sabato 22 dicembre 2018

Scuola e Studenti. Adesso noi ci siamo: la nuova opposizione la fanno gli studenti.

Da Milano a Alcamo.  I ragazzi nati attorno al 2000 vogliono più politica. Per dire no 
al viaggio nel passato. E riempire un vuoto. «Combattiamo la demagogia delle istituzioni via social. Se ci mobilitiamo  in tanti, un po’  d’urto si sentirà».

Adesso noi ci siamo: la nuova opposizione la fanno gli studenti

C'è matematica, domani, verifica sulle derivate. Così da un’ora studiano, in cinque, attorno a un tavolo sghembo. Libri, stufe elettriche, sigarette, musica. Hanno occupato da tre giorni e stanno ancora attrezzando tutto qui al “Lambretta”, centro sociale che ha appena ripreso spazio, dopo l’ultimo sgombero, in una palazzina abbandonata dietro la stazione Centrale di Milano. «Questo governo per me è stato uno shock», racconta Elea, felpa nera, jeans, quinta superiore, mentre apre una stanza ammassata di mobili dove troverà posto, spiega, il “Coordinamento autonomo di studenti e collettivi”: «Il decreto Salvini ce l’ho fisso in testa. Perché ogni cosa vi è scritta dentro è una forma di discriminazione. È un affronto ai valori in cui credo. Allo stesso tempo però non sopporto il Pd, il loro finto perbenismo, la loro ipocrisia. L’opposizione deve essere reale e concreta. Dev’esserci dentro la vita». È questo il motivo per cui sono tornati in piazza gli studenti. Per costruire un’opposizione dentro cui scorra la vita.


Nel loro autunno curricolare di proteste, quest’anno, non hanno alzato la voce solo contro le riforme scolastiche, così, contro i programmi sull’istruzione. Ma si sono rivolti contro il governo. Hanno dai 15 ai 20 anni, fino a 100 gruppi whatsapp sul cellulare, una comunicazione che passa più su instagram che sugli altri social, e voglia di tornare a mobilitarsi in massa. Si oppongono al decreto Sicurezza, alla stretta sull’accoglienza, denunciano «la demagogia del governo che continuamente strumentalizza e demolisce la solidarietà umana, trasformando in criminali coloro che cercano di dare dignità a tutti», come recita il comunicato dell’occupazione al Tasso di Roma, iniziata il 20 novembre e finita dopo quattro giorni di dibattiti. Il testo dei liceali romani è stato condiviso in Rete da migliaia di persone, diventando manifesto inaspettato di un nuovo fronte politico possibile, per molti, oltre che un caso mediatico. «Il comunicato pubblico è nato dopo un percorso durato mesi», ci tiene a precisare, dai corridoi del Tasso, Lorenzo: «una volta a settimana ci siamo incontrati e abbiamo discusso di quello che stava accadendo. Abbiamo capito che noi studenti, noi futuri elettori, non potevamo rimanere inermi». Hanno guardato le previsioni meteo ogni settimana, decidendo i giorni con il cielo senza nuvole, seduti su un marciapiede, invece di tornare a casa, hanno discusso e scritto punto per punto il loro programma politico. «Non tutti eravamo d’accordo con l’occupazione», aggiunge Alberto, anche lui studente del Tasso: «Ma condividevamo l’idea di ribellarci e rendere pubblica la nostra visione». Allora hanno preso i banchi, e li hanno girati verso il centro. Hanno scelto di intervenire nel dibattito politico nazionale.


«Per me il punto di rottura è stato quest’estate, racconta Nina del Tito Livio di Milano, dove il collettivo prima non esisteva, ricorda, mentre adesso raccoglie decine di adolescenti ogni settimana, per l’assemblea del pomeriggio che dura due ore: «Abbiamo protestato contro decreti e manovre che impoverivano la scuola, e la società, anche gli anni scorsi. Ma quest’estate, con il caso Aquarius, ho sentito che era stato oltrepassato il limite. Che l’inumanità era diventata troppo radicale. E andava quindi denunciata con più urgenza. Ho sentito che come studenti abbiamo il dovere di sfruttare il nostro tempo per fermare questo governo». Le manifestazioni sono iniziate a ottobre, in molte città d’Italia. Hanno continuato a novembre. E ora, promettono, non si fermeranno. Il prossimo appuntamento condiviso è per il 14 dicembre, a pochi giorni dalla manifestazione di supporto alla Lega prevista in Piazza del Popolo sabato 8. La propaganda torna in strada, e così anche chi vuole resistervi.

«Sentiamo di poter dare vita a un’opposizione che in Parlamento non esiste», aggiunge Samuele Lucidi, presidente della Consulta studentesca di Roma, uno dei più assidui frequentatori della “Piattaforma degli Studenti Medi”. Nata da cinque anni è diventata quest’anno un laboratorio politico degli istituti e dei licei capitolini. «Rispetto agli anni passati», sottolinea Samuele, «per la prima volta protestiamo contro il programma di governo e non solo contro le politiche scolastiche attuate». E la mobilitazione sta aumentando. «Prima c’era meno fermento, meno partecipazione, adesso gli studenti hanno paura delle decisioni che si stanno prendendo, e al collettivo del nostro liceo arriviamo ad essere anche in trecento», racconta Luca del Virgilio di Roma, dove le forze dell’ordine sono entrate intimando ai ragazzi di lasciare la scuola dopo l’occupazione: «Sapevamo che poteva essere una conseguenza, ma non ci aspettavamo di certo un’azione del genere».

Ginevra sistema su una sedia dell’aula-studio la sua giacca oversize. Nel cortile del centro sociale dei ragazzi grigliano salamelle, raccolgono fondi per un progetto che andrà in Palestina, a Gaza. Dentro il garage una banda suona musica dal vivo fra la nebbia delle canne, del freddo, del dicembre allo smog di Milano. I vicini della nuova occupazione del Lambretta sembrano averli accettati, per ora; il pizzaiolo offre un po’ di riscaldamento, dei signori entrano a sbirciare cosa succederà.

Ginevra detta Ginni ha 18 anni e per l’alternanza scuola-lavoro, dopo una sfilza di conferenze e di corsi di recupero («un vero fake») è riuscita a farsi mandare al Cnr a seguire un’attività sulla fisica del plasma, «che è poi quello che voglio fare da grande». Ma non è ancora certa. Per ora è impegnata più in politica che in scienze, «dobbiamo rispondere alla manipolazione a cui siamo esposti in questa perenne campagna elettorale», dice. Il primo dicembre era in piazza per manifestare contro la creazione dei nuovi centri per il rimpatrio, carceri dove i migranti possono essere trattenuti fino a sei mesi solo per il fatto di aver varcato il nostro confine. «È disumano, ed è contro la nostra Costituzione», dice: «Le parole di Salvini, il razzismo, hanno iniziato a far breccia anche fra i ragazzi. L’altro giorno il prof faceva lezione sulla colonizzazione. Il dibattito fra alcuni miei compagni ha virato su posizioni assurde. Alcuni arrivavano a giustificare il darwinismo sociale. È fondamentale farci sentire di più». Per rispondere alla discriminazione. Certo, conclude, «so che alla Lega, o al governo, fa comodo se siamo tutti impegnati a parlare di razzismo, forse, anziché di altri argomenti, come dei fondi che hanno fatto sparire; ma non possiamo non farlo. Perché se le voci antirazziste sono solo quelle del Pd o della Lega, è necessario far sentire di più la nostra».

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini li dà in pasto agli odiatori online di professione, oppure si limita a bollarli come “figli di papà anti-Salvini”, a liquidarli come “radical-chic”. «Io sono di Gratosoglio e al suo populismo spiccio ribatto sempre nel merito», ribatte Simone. Simone è di Gratosoglio, appunto, una periferia «dove in molti stanno male», ed è uno dei riferimenti della “Rete studenti Milano”, network di collettivi che l’anno scorso ha occupato “Zip”, uno spazio sociale che è stato sgomberato presto. Ci hanno riprovato il 16 novembre, ma sono stati cacciati di nuovo dalla polizia dopo poco. «Per me essere contro il governo significa essere contro un modello che intende la sicurezza come repressione e controllo, ad esempio, dentro e fuori dalle scuole. La sicurezza non si fa con i cani o le telecamere, secondo noi. Si fa stanziando fondi per le politiche sociali».

Quella contro il decreto Sicurezza è la prima e più ampia battaglia comune del nuovo fronte studentesco, che si oppone al programma lanciato dal ministro dell’Interno contro lo spaccio - «mandano la polizia con i cani anziché intervenire con l’informazione e la prevenzione, che restano completamente assenti», denunciano - e alle altre misure inserite nel decreto. Mentre questioni come il reddito di cittadinanza, o l’Europa, sembrano rimanere in secondo piano, perché troppo complesse o ancora viste su posizioni diverse fra loro, sulla sicurezza la voce è compatta, così come sui diritti civili e sociali da cui non si può indietreggiare, dicono. Parlano di legge 194, di aborto, di accessibilità dei servizi pubblici, di uguaglianza e inclusione. Affiancando queste cause alle proteste specifiche, come quella contro i piani per la videosorveglianza nelle aule. Oppure contro chi vuole chiudere spazi pubblici in città. «Guarda Pisa: era una città universitaria dove era possibile divertirsi», spiega Matilde, «adesso è stata messa in piedi una politica repressiva dall’amministrazione leghista di Michele Conti che non ci permette di sederci dove vogliamo. Dobbiamo stare come dei soldatini sulle panchine».

È domenica, a Firenze, e i rappresentanti delle scuole si incontrano per opporsi al governo, come recita il loro slogan d’apertura. Vengono da Pisa, appunto, da Lucca, Arezzo, dalle roccaforti rosse strappate alla sinistra da “una destra che non si arresta”. «Per farci sloggiare da piazza dei Cavalieri, lo storico luogo di incontro dei più giovani», continua Matilde, «passano con le idropulitrici dalle 21 fino alle due di notte. Ma noi non molliamo».

Al liceo Vittoria Colonna, uno degli istituti meno politicizzati di Roma, occupato dal 26 novembre, un telo bianco sbuca da una finestra dell’ultimo piano. C’è scritto “Sempre e comunque Colonna occupato”. Anche loro “non mollano”. I ragazzi sono seduti fuori, sui motorini; fermano la gente che cammina: «Soldi per la scuola», ripetono a litania, attendendo che qualche passante infili divertito nella scatola di cartone gli spiccioli che ha in tasca. La protesta è in pieno centro storico, a neanche dieci minuti a piedi dalla residenza romana del ministro dell’Interno. «Posso vedere il tesserino da giornalista?», chiede un rappresentante all’ingresso. Arrossisce, si volta in cerca di consenso, poi spiega: «Sono venuti agenti in borghese, polizia e forze dell’ordine varie. Per quello che ne sappiamo noi, voi potete essere chiunque». «Ci hanno fatto sempre domande di rito», spiega un compagno, quasi sulla difensiva. Fuori dalla porta entrano ed escono gli alunni in sciopero, ormai è buio, i più piccoli abbandonano l’edificio per andare a cena. «Abbiamo deciso di occupare all’unanimità per alzata di mano, solo due di noi erano contrari; due su novecento studenti». Le motivazioni della protesta sono su un comunicato diffuso via instagram, e ricordano le voci del resto del Paese: «Quest’ultimo governo sta attuando una politica repressiva». A chiusura del comunicato: «La forma di protesta da noi attuata non si pone né contro la Dirigente Scolastica, in primis, né contro il Corpo docenti, né, tantomeno, contro il Personale Ata».

La scuola non è scomparsa dai loro programmi. Anzi. Continuano a combattere contro l’alternanza scuola-lavoro che è «un’introduzione alla precarietà», come dice Simone: «Anche se togliere fondi, adesso, equivale solo a peggiorarla. Andrebbero proposti piuttosto comitati paritetici che scelgano le aziende»; si battono per abbassare i costi dei trasporti, dei libri, per rendere vivibili le aule. Lucio, un rappresentante della consulta di Palermo, ricorda: «Siamo una delle regioni che soffre maggiormente di abbandono scolastico. Ma su questo punto: niente. Abbiamo un numero di crolli preoccupante, fragilità di strutture che mettono a rischio la nostra incolumità. Ricordo solo il cedimento del controsoffitto di un’aula dell’istituto magistrale Regina Margherita di Palermo avvenuto nei giorni scorsi. Al posto di spendere soldi in telecamere il governo potrebbe aumentare i fondi per gli edifici. Questi sono gli interventi che servono». Gli studenti siciliani si incontrano in piccole assemblee, attraversano la regione, cercando di dare spazio anche ai centri più piccoli come Alcamo e Modica, divenute le due cittadine protagoniste della manifestazione nazionale del 16 novembre. «Volevamo far capire», spiega Lucio, «che tutta la Sicilia è in fermento. Stiamo lottando non solo per delle scelte scellerate portate avanti da questo governo, ma anche per una politica regionale che ci ha completamente abbandonati, in Sicilia manca una legge regionale per il diritto allo studio. Per noi è inaccettabile». Per questo vogliono cambiare.

«A me il sistema scolastico non va giù. Non sopporto le lezioni frontali, non sopporto che la bussola sia schiacciata ancora solo sull’Occidente, che non includa le differenze», aggiunge Elea, dal Lambretta di Milano: «Però ovviamente so che è importante frequentare le lezioni, perché la scuola dà gli strumenti per essere liberi». Prende una sigaretta. «Ma diventare consapevoli, e sviluppare un pensiero, una coscienza critica, è anche il nostro compito politico, come generazione. Combattere la demagogia con cui il governo parla sui social. Se ci mobilitiamo un po’ d’urto si sentirà».

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