Ha fatto scalpore la vicenda dell'uomo che nel padovano ha distrutto con un'ascia una macchinetta del videopoker. Una reazione alla ludopatia, ma più in generale una rivolta (ammissibile?) contro una realtà inammissibile.
L'Espresso di Stefano BartezzaghiE' il 2013 e solo ora la parola "ludopatia" incomincia ad apparire sui dizionari italiani: sinora l'avevo trovato solo sull'ottimo "Dizionario dei giochi" di Angiolino e Sidoti (Zanichelli, 2010). Il primo incontro risale però al 1996: "ludopatía" aveva un segno di accento acuto sulla "i" ed era il titolo di un libro spagnolo che già poneva il problema (in copertina, un uomo legato con una catena a una roulette).
Questo di "ludopatia" è uno di quei casi in cui la mancanza della parola lascia sospettare una sottovalutazione della cosa. Basta passare davanti a una sala da gioco (solo ieri sera, a Milano, fuori da un Bingo un giovane diceva al telefono: «Ah grazie, che bello, allora mi gioco anche questi cento e vaffanculo»; spero solo che non parlasse al suo usuraio). Se non ci sono le parole, avrà pensato lo sfortunato giocatore padovano, passiamo ai fatti. Quello che ha commesso lui ricorda il monologo interiore di "A colpi d'ascia", uno dei romanzi più corrosivi di Thomas Bernhard. Un uomo giace sulla poltrona di un salotto letterario, fra artisti, scrittori, damazze, e progetta di distruggere appunto a colpi d'ascia l'ambiente di una società culturale. Il problema, insomma, è scegliere in quale dei due sensi dell'aggettivo si possa rendere la propria realtà più accettabile.
Anagramma: Thomas Bernhard = thrash, bored man! (più o meno: percuoti, colpisci, uomo annoiato!)
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