“.......morì Walter Rossi. A sparargli erano stati Cristiano (Fioravanti ndr) e Alessandro Alibrandi”.
Presidente: <<Ma questo di Rossi è un omicidio.>>
<< Si, ma non si arrivò da nessuna parte perchè in realtà la pistola era una e se la passavano l’un l’altro, ed è finita che Cristiano (Fioravanti ndr) è riuscito ad attribuire il colpo mortale ad Alessandro (Alibrandi ndr), Alessandro è morto e il processo è finito lì
Presidente: “Quindi si è fatto un processo>>
<<No, non s’è fatto perchè Alibrandi è morto. Mio fratello (Cristiano Fioravanti ndr) è stato inquisito, ma la questione è ricaduta su Alibrandi che non era più in grado di rispondere. Questo fu il primo attribuibile al nostro gruppo, ......”.
Presidente: <<Ma questo di Rossi è un omicidio.>>
<< Si, ma non si arrivò da nessuna parte perchè in realtà la pistola era una e se la passavano l’un l’altro, ed è finita che Cristiano (Fioravanti ndr) è riuscito ad attribuire il colpo mortale ad Alessandro (Alibrandi ndr), Alessandro è morto e il processo è finito lì
Presidente: “Quindi si è fatto un processo>>
<<No, non s’è fatto perchè Alibrandi è morto. Mio fratello (Cristiano Fioravanti ndr) è stato inquisito, ma la questione è ricaduta su Alibrandi che non era più in grado di rispondere. Questo fu il primo attribuibile al nostro gruppo, ......”.
Testimonianza di Valerio Fioravanti, Udienza del
10 novembre 1989 della seconda Corte di Assise d’Appello di Bologna per
la strage alla stazione di Bologna.
Roma - settembre 1977 i giorni prima dell'agguato mortale avvenuto il 30 settembre del 1977.
Martedì 27 settembre
Due ragazzi di sinistra studenti di un liceo
dell’EUR (Paola Carvignani e Nazareno Bruschi, entrambi di 17 anni),
sono seduti su una panchina alla stazione della metropolitana dell’EUR.
Fermi insieme ad altri amici, vengono colpiti dalle pallottole sparate
da un ragazzo basso, tarchiato, che spara ad altezza d’uomo un intero
caricatore sul gruppo, prendendo la mira con entrambi le mani, poi
fugge a bordo di una vespa.
Paola Carvignani è ferita gravemente all’addome, Bruschi a un piede. (1)
Paola Carvignani è ferita gravemente all’addome, Bruschi a un piede. (1)
Giovedì 29 settembre
Verso le 22,30 da una Mini chiara che si
avvicina vengono sparati 5 colpi di pistola contro un gruppo di giovani
di sinistra che stazionavano a piazza Igea, Elena Pacinelli, 19 anni,
viene ferita da tre proiettili, un altro giovane si salva per merito
della borsa che portava a tracolla che riesce a fermare un proiettile. I
colpi sono sparati ad altezza del torace, è evidente l’intenzione di
uccidere. Elena non si riprenderà più, morirà pochi anni dopo per un
male incurabile. Nella macchina sono in tre, in un primo momento sembra
che a sparare sia stato l’uomo che si trovava accanto al guidatore.
Nella vettura, rubata il pomeriggio del 29 settembre nella zona di Tor
di Quinto e ritrovata l’11 ottobre, furono rinvenuti due bossoli, uno
calibro 7,65 e uno calibro 32, i quali rivelano che almeno due persone
hanno sparato.(2) I colpevoli di questo ferimento non sono stati mai individuati.
Venerdì 30 settembre
I compagni di Elena decidono di distribuire
un volantino di protesta nel quartiere della Balduina, dove era situata
una sede del MSI, ora AN, conosciuta per le frequenti aggressioni e
intimidazioni dei suoi militanti, punto di riferimento dei fascisti di
tutta la zona Nord di Roma. La dinamica dei fatti che avvennero verso
le otto di sera di fronte a decine di persone è estremamente chiara.
I compagni si ritrovano a via Pomponazzi nel quartiere Trionfale, un gruppo di una trentina di persone iniziò il volantinaggio da piazzale degli Eroi, salendo per viale Medaglie d’Oro fino a qualche centinaio di metri dall’incrocio tra viale Medaglie d’Oro e via Marziale, la presenza continua della polizia in borghese, (alcuni di loro furono fermati e perquisiti in viale Medaglie d’Oro),(3) sconsigliò i giovani dal proseguire, terminarono quindi il volantinaggio e rientrarono a via Pomponazzi.
Appena rientrati un giovane avverte che i missini hanno aggredito dei compagni a piazza Giovenale. In numero minore rispetto la prima volta, un gruppo dei giovani di sinistra decide di recarsi sul luogo per verificare i fatti, i compagni non sono tranquilli, la presenza della polizia fa temere qualche provocazione, in effetti viene chiesto alle compagne di rimanere a Pomponazzi e salgono in venti-venticinque. Procedono camminando sul marciapiede sinistro di viale Medaglie d’Oro. Dopo circa 300 metri, all’altezza del magazzino Standa,(4) alcuni giovani del gruppo sono fermati e perquisiti da poliziotti in borghese, scesi da 2 o 3 macchine civetta. La maggior parte dei giovani continua dirigendosi a Piazza Giovenale, mentre alcuni rimangono sull’incrocio per controllare la situazione in quello che era considerato il punto più pericoloso per la vicinanza alla sede missina.
Va rimarcato che non ci fu nessun tentativo da parte del gruppo di sinistra di dirigersi verso la sede fascista, i compagni non avevano nessun corpo contundente che poteva essere usato in un attacco ne tantomeno per difendersi, la presenza di polizia in borghese, la perquisizione subita pochi minuti prima e l’essere continuamente seguiti e sorvegliati, sconsigliavano a tutti qualsiasi tipo di organizzazione di autodifesa. In effetti la maggior preoccupazione dei giovani di sinistra non erano i fascisti ma la presenza della polizia, a fatti avvenuti non avevano torto.
I compagni si ritrovano a via Pomponazzi nel quartiere Trionfale, un gruppo di una trentina di persone iniziò il volantinaggio da piazzale degli Eroi, salendo per viale Medaglie d’Oro fino a qualche centinaio di metri dall’incrocio tra viale Medaglie d’Oro e via Marziale, la presenza continua della polizia in borghese, (alcuni di loro furono fermati e perquisiti in viale Medaglie d’Oro),(3) sconsigliò i giovani dal proseguire, terminarono quindi il volantinaggio e rientrarono a via Pomponazzi.
Appena rientrati un giovane avverte che i missini hanno aggredito dei compagni a piazza Giovenale. In numero minore rispetto la prima volta, un gruppo dei giovani di sinistra decide di recarsi sul luogo per verificare i fatti, i compagni non sono tranquilli, la presenza della polizia fa temere qualche provocazione, in effetti viene chiesto alle compagne di rimanere a Pomponazzi e salgono in venti-venticinque. Procedono camminando sul marciapiede sinistro di viale Medaglie d’Oro. Dopo circa 300 metri, all’altezza del magazzino Standa,(4) alcuni giovani del gruppo sono fermati e perquisiti da poliziotti in borghese, scesi da 2 o 3 macchine civetta. La maggior parte dei giovani continua dirigendosi a Piazza Giovenale, mentre alcuni rimangono sull’incrocio per controllare la situazione in quello che era considerato il punto più pericoloso per la vicinanza alla sede missina.
Va rimarcato che non ci fu nessun tentativo da parte del gruppo di sinistra di dirigersi verso la sede fascista, i compagni non avevano nessun corpo contundente che poteva essere usato in un attacco ne tantomeno per difendersi, la presenza di polizia in borghese, la perquisizione subita pochi minuti prima e l’essere continuamente seguiti e sorvegliati, sconsigliavano a tutti qualsiasi tipo di organizzazione di autodifesa. In effetti la maggior preoccupazione dei giovani di sinistra non erano i fascisti ma la presenza della polizia, a fatti avvenuti non avevano torto.
L’aggressione si svolse in due fasi, il gruppo di
giovani di sinistra stava ritornando da piazza Giovenale dove non era
avvenuto nessun contatto con i fascisti e tantomeno avevano avuto
conferma della aggressione subita da qualche giovane. Mentre si
ricongiungevano con il gruppetto che li attendeva all’incrocio tra via
Marziale e viale Medaglie d’Oro, una quarantina di fascisti provenienti
dalla sezione missina si attestarono sui due lati di Viale Medaglie
d’Oro, il più numeroso si fermò all’altezza dell’edicola, l’altro alla
stessa altezza ma sul marciapiede opposto.
Dal gruppo di fascisti vengono lanciati sassi e qualche bottiglia vuota, il gruppo di sinistra si compatta all’altezza del benzinaio, non risponde all’attacco anche perché nessuno aveva niente da usare allo scopo, comunque rimangono fermi senza scappare. I missini si ritirano e rientrano verso la loro sede. Dopo qualche minuto, i giovani di sinistra notarono un furgone della polizia, evidentemente fino a qual momento fermo davanti alla sede fascista, che si dirigeva lentamente verso di loro.
Dal gruppo di fascisti vengono lanciati sassi e qualche bottiglia vuota, il gruppo di sinistra si compatta all’altezza del benzinaio, non risponde all’attacco anche perché nessuno aveva niente da usare allo scopo, comunque rimangono fermi senza scappare. I missini si ritirano e rientrano verso la loro sede. Dopo qualche minuto, i giovani di sinistra notarono un furgone della polizia, evidentemente fino a qual momento fermo davanti alla sede fascista, che si dirigeva lentamente verso di loro.
Il blindato scendeva a luci spente sul lato
sinistro di viale Medaglie d’Oro, direzione Piazzale degli Eroi,
immediatamente dietro, seminascosto dal furgone, procedeva nella stessa
direzione un gruppo di fascisti (tra i 20 e i 25), sul marciapiede
opposto si intravedevano poche persone (2 o 3) anche queste in
direzione del gruppo di sinistra.
Parallelamente al blindato ma qualche metro più avanti, tra il blindato e il piccolo gruppo di fascisti sul marciapiede sinistro, si notavano due poliziotti in divisa anch’essi diretti verso l’incrocio.
All’altezza dell’edicola il gruppo più consistente dei fascisti si arresta, da qui viene lanciato qualche sasso verso i compagni, due persone si staccano dal gruppo più grosso e, attraversando di corsa il viale, si uniscono al gruppetto sul lato opposto che intanto si era fermato all’altezza del semaforo.
Parallelamente al blindato ma qualche metro più avanti, tra il blindato e il piccolo gruppo di fascisti sul marciapiede sinistro, si notavano due poliziotti in divisa anch’essi diretti verso l’incrocio.
All’altezza dell’edicola il gruppo più consistente dei fascisti si arresta, da qui viene lanciato qualche sasso verso i compagni, due persone si staccano dal gruppo più grosso e, attraversando di corsa il viale, si uniscono al gruppetto sul lato opposto che intanto si era fermato all’altezza del semaforo.
La manovra congiunta della polizia e dei
fascisti preoccupa i giovani di sinistra che retrocedono sospettando la
provocazione, lentamente, per non lasciare nessuno indietro, i
compagni cominciano ad allontanarsi. Il gruppo più ristretto dei missini, quello che procedeva sul
marciapiede destro, arrivò fino all’altezza del numero civico 108,
praticamente sull’incrocio ma sempre sul marciapiede, due persone
avanzarono rispetto gli altri, scesero dal marciapiede di un paio di
passi, uno di questi, quello più robusto e più basso dell’altro, si
inchinò leggermente prese la mira e sparò 3/4 colpi di rivoltella
contro il gruppo di giovani che si trovavano sul marciapiede che
delimitava l’area di rifornimento benzina.
Il blindato della polizia arrivava in quel momento all’incrocio.
Il blindato della polizia arrivava in quel momento all’incrocio.
Walter viene colpito alla nuca, cade sul
marciapiede, i suoi compagni che si erano riparati dietro le macchine
parcheggiate si accorgono dell’accaduto, corrono verso il punto dove
Walter è caduto, la gravità della ferita è subito evidente, in quello
stesso momento i poliziotti, con casco e manganelli caricano i compagni
tentando di disperderli. Alcuni si ribellano, riescono a bloccare
l’azione della polizia, l’unico pensiero era portare il più presto
possibile Walter in ospedale.
Si urla ai poliziotti di chiamare un’ambulanza via radio, viene risposto che il blindato non è fornito di radio, viene bloccato un furgone che passava in quel momento, il guidatore accetta di portare Walter verso il più vicino ospedale, il ferito viene adagiato sul pavimento del cassone, un amico e due poliziotti lo accompagnano.
Lo stesso proiettile che ha colpito Walter, proseguendo la
sua corsa, ferisce in modo fortunatamente lieve, il gestore della pompa
di benzina Giuseppe Marcelli.
Si urla ai poliziotti di chiamare un’ambulanza via radio, viene risposto che il blindato non è fornito di radio, viene bloccato un furgone che passava in quel momento, il guidatore accetta di portare Walter verso il più vicino ospedale, il ferito viene adagiato sul pavimento del cassone, un amico e due poliziotti lo accompagnano.
Il traffico è intenso in quel momento, sono
passati 5-6 minuti dopo le venti, un paio di volte i poliziotti sono
costretti a scendere per bloccare il traffico e far passare il furgone,
all’altezza di via Candia il cuore di Walter smette di battere,.
l’amico che lo accompagnava scende per aprire un varco nel traffico,
Walter arriverà ormai privo di vita all’ospedale Santo Spirito.
Walter
La storia di Walter Rossi,
giovane romano di venti anni assassinato in un agguato coordinato tra
polizia e fascisti, fa parte del lungo elenco di tragedie politiche che
hanno caratterizzato e marcato indelebilmente settanta anni di
“democrazia” repubblicana. Tragici eventi che hanno visto protagonisti servizi segreti civili e militari, forze dell’ordine, fascisti, gruppi stranieri, organizzazioni più o meno segrete, l’Alleanza Atlantica, le basi americane presenti in Italia, il tutto coperto e protetto dalla magistratura e dalla classe politica.
Come tutti sanno, di gran parte di questi fatti di sangue non si conoscono mandanti ed esecutori, per molti altri è stata garantita l’impunità.
Abbiamo perso da tempo l’illusione che il cambiamento della vecchia e corrotta classe politica, sperato negli anni settanta e ottanta, facesse finalmente luce su grandi vecchi, servizi deviati, oscure manovre della Cia e fascisti senza controllo. La nostra innocenza politica ci ha fatto credere e sperare che alla fine i buoni avrebbero vinto contro i mostri, che gli impegni scritti e sanciti dalla Costituzione e dalle leggi fossero infine rispettati.
Così non è stato e non sarà, almeno fino a quando non si ripresenteranno le condizioni per nuove rappresentanze sociali e politiche che riportino al primo posto del loro programma i valori base della convivenza civile quali libertà, indipendenza, giustizia, uguaglianza.
Così non è stato, anche perché ci siamo resi conto che i mostri non esistono, non ci sono burattinai e servizi deviati, fascisti impazziti e agenti segreti stranieri super addestrati, ma solo e soltanto gli interessi del potere economico e finanziario, nazionale ed internazionale, e della classe politica che lo rappresenta.
Così non è stato perché anche i buoni non esistono, il fascino del potere ha corrotto gli incorruttibili, cambiato il senso dei valori, stravolto i principi.
Guardandoci intorno comprendiamo a cosa è servito tutto questo sangue e le enormi menzogne che lo hanno accompagnato, gli scopi di allora sono stati raggiunti, lo sconvolgimento radicale del contratto sociale nato alla fine dell’ultimo conflitto, profondamente vincolato dai valori dalla resistenza antifascista, è stato in gran parte compiuto.
Viviamo oggi in uno stato che ha fatto dell’emergenza la sua costante: emergenza contro le stragi, contro il terrorismo, contro la malavita organizzata, contro la corruzione, l’immigrazione, l’islam, l’aids, la droga, internet, lavavetri e quant’altro può alimentare il terrorismo mediatico e istituzionale per giustificare un sistema che ha come scopo principale difendere se stesso, o per meglio dire, coloro che di questo sistema sono i principali beneficiari.
La realtà di oggi conferma la volontà di chi, ieri, ha messo bombe, costituito organizzazioni clandestine per un rafforzamento del controllo sociale, per il passaggio da una democrazia formale repubblicana ad uno stato di polizia dove fossero ridotti al silenzio qualsiasi stimolo innovatore e critica sociale.
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