Marcello Bruzzese stava
entrando nel garage di casa: contro di lui sparate decine di colpi con
una pistola automatica calibro 9. Si indaga per capire come i due killer
lo abbiamo individuato: un tragico errore da parte di chi lo proteggeva
o una 'talpa' nelle istituzioni?
Qual è stata la falla nel sistema di protezione del Viminale?
Della sicurezza della persona protetta si occupano speciali nuclei di protezione delle forze dell'ordine che dipendono dal Servizio centrale di protezione del Ministero dell'Interno:
vengono cambiate le generalità a tutti i familiari compresi i figli
affinché dalla loro frequenza nelle scuole non si possa risalire ai
genitori.Ecco come Anacleto Flori - funzionario amministrativo presso il Ministero dell'Interno - descrive questo mondo di 'invisibili' in un articolo pubblicato sulla rivista mensile "Polizia Moderna". "Quei testimoni e quei collaboratori devono diventare da un giorno all'altro uomini e donne senza più un volto. Devono lasciare i luoghi che li hanno visti nascere e crescere, entrare in un protettivo, ma inquietante cono d'ombra che tutto nasconde, ma soprattutto devono imparare a mimetizzarsi con l'ambiente circostante, fino a diventare invisibili, quasi incorporei".
LE VITE DEVASTATE DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA
"Anche le loro vere identità - aggiunge Flori - devono essere cancellate, cambiate, affidate all'oblio, perché i boss mafiosi difficilmente dimenticano il nome di un 'infame'. Da quel momento, da quella scelta di rottura con il passato le esistenze dei testimoni, dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari sono appese a un filo. Spetta allora allo Stato, quello stesso Stato che ha avuto un aiuto prezioso nelle indagini, non voltargli le spalle e garantire loro la necessaria protezione e assistenza".
Le barriere dello Stato che li difendono sono tali e tante da rendere impossibile a chiunque di essere individuati nella loro dimora che a tutti gli effetti è segretissima. La domanda, ora, è: come hanno fatto i due killer a scovare Bruzzese? Qual è stata la falla del programma di protezione: un tragico errore o, peggio, una 'talpa', magari annidata nelle istituzioni?
Marcello Bruzzese, fratello di un collaboratore di giustizia
Marcello Bruzzese è il fratello di Girolamo, collaboratore di giustizia
dai primi anni Duemila. La loro non è una famiglia di boss, ma nella
gerarchia della 'ndrangheta, fino agli anni Novanta, vantavano un posto
di rango. Il padre Domenico, ucciso in un agguato nel '95 insieme al
genero Antonio Madafferi, era il braccio destro del potentissimo boss
Teodoro Crea, padrone incontrastato dell'economia, della politica e
dell'amministrazione di Rizziconi, nella Piana di Gioia Tauro.Una posizione privilegiata, in parte ereditata dal figlio Girolamo, che in questo modo ha potuto conoscere molti dei segreti del clan, poi rivelati ai magistrati. Sue le dichiarazioni che in passato hanno permesso di conoscere i politici a disposizione della cosca Crea e hanno portato all'arresto dell'esponente dell'Udc, Pasquale Inzitari.
Marcello invece non aveva seguito lo stesso percorso, anche dopo il pentimento del fratello sarebbe rimasto per anni in Calabria. Tuttavia, secondo indiscrezioni, da qualche tempo avrebbe tentato di distaccarsi dall'asfissiante ambiente della Piana. Dopo un primo tentativo di trasferimento al Nord naufragato, da tre anni, insieme alla famiglia, aveva messo radici a Pesaro, ma questo non sembra essere bastato per metterlo in salvo.
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