Per fare un seme ci vuole un frutto, così cantavamo da bambini. Poi a
scuola ci hanno insegnato che il seme contiene un embrione, e che per
farlo ci vuole un’ovocellula fecondata dal polline. Il sogno dei
genetisti agrari, però, è sempre stato di riuscire a produrre i semi
usando soltanto la cellula madre.
crispr.blog
Ebbene questo sogno si è realizzato:
un gruppo guidato da Venkatesan Sundaresan, dell’Università della
California a Davis, ha annunciato su Nature di
aver sviluppato una varietà di riso capace di riprodursi
efficientemente in modo asessuato. Attraverso semi che sono cloni
geneticamente identici e vengono definiti “apomittici”.
Chiariamo subito che non si tratta di un exploit fine a se stesso, né
di una semplice curiosità botanica. Questo balzo in avanti ci avvicina
all’agricoltura del futuro, perché facilita enormemente il lavoro a chi
cerca di migliorare le piante di interesse agrario, per aumentarne la
produttività e la resistenza agli stress, anche nel sud del mondo.
Potrebbe valere miliardi di euro all’anno.
“Si tratta di un risultato rivoluzionario, che apre la strada
all’introduzione dell’apomissia nelle specie sessuali”, conferma Emidio
Albertini, che studia la genetica e l’evoluzione di questa modalità di
riproduzione asessuata all’università di Perugia.
Questo fenomeno accade
naturalmente in circa 400 specie, sia mono che dicotiledoni, ma non si
verifica in nessuna delle piante coltivate dall’uomo, che necessitano
sempre della riproduzione sessuale. Eppure per gli agricoltori sarebbe
utilissimo disporre di piante con caratteristiche superiori capaci di
produrre semi identici a loro stesse.
“Non tutti sanno che molte varietà sono commercializzate sotto forma
di ibridi. Gli agricoltori non possono utilizzare i semi prodotti da
queste piante, perché otterrebbero una progenie molto variabile a causa
della ricombinazione genetica legata alla riproduzione sessuale,
perdendo il vigore degli ibridi”, spiega Albertini. Per questo da molti
decenni è pratica comune rifornirsi di seme ogni anno. L’apomissia
invece consentirebbe di riciclare parte dei semi di ogni raccolto, senza
penalizzazioni sul piano della resa. Non c’è da stupirsi che sia stata
definita il Santo Graal della genetica agraria. Ma come sono riusciti
Sundaresan e colleghi a indurla nel riso?
I ricercatori hanno raggiunto il risultato intervenendo, per prima
cosa, sull’espressione di un gene detto Baby Boom1, che consente agli
embrioni di svilupparsi senza fecondazione. Peccato che gli embrioni
così prodotti abbiano soltanto la metà dei cromosomi rispetto alla
pianta madre. Per risolvere il problema, dunque, è stato necessario
eliminare la meiosi, ovvero il processo di divisione che dimezza il
patrimonio genetico delle cellule sessuali. Il sistema per farlo è stato
scoperto in Francia da Raphael Mercier, che firma anche questo lavoro. È
detto MiMe (una sigla che sta per “mitosi invece di meiosi”) e si basa
sull’inattivazione di tre geni. CRISPR ha consentito di metterli fuori
uso tutti e tre in un colpo solo, producendo linee mutanti capaci di
produrre figli e nipoti perfettamente uguali.
“Senza CRISPR, utilizzando solo gli incroci, riunire insieme tutte
queste caratteristiche genetiche sarebbe stato un processo lungo e
faticoso”, nota Albertini. L’efficienza del sistema è migliorabile ma
già molto buona: i semi apomittici, nel migliore dei casi, sfiorano il
30% della progenie. Tecnicamente si tratta di piante OGM, per le
modalità di intervento utilizzate sul gene Baby Boom1, ma è probabile
che lo stesso obiettivo possa essere raggiunto usando soltanto l’editing
genomico, senza la classica ingegneria genetica.
Ci sono altri geni candidati, che vengono studiati per decifrare la
genetica dell’apomissia, a cominciare da Apostart, che è al centro di
una collaborazione tra l’Università di Perugia e quella dell’Arizona. Ma
la combinazione BabyBoom1-MiMe d’ora in poi sarà la strada maestra. “Si
uniranno in tanti, è la svolta che stavamo aspettando. E dopo il riso,
il prossimo obiettivo sarà il mais”, prevede Albertini.
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domenica 23 dicembre 2018
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