domenica 29 settembre 2013

La fine del governo della follia.

L'esecutivo delle larghe intese si fondava sull'illusione che Berlusconi potesse diventare un politico moderato e responsabile. Finito quel sogno, Letta è costretto ad abbandonare i panni del pacificatore per attaccare il Caimano e portare il Pdl alla spaccatura. Con l'obiettivo di una nuova legge elettorale.

L'Espresso di Marco Damilano
 
"I mesi che abbiamo alle spalle segnano le nostre mosse di oggi. Abbiamo visto che con Berlusconi non si possono fare accordi, ha fatto tutta la campagna elettorale come se lui fosse sempre stato all'opposizione, assegnandoci la croce di aver votato i provvedimenti più impopolari del governo..." Era la mattina del 27 febbraio, a meno di quarantotto ore dal voto il Pd era ancora sotto shock per la mancata vittoria e l'allora vice-segretario del partito mi consegnò queste riflessioni da pubblicare sul numero dell'Espresso post-elettorale in chiusura. Si chiamava Enrico Letta.

Dopo sette mesi oggi siamo tornati al punto di partenza. Il Letta governante lascia il posto all'Enrico uomo di partito che aveva capito tutto. Ha provato a baciare il Giaguaro, a trascinare l'Italia "bellezza senza navigatore", come aveva detto il premier nel suo discorso di fiducia alla Camera citando Ligabue, in compagnia dell'Alleato di Arcore. E si è ritrovato con il bel regalo che il Cavaliere ha fatto a se stesso e al Paese per i suoi 77 anni (auguri...): una crisi di governo dalle conseguenze incalcolabili.

Eppure non si può dire che sia un gesto a sorpresa. Ieri Letta ha picchiato duro sul Berlusconi "folle", " bugiardo", "irresponsabile", un ritrattino veritiero che fotografa alla perfezione l'essenza del berlusconismo. La sciagura e' che l'ex partner di governo e' sempre stato così, dal suo ingresso in politica, anzi, fin dagli anni della sua ascesa imprenditoriale e televisiva. Folle, semmai, e' aver sperato in un suo mutamento di pelle, da avventuriero a statista. E fondato su una doppia illusione mendace il governo delle larghe intese. Per Berlusconi l'illusione del salvacondotto, dell'impunita' giudiziaria, sventata dalla magistratura che in Italia e' ordine indipendente dalle sottigliezze e dalle convenienze del gioco politico. Per una parte del Pd e per il regista dell'operazione, Giorgio Napolitano, l'illusione che con il Cavaliere si potesse stringere un patto, che la sua ammissione nel circolo del governo lo avrebbe tranquillizzato e placato.

Dopo la tragedia dei 101 di Prodi e il suicidio del Pd si potevano fare due cose. O un governo di scopo, sei mesi per fare una riforma elettorale e via. Oppure una grande coalizione alla tedesca, con un vero accordo di legislatura. Invece si è preferito andare a vista, i 18 mesi per le riforme, i saggi, il traino della crescita, la stabilità trasformata in un valore assoluto... Il fragile ponticello delle politiche, come aveva detto Letta, il sentiero delle cose da fare, il dio delle piccole cose, il pragmatismo contrapposto alla politica, quasi demonizzata come la sfera dell'ideologia, della contrapposizione fine a se stessa.

Ieri il premier, con uno scatto da leader che non ci sta a vedere lo spettacolo osceno di ministri che scattano sugli attenti a un sopracciò del loro Capo e si dimettono, si è ricordato che forse si governa con le politiche ma si diventa leader sul campo con la Politica, con un guizzo, un lampo, un cambio di gioco, un gesto di coraggio. Nel momento decisivo Letta ha abbandonato i panni dello zio Gianni e ha indossato di nuovo quelli del suo maestro Beniamino Andreatta e di Romano Prodi. Quando entrerà in aula per parlare di fronte ai parlamentari avrà alle spalle la lezione del ministro del Tesoro che, unico nella storia repubblicana, da cattolico sfidò il Vaticano sui soldi dello Ior. E quella del Professore di Bologna che per due volte è stato sfiduciato dai voltagabbana a pagamento ma è caduto in piedi, da hombre vertical.

Da uomo delle larghe intese Letta dovrà trasformarsi in samurai anti-berlusconiano, clamorosa metamorfosi. Nella speranza che il Pdl si spacchi e che arrivi qualche senatore in soccorso. Magra prospettiva. "Moderati dove siete?", invoca oggi Pierluigi Battista sulla prima pagina del "Corriere". Domanda interessante, ma di certo non sono nel Pdl.

I parlamentari eletti a febbraio sono quelli sopravvissuti alla scissione di Fini, alla tentazione di
Monti, quelli che hanno votato per Ruby nipotina di Mubarak e che non hanno mai battuto ciglio quando si devastava lo Stato di diritto e la Costituzione. Una settimana fa erano tutti li ad applaudire la rinascita di Forza Italia, decisa da un giorno all'altro. Che aiuto può arrivare da li a un eventuale governo Letta bis? L'appoggio di qualche opportunista, di qualche trasformista. O di chi magari non ne può più, tipo Fabrizio Cicchitto, che ora scopre che le decisioni di Berlusconi vengono prese ad Arcore, senza consultare l'ufficio di presidenza, capite?, e dove pensava che si prendessero, a Villa Wanda?

Il rischio è che il governo delle larghe intese diventi il governo dello Stretto, inteso come ministero alla siciliana. Nell'isola già da anni i partiti nazionali non esistono più, ci sono due o tre Pdl, due o tre Pd, non si sa più quanti centri e centrini, interscambiabili, in maggioranza e fuori a seconda dei momenti, con giunte regionali che durano pochi mesi. Non a caso i senatori del Pdl disposti a reggere il Letta-bis arrivano da quelle parti, dall'alfaniano (ex) Castiglione al mitologico Mimmo Scilipoti. Fare un governo Letta- Castiglione-Scilipoti con l'aggiunta di qualche grillino sarebbe un regalo al Caimano. Oggi è disperato, domani potrebbe risorgere con una campagna tutta contro "il governo dei trasformisti, delle manette e delle tasse". Con il Cavaliere ai servizi sociali a fare la vittima, la cosa che gli riesce meglio.

Questa legislatura e' partita con un tradimento che ha ucciso il Pd, quello dei 101, ora dovrebbe proseguire con un altro tradimento, quello di Berlusconi. Letta il guerriero e' abbastanza astuto per schivare la trappola. Chi scrive #lettacontinua deve sapere che non si prosegue con l'armata Brancaleone. L'unica strada è fare subito una riforma elettorale, con chi ci sta, e tornare a votare dopo aver approvato la legge di stabilità. Non facile perché non si può fare una legge qualsiasi.

La crisi di governo si avvita insomma in una ben più grave crisi di Sistema. E tocca ancora una volta al presidente Napolitano rendere l'ultimo servizio alla Repubblica, in coerenza con quanto aveva detto nel messaggio di insediamento- bis il 22 aprile. "se i partiti resteranno sordi non esiterò a trarne le conseguenze davanti al Paese". Ora quel momento e' arrivato.

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