mercoledì 25 settembre 2013

Manghi: se fossi un pro-Tav, io quei terroristi li pagherei


«Due visioni alternative dell’economia e del rapporto uomo-natura si fronteggiano in cagnesco, fino alla militarizzazione del territorio e al sabotaggio eversivo. Così, un presagio cupo ha preso a serpeggiare per la valle: che adesso ci scappi il morto, perché questi meravigliosi panorami alpini, come denuncia il procuratore torinese Gian Carlo Caselli, rischiano di trasformarsi nell’epicentro dell’antagonismo di tutto il continente europeo». Forse, ai sostenitori della Torino-Lione «potrebbe far comodo ridimensionare a controparte irresponsabile quello che è stato indubbiamente un movimento di popolo No Tav, talmente vasto da avere regalato al “Movimento 5 Stelle” percentuali di voto superiori al 40% perfino in comuni moderati come Susa». Parola di Gad Lerner, il primo opinion leader italiano ad aver ospitato la protesta valsusina in televisione, già nel 2005, quando il movimento No-Tav fece esplodere la protesta nonviolenta che costrinse il governo a ritirare il primo progetto della grande opera più controversa d’Europa.
Nonostante la sicurezza manifestata dal capo-progetto, Mario Virano, c’è chi immagina che la Tav valsusina possa finire come il Ponte sullo Stretto di Gad LernerMessina, «cioè che tra qualche anno a Roma il governo accampi ragioni di forza maggiore – la crisi si prolunga, i soldi non ci sono – per dire che non se ne fa più nulla», scrive Lerner in un lungo reportage pubblicato il 20 settembre su “Repubblica”, raro esempio di informazione plurale, a più voci, piena di domande più che di certezze di comodo. Per garantire i lavori dell’unico cantiere finora aperto – la mini-galleria geognostica di Chiomonte, opera secondaria e accessoria – si sono dovuti cintare 7 ettari di vigneto in cui si produce l’ottimo rosso Avanà: «Le forze dell’ordine filtreranno chiunque partecipi anche alla prossima vendemmia. Tanto basta perché fra i No Tav prenda piede la tentazione di radicalizzare le forme di lotta. La parola che fa paura, perché ciascuno la intende a modo suo, è: sabotaggio».

Il clima si è fatto pesante, riconosce Lerner. «Chiara Sasso, Claudio Giorno e gli altri “saggi” che hanno costruito il consenso popolare No Tav, definiscono “esagerato” l’allarme del giudice Caselli» e ora «guardano con sospetto alla vicenda del costruttore Fernando Lazzaro», quello che denunciò il clima intimidatorio in televisione e la notte stessa subì un attentato incendiario. «Non aiuta il ricordo degli episodi di 15 anni fa, falsi attentati No Tav dietro cui la magistratura riconobbe l’azione di personaggi legati ai servizi e alle mafie», aggiunge Lerner, senza trascurare che i No-Tav «non dimenticano che Bardonecchia, qui vicino, è stato il primo comune del Nord sciolto per ‘ndrangheta». Dunque, che fare, dopo i recenti attentati incendiari ai danni di imprese coinvolte nel cantiere? «Condannare i violenti, oppure limitarsi a denunciare la provocazione come “opera di Erri De Lucainfiltrati”?».  Per Lerner, è «l’eterno dilemma dei movimenti alle prese con la degenerazione delle forme di lotta».
I vecchi No Tav «rivendicano di ispirarsi alla nonviolenza di Alexander Langer, ma anche loro declinano quella parola minacciosa, sabotaggio, di cui lo scrittore Erri De Luca s’è vantato solo per il fatto di aver partecipato a un blocco autostradale». Sabotaggi popolari notturni ce ne sono stati, spiega la scrittrice Chiara Sasso, animatrice culturale del Valsusa Filmfest. «Vi parteciparono una quarantina di persone, tutti dai 50 anni in su. Fu messa fuori uso una torre-faro, tagliate delle reti. Nessun attacco alle persone. Poi si sono innescati episodi più pesanti, come il compressore bruciato dentro il cantiere. Francamente nessuno di noi, e neanche dei centri sociali torinesi, riesce a capire chi possa essere stato». Il sindaco di Avigliana, Angelo Patrizio, la pensa come il presidente della Comunità montana, Sandro Plano: sono No Tav moderati, che non esitano a dissociarsi dai violenti. Ma aggiungono: «Se qualche ragazzo in vena di teppismo si lascia andare a comportamenti ingiustificabili, potrà magari far comodo a chi addita perfino noi come pericolosi estremisti. Ma il primo blocco da rimuovere è la sordità opposta alle ragioni dei valligiani».
La novità politica, rileva Lerner, è che in Parlamento – a partire da grillini come il senatore valsusino Marco Scibona – siede ormai una rappresentanza numerosa di oppositori dell’alta velocità: «La vedremo in azione fra pochi mesi, quando dovrà essere ratificato il trattato italo-francese senza cui non può costituirsi la società che deve (dovrebbe) avviare i lavori del lungo tunnel-base. Solo allora il braccio di ferro esercitatosi finora intorno a un’opera secondaria come il tunnel geognostico, potrebbe dirsi concluso». Di fatto, la Francia ha già ufficializzato la sua decisione: per Parigi, il capitolo Torino-Lione potrà eventualmente riaprirsi solo dal 2030. Formalmente, anche se fino ad allora non verserà un euro per l’infrastruttura, la Francia consente all’Italia si continuare – almeno a parole – a tener viva la prospettiva della grande opera. Per questo il passaggio attuale è delicatissimo: prima dell’eventuale ratifica del trattato sul Tav valsusino, «la leadership del movimento potrebbe essere spintonata di lato dagli antagonisti che agiscono nell’ombra. E l’accusa di terrorismo, in un Bruno Manghidrammatico revival delle dinamiche degli anni di piombo, precipiterebbe su tutti loro».
Esacerbato da questa manovra, di cui attribuisce la responsabilità a «una cricca di politici, imprenditori chiacchierati e mass media», il portavoce finora più noto dei No Tav, l’ex bancario Alberto Perino, «lancia proclami di combattimento ma non accenna a dissociazioni nette, col rischio che a intimidirsi sia la popolazione della valle di Susa», sostiene Lerner. «Se io fossi un Pro Tav, questi terroristi li pagherei», dice il sociologo Bruno Manghi, che resta scettico sulla realizzabilità dell’opera. «Il risultato è che già oggi nel conflitto sono coinvolte in tutto 500 persone, portate alla ribalta dai giornali e dalla televisione. Passa in secondo piano il sottobosco mafioso affaristico che pure c’è, e che in passato aveva praticato l’incendio delle macchine». Così, riaffiorano vecchie divisioni sul territorio che rischia la militarizzazione già vissuta altrove, dall’Alto Adige alla Barbagia all’Aspromonte. «Bastano poche persone a rovinare tutto», si preoccupa Bruno Manghi. «Il barista che rifiuta il caffè al carabiniere. L’imprenditore e il sindaco Pro Tav intimiditi come capitava ai capireparto della Magneti Marelli negli anni Settanta. E, dall’altra parte, le buone ragioni della popolazione schiacciate dall’avanguardismo estremista».
La val di Susa è lunga, ricorda Lerner. È già stata traforata da grandi opere che hanno avvantaggiato solo delle minoranze, creando disagi pesanti. In alto ci sono i paesi benestanti del turismo invernale come Sestrière. Discendendo da Susa, dove la presenza operaia e la Resistenza hanno impresso un forte segno rosso nelle comunità, il fondovalle si rivela un’estensione periferica della grande Torino. «C’è chi ricorda la filiera di terroristi di Prima Linea cresciuti a Bussoleno e chi denuncia improbabili complicità fra i No Tav e la società autostradale Sitaf, che dalla ferrovia veloce sarebbe danneggiata. La dietrologia impazza». Anche gli apparati repressivi, continua il giornalista, rivivono la stagione in cui dalla val di Susa transitavano i fuggiaschi che volevano espatriare in Francia. «Un sottobosco che ha alimentato settori di imprenditoria malavitosa ingolositi dal nuovo business», quello dell’alta velocità. Per Claudio Giorno, «in oltre vent’anni di lotta è cresciuto davvero un fenomeno nuovo, la cultura dell’economia sostenibile, la democrazia partecipata, la critica feconda del sistema giunto al collasso». Bene, prende nota Lerner: «Purché la valle da cui transitarono le armate di Annibale, Carlo Magno e Napoleone, scavata ora da una talpa d’acciaio che non ha nulla a che fare con quella di Karl Marx, sappia liberarsi dall’invasione straniera dei violenti in cerca di rivoluzione».

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