Una legge sul Dopo di noi, unico fondo che aiuta i disabili dopo la morte dei genitori, che è stata azzoppata economicamente e realizzato per il momento solo in quattro Regioni.
Non da ultimo, un ministero senza portafoglio da cui si attendono risultati concreti.
L’Italia festeggia (si fa per dire) la Giornata internazionale delle persone con disabilità che si celebra ogni anno il 3 dicembre e si fa trovare ancora una volta impreparata.
Basta parlare con associazioni e attivisti ogni giorno impegnati sul campo, per scoprire un mondo ancora troppo spesso dimenticato e la difficile quotidianità degli oltre 3 milioni di disabili che vivono in Italia.
E l’elenco dei problemi è molto lungo: diritti ignorati, barriere architettoniche che impediscono la mobilità, una scuola non inclusiva, fondi pubblici insufficienti per garantire una qualità di vita dignitosa, oltre che mancanza di politiche sociali strutturali degne di un Paese del G7. Le organizzazioni che si battono per tutelare i disabili, quelle che ogni anno invocano la riattivazione dell’Osservatorio nazionale, rivendicano pari opportunità anche per chi ha una disabilità motoria, psichica e intellettiva. L’evento mondiale è stato indetto nel 1992 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il tema dell’edizione 2018 è il coinvolgimento diretto dei disabili nell’ottica di garantire l’inclusione e l’uguaglianza, come parte dell’Agenda 2030 Onu.
Lega del Filo d’Oro: “Vogliamo una legislatura più vicina alle persone” – Da quando è nata nel 1964 la sua associazione ha messo i bisogni delle persone al centro. Francesco Mercurio, presidente del Comitato delle Persone sordocieche della Lega del Filo d’Oro, è convinto che l’Italia sia in mezzo al guado. “L’Italia ha ratificato nel 2009 la Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con disabilità, dove si afferma che la disabilità è un concetto in evoluzione, che è il frutto dell’interazione tra la minorazione da cui è affetta la persona e l’ambiente nel quale vive. Poi nel nostro paese – dice Mercurio al Fatto.it – nonostante la legislazione nel complesso sia buona, tuttavia essa è totalmente incentrata sull’handicap, cioè su una valutazione esclusivamente sanitaria, standardizzata, che non tiene in alcun conto della singola persona, la sua storia, le sue necessità, le sue potenzialità. Occorre dunque fare un ulteriore sforzo, che non è solo legislativo, ma soprattutto culturale: bisogna passare dalla cultura dell’handicap alla cultura della disabilità”. In ambito istituzionale, la Lega del Filo d’oro è in prima linea nelle battaglie per una legislazione più vicina alle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, dalla legge sull’amministratore di sostegno, alla prima legge che riconosce diritti alle persone sordocieche, fino alla recente legge 112/16, (la cosiddetta legge sul Dopo di noi, ndr) e sostiene con forza il miglioramento della normativa vigente e l’adozione di nuovi provvedimenti legislativi, come il riconoscimento della Lingua italiana dei segni (Lis). Ricordando come l’ambiente e il contesto circostante possono influire nell’autonomia e nel diritto all’inclusione nella società delle tante persone disabili tra cui oltre 189 mila sordociechi residenti in Italia, uno studio condotto dall’ISTAT per conto dell’associazione evidenzia che per circa il 57% degli adulti sordociechi rappresenta un problema insormontabile anche solo uscire di casa e per quasi il 90% risulta difficilissimo utilizzare i mezzi di trasporto o accedere agli edifici pubblici, tra cui ospedali, scuole e uffici amministrativi locali. “Nessuno oggi in Italia – aggiunge Mercurio – entrando in una casa, si chiede se c’è l’acqua o la corrente elettrica, lo diamo tutti per scontato. Vorrei che questo avvenisse anche per le rampe di accesso agli edifici, per i segnali sonori agli attraversamenti per strada e per la lingua dei segni nei programmi tv, così da diventare una cosa del tutto normale. Purtroppo qui siamo ancora indietro rispetto alla media degli stati aderenti all’Unione Europea”.
Genitori tosti in tutti i posti: “Ogni barriera architettonica deriva dalla volontà di non considerare l’inclusione prioritaria” – Il percorso affrontato da molti genitori con figli con disabilità porta progressivamente a prendere atto dei motivi di fondo della frequente esclusione delle persone con disabilità dalla società. “Il problema – sottolinea a Ilfattoquotidiano.it Giovanni Barin, vicepresidente di Genitori Tosti in tutti i Posti – è squisitamente culturale: ogni barriera viene generata dalla volontà, più o meno manifesta, di non considerare l’inclusione come valore primario di ogni progettualità. Dimenticando che rendere inclusivo un contesto, un ufficio, un bar, un’abitazione, una piazza o un sentiero, arricchisce e facilita la vita di tutti, senza appunto esclusioni”. Con questa consapevolezza le associazioni delle persone con disabilità agiscono ogni giorno per favorire la cultura inclusiva delle persone migliorando i contesti di vita. Questa è la finalità, ad esempio, del progetto “Scuola4ALL” concepito da Genitori Tosti e dal Comitato Lodigiano per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche e sensoriali (CLEBA), “perché è innanzitutto con i giovani che si può lavorare in questa direzione: coinvolgendo le scuole per trasmettere questo pensiero a tutti. Scuola4ALL a Lodi – continua Barin – è iniziato con percorsi di alternanza scuola-lavoro e vedrà in occasione del 3 dicembre un convegno incentrato sulla cultura inclusiva per il superamento delle barriere a 360°”. Non solo quelle architettoniche: nel convegno il concetto di “barriera” verrà esteso a ogni livello. Le barriere sono infatti anche quelle sensoriali, cognitive, comunicative oltre che fisiche. “Basti pensare – aggiunge Barin – che nelle scuole il 7% circa degli alunni ha una disabilità fisica e sensoriale; significa che gli altri ragazzi devono affrontare barriere che, assieme alle strategie per superarle, vengono nella quasi totalità ignorate”.
Movimento insegnanti di sostegno specializzati: “Serve un piano serio ed efficace” – Uno dei punti più dolenti dove si evidenziano i maggiori deficit d’inclusione è quello della scuola italiana, dove 245.723 alunni con disabilità vivono quotidianamente sulla propria pelle la mancanza di personale formato ad hoc e una girandola infinita di supplenti. Ernesto Ciraci, presidente del Movimento insegnanti di Sostegno specializzati (MiSos) ritiene “fondamentale continuare a sensibilizzare le istituzioni e la comunità scolastica sui temi della disabilità, allo scopo di valorizzare le differenze e incrementare l’inclusione, armonizzando le specificità di ogni studente”. Ma il quadro è sempre lo stesso, nonostante le promesse di risoluzione dei disagi sempre più evidenti. “Purtroppo – continua Ciraci – ogni anno ci troviamo a fronteggiare una vera e propria emergenza sul sostegno, caratterizzata da un’ingiustificata discontinuità didattica per i nostri alunni con disabilità. La situazione non cambia: migliaia di cattedre in deroga di sostegno, mancanza di un piano di stabilizzazione del personale specializzato che costringe i docenti di sostegno precari a cambiare ogni anno scuola e la lacunosa formazione del personale scolastico sulle prassi di buona inclusione e sulle tematiche della disabilità”. Il numero uno di MiSos lancia un appello al governo e al Miur per “realizzare concretamente un processo di inclusione di qualità e la garanzia al diritto allo studio, spesso ostacolato dalla burocrazia farraginosa e dai ritardi nell’attribuzione degli insegnanti di sostegno”. Ma cosa occorre? “Serve subito un piano serio ed efficace sul sostegno scolastico, prevedendo già nella Legge di Bilancio un congruo stanziamento di risorse, affinché vengano stabilizzati con la trasformazione delle oltre 55mila cattedre in deroga (supplenze sul sostegno, spesso ricoperte da personale non qualificato), gli insegnanti specializzati precari e venga potenziata la formazione di tutto il personale scolastico”.
Unione italiana lotta alla distrofia muscolare: “Aumentare i fondi per il Dopo di noi e favorire l’inclusione lavorativa” – Anche l’UILDM evidenzia che “c’è ancora molto da fare” per rispondere a bisogni diffusi su tutto il territorio. In particolare la più importante associazione nazionale di persone con patologie genetiche neuromuscolari chiede di aumentare i fondi per il Dopo di noi, ritenuti insufficienti, e favorire l’inclusione lavorativa dei disabili. “Una vita davvero indipendente e autonoma non può realizzarsi senza una adeguata copertura finanziaria”, dice a ilfattoquotidiano.it Marco Rasconi, presidente nazionale UILDM. “È necessario investire a lungo termine contro ogni discriminazione. Il fondo sul Dopo di noi non solo ha subito un taglio di 10 milioni di euro nella legge di Stabilità votata lo scorso anno, ma la sua attuazione è ancora fortemente in ritardo. A oggi – aggiunge Rasconi – solo in Lombardia, Marche, Molise e Toscana si è partiti con i progetti individuali per una vita autonoma: si è dunque ben lontani dal consentire alle persone con disabilità di vivere in modo indipendente e avere pari accesso a tutti i servizi”. Oltre ai servizi manca il lavoro per quei disabili in grado di iniziare una occupazione. Secondo l’Osservatorio nazionale della salute nelle regioni italiane, la percentuale di donne con disabilità nella fascia d’età 15-44 anni che lavorano è il 20,4% (contro il 46,3% della popolazione femminile normodotata per la stessa fascia d’età); mentre gli uomini con disabilità occupati in quella fascia di età sono il 24,8% (contro il 62,7% del resto della popolazione maschile). “Sono dati che meritano un investimento maggiore in termini di impegno e di forze” dichiara Rasconi. UILDM, ad esempio, attraverso il progetto PLUS finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali con il primo bando “unico” previsto dalla riforma del Terzo settore, promuove l’inserimento lavorativo, sociale e territoriale offrendo a 80 persone con disabilità dai 18 ai 40 anni in 16 regioni italiane un percorso di orientamento, formazione e job coaching.
Max Ulivieri: “Quando si parla di sessualità per i disabili c’è un blocco. In Italia occorre maggiore libertà di scelta” – Diversi sono i diritti che in Italia non vengono garantiti ai disabili e alcuni di questi sono considerati quasi come dei tabù. Uno di questi, secondo Max Ulivieri, project manager nel campo della disabilità e blogger, è soprattutto quello dell’assistenza sessuale o come la chiamano alcuni diritto all’affettività. “Si sente spesso parlando di disabilità– spiega Ulivieri al Fatto.it – la frase ‘massima autonomia possibile’ in riferimento al compito principale che si dovrebbero assumere ogni professionista per migliorare la qualità e l’indipendenza delle persone con disabilità di cui si occupano. Questo principio è condivisibile, accettato e auspicabile in molti campi: muoversi, studiare, comunicare, lavorare. Se lo introduciamo nella sessualità invece c’è un blocco”. Per il responsabile del primo progetto italiano in questo ambito, chiamato LoveGiver e attivo dal 2013, “non si riesce più a concepire questa massima autonomia. La rimandiamo e creiamo una scaletta di priorità, come ne esistesse una universale, quando in realtà ognuno deve avere la sua. Sono responsabile in Italia della figura dell’assistente sessuale che cerca nei casi più complessi (non solo disabilità fisica ma anche intellettiva) di portare anche in questa importante sfera della vita, l’autonomia massima o perlomeno non la privazione in cui molti sono costretti. La libertà di scelta per me vale più di ogni concetto personale e questa libertà va difesa”.
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