martedì 17 settembre 2013

Minacce a chi lavora le terre dei clan

Una piccola cooperativa sta facendo rinascere i terreni confiscati a una 'ndrina di Capo Rizzuto. Ora è arrivata un'intimidazione chiara: 'State attenti allontanatevi morte', scritto su un portone, con alcune pallottole accanto. Ma i trentenni che ci lavorano, alcuni dei quali immigrati 'qualificati' tornati al Sud, non vogliono mollare.

L'Espresso di Raffaella Maria Cosentino
 
 
Quasi cento ettari di terreno, un casale, un capannone da 800 metri quadrati e una villa di quattrocento metri su due piani. Parte di una piccola collina che scende dolcemente verso il mare e poi una vasta terra pianeggiante a poca distanza dallo Ionio.

Sono i beni che una volta appartenevano alla 'ndrina degli Arena di Isola Capo Rizzuto e che oggi sono stati assegnati alla cooperativa Terre Ioniche, nata il 31 gennaio scorso nell'ambito della rete di Libera Terra. Intorno il paesaggio è un susseguirsi di pale eoliche, ma sul terreno della cooperativa non ci sono. Quando è stato costruito il parco eolico, uno dei più grandi d'Europa, la procedura di sequestro e confisca dei beni alla 'ndrangheta era già in atto.

Sul portone verde del capannone ora campeggia la scritta nera "State attenti allontanatevi morte". L'ha trovata così, con tre proiettili di pistola calibro 7.65 attaccati con il nastro adesivo, Francesco Pittella, uno dei dieci soci della cooperativa. La scoperta risale a giovedì 12 settembre, con un'inquietante coincidenza. E' il giorno in cui don Luigi Ciotti si trova in zona per motivi personali. In pochi sanno della sua presenza nel crotonese. Ma il messaggio intimidatorio non è ovviamente rivolto solo al leader di Libera. Il segnale è chiaro anche per la popolazione locale, serve a fare il vuoto attorno ai dieci giovani della cooperativa, che insieme ai primi raccolti stavano iniziando a vedere interesse da parte del territorio. Impresa non facile se si pensa che all'inizio a Isola non era possibile trovare neanche un trattore per lavorare quei terreni.

Francesco è di Isola Capo Rizzuto e confessa che quando si è trovato quello scempio e i proiettili davanti "al primo impatto un po' di timore c'è stato". Ma poi è bastata la presenza di don Ciotti, venuto di persona al capannone, "e questo ci ha caricato" dice  "non ci siamo abbattuti, abbiamo sentito che non siamo soli".
La cooperativa Terre Joniche è costituita da dieci soci lavoratori trentenni, nove calabresi e un campano, selezionati attraverso un bando pubblico. Nessuno di loro sembra particolarmente intimorito dopo avere subito la prima minaccia di morte, a nove mesi dalla nascita della cooperativa sociale. La presidente è una ragazza di 31 anni con le idee chiare, un'emigrata di rientro.

Raffaella Conci, laurea in economia aziendale a Roma Tre, master in Economia Sociale e Terzo Settore a Urbino, esperienze nella finanza etica a Torino, è tornata a vivere a Cirò che aveva lasciato tanti anni prima. "Ho da subito scelto un'economia diversa da quella che mira solo al profitto, quindi mi sono interessata al commercio equo e solidale e poi all'economia sociale" racconta davanti al capannone "quando si è presentata l'occasione di tornare in Calabria per un progetto del genere, mi è sembrata l'occasione giusta. Io non voglio avere rimpianti e quanto meno potrò dire di averci provato, per questo porto avanti questa idea". L'obiettivo è ambizioso: fare agricoltura biologica sui beni confiscati alla 'ndrina del posto, con l'inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La produzione già annovera grano, orzo, ceci e lenticchie. A Settembre si parte con i finocchi, che sono d'eccellenza per le proprietà del terreno.

Poi si prevede di usare il capannone per impianti di trasformazione dei prodotti agricoli. La villa, che è stata vandalizzata dai proprietari al momento della confisca, diventerà un ostello, una struttura ricettiva per i volontari dei campi "Estate Liberi" e per chi vorrà fare del turismo un'occasione di impegno antimafia. Il lavoro da fare è tanto, perché quando la confisca è diventata definitiva, sono state portate via porte e finestre e si è tentato di distruggere ciò che rimaneva: pavimenti, balconi e scale.

Ma le buone notizie sono che c'è già il finanziamento del Pon Sicurezza e che i soci non hanno intenzione di mollare. "Niente di così spaventoso" dice Raffaella davanti alla prima intimidazione "trattandosi di bene confiscato si poteva immaginare qualcosa del genere". Per tutti è stato fondamentale l'atteggiamento di don Ciotti. "Ci ha incoraggiato a non mollare" continua la presidente di Terre Joniche "questo è quello che desideriamo tutti, non fermarci ai primi ostacoli altrimenti la partita sarebbe persa in partenza".

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