È quanto scritto dall’associazione ambientalista in un instant book recapitato nei giorni scorsi ai deputati. In previsione del referendum di domenica 17 aprile. Secondo gli ambientalisti, il 47,7% delle strutture non sono mai state controllate. Ventisei di queste sono di proprietà dell’Eni. E così Mario Catania (Scelta civica) e il leader di Possibile, Giuseppe Civati, hanno indirizzato un’interrogazione a Gian Luca Galletti.
Non c’è solo l’appello del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, a turbare i sogni del premier, Matteo Renzi, in vista del referendum sulle trivelle di domenica prossima. A Montecitorio, sulle scrivanie dei deputati, nei giorni scorsi è infatti arrivata l’anticipazione di un instant book dal titolo emblematico, Trivelle insostenibili, realizzato dal WWF,
l’organizzazione internazionale di protezione ambientale con sede in
Svizzera. La cui costola italiana ha provato a dare risposta ad una
domanda: qual è la situazione delle piattaforme offshore situate nella fascia di interdizione delle 12 miglia?
Analizzando i dati forniti online dall’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (Unmig) del ministero dello Sviluppo economico – lo stesso rimasto da pochi giorni senza un titolare dopo le dimissioni di Federica Guidi a causa dell’emendamento “Tempa Rossa”
– e mettendoli a confronto con le norme relative alle valutazioni
ambientali e alla sicurezza, il WWF è arrivato ad una conclusione che
non può far certo dormire sonni tranquilli. E che, al tempo stesso,
rappresenta un assist per gli stessi promotori del referendum del 17
aprile. Cioè: 42 delle 88 piattaforme
localizzate entro la fascia offlimits delle 12 miglia, alle quali il
governo vorrebbe prorogare la concessione, non sono mai state sottoposte
a valutazione di impatto ambientale
(Via). Si tratta del 47,7% del totale. Il motivo? Nel nostro Paese la
Via è diventata operativa solo trent’anni fa (1986), proprio grazie alla
legge che ha istituito il ministero dell’Ambiente. Mentre le 42 piattaforme in questione sono state costruite negli anni precedenti. Insomma: fatta la legge, trovato l’intoppo.
Ma a chi appartengono le piattaforme “incriminate”? Ventisei sono di Eni o Eni Mediterranea Idrocarburi
(che opera nel settore di esplorazione e produzione di idrocarburi in
Sicilia), 9 di Edison e 5 di Adriatica Gas. Di queste, 5 sono
piattaforme che estraggono petrolio. Ma c’è anche un altro aspetto che il WWF ha messo sotto la lente di ingrandimento: quello relativo all’età media delle piattaforme localizzate nella stessa fascia. Il 48% di queste, fa sapere l’organizzazione ambientalista, ha oltre 40 anni. E, come detto, non è mai stata sottoposta a Via. Di più: ci sono 8 piattaforme (tutte di proprietà di Eni) che secondo la classificazione dell’Unmig sono ‘non operative’ e che “sarebbe bene smantellare perché costituiscono comunque un impianto obsolescente inattivo, con evidenti rischi per la navigazione
oltre ad avere, se vicino alla costa, un impatto paesaggistico
immotivato”. A fronte di tutto ciò, il WWF ha chiesto un intervento
diretto del ministero dell’Ambiente, che “dovrebbe ‘battere un colpo’
anche perché non risulta che abbia detto nulla a suo tempo nemmeno sulla
soppressione, voluta dal governo e accolta dal Parlamento, del Piano delle Aree (previsto dallo Sblocca Italia e modificato dalle legge di stabilità 2016, ndr)
per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi
che avrebbe dovuto essere sottoposto a valutazione di impatto
ambientale”.
Rilievi,
quelli effettuati del WWF, che si spostano ora in Parlamento. Con
un’interrogazione firmata dall’ex ministro dell’Agricoltura del governo
Monti, Mario Catania (Scelta civica), e dal leader di Possibile, Giuseppe Civati. I quali, fra le altre cose, hanno chiesto al ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti
(Udc), se “non voglia compiere tutti i passi necessari affinché le
piattaforme realizzate prima del 1986 vengano comunque sottoposte alla
valutazione di impatto ambientale”. Ma anche se “non voglia intervenire
sul ministero dello Sviluppo economico per chiedere che le 8 piattaforme
offshore Eni classificate come ‘non operative’ vengano smantellate dall’azienda responsabile”. È “la trivella di Pandora”, dice Civati a ilfattoquotidiano.it.
“Ogni aspetto che riguarda il petrolio in questo Paese, dalle
concessioni alle royalties, sta aprendo gli occhi a molti cittadini
sull’inerzia di questo governo
nell’affrontare le questioni – aggiunge –. Il 17 aprile confidiamo in
un ‘sì’ per estendere la campagna a tutto ciò che è connesso: è il
momento di cambiare, verso il futuro, non abbracciati ai fossili”.
Sulla
stessa lunghezza d’onda anche Catania. “Bisogna verificare l’assoluta
sicurezza di queste piattaforme”, spiega l’ex ministro. “Non possiamo
accettare nemmeno la più remota possibilità di incidente nel nostro mare, i danni sarebbero incalcolabili – aggiunge –. Sono inoltre convinto che debba finire la pratica di prorogare concessioni in scadenza, correndo anche il rischio di rendere perenne la presenza delle trivelle anche per giacimenti in esaurimento”.
Nessun commento:
Posta un commento