst &
Young e dei suoi clienti, alla normativa fiscale interna in corso di
predisposizione, nella materia di transazioni finanziarie nella quale
era direttamente coinvolta quale membro della segreteria tecnica del
ministero».
Due ruoli chiave in una sola persona: fornire “dritte” sulle regole future e addirittura dettarle direttamente.
Evidente,
dunque, che una funzione pubblica essenziale dello Stato – il fisco, le
sue regole, le modalità di riscossione e di contrasto dell’evasione –
siano state messe a disposizione di una società privata multinazionale
in
qualche
misura molto più potente e “sapiente” dello Stato stesso (in virtù del
suo conoscere nei dettagli le normative di almeno 150 paesi).
Negli
Stati Uniti questo passaggio dai ruoli privati a quelli pubblici è così
normale da essere continuo e sostanzialmente incontrollato. Ricordiamo,
tra i casi famosi, Dick Cheney passato (più volte) dal ruolo di
amministratore delegato di Halliburton alla vicepresidenza Usa insieme a
George Bush jr; oppure Donald Rumsfeld, diventato ministro della difesa
dopo esser stato, tra l’altro, presidente della G.D. Searle & Company, multinazionale farmaceutica nota per la pillola contraccettiva Enovid e per il dolcificante cancerogeno brevettato con il nome di aspartame. L’elenco sarebbe infinito…
Di
fronte a casi come questo quello della Masi potrebbe sembrare quasi
“minore” e forse lo è. Ma è il segnale evidente che la “privatizzazione
degli Stati” sta avanzando a tappe forzate all’ombra delle best practices
consigliate dall’Unione Europea. La quale, sembra doveroso ricordarlo, è
una struttura intessuta da trattati che priva il Parlamento europeo –
unico caso al mondo – del potere legislativo; ma che, al contempo, è
apertissima all’influenza dei “gruppi di pressione” delle imprese
multinazionali (lobby), tanto da averne riconosciuto il diritto d’accesso alle strutture decisionali (la Commissione, ossia il governo). In pratica, un luogo deputato a decisioni vincolanti per un continente intero dove la sovranità popolare non può entrare, ma le mutlinazionali hanno libero accesso (l’unica gerarchia riconosciuta è il fatturato).
Per la cronaca, il codice penale italiano prevede ancora – per comportamenti come quello della Masi – i reati di «corruzione»,
«rivelazione di segreto d’ufficio» e «false attestazioni sulle qualità
personali» per non aver dichiarato il proprio conflitto di interessi
(prender soldi da Ernst & Young).
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