carmillaonline.com Giacomo Marchetti
Non immaginavano forse che “un evento” si trasformasse in uno dei più
longevi e “radicali” – nel senso di andare alla radice – movimenti
della Quinta Repubblica, in grado di ridefinire l’ordine del discorso e
stravolgere l’ideologia neo-liberista in salsa francese, cioè l’ordine
discorsivo della riscossa padronale.
Non pensavano probabilmente che avrebbero spianato la strada ad un
composito corpo sociale pronto finalmente a chiedere il conto ad un
monarca repubblicano, Macron, che come pretende ogni epica storica che
si rispetti si compie per Atti: siamo al Sesto.
È una rivolta?
No sire, assomiglia più ad una rivoluzione.
Così probabilmente Ghislain Coutard, quando ha lanciato il suo
appello agli automobilisti il 24 ottobre, chiedendo di mettere ben in
vista sul cruscotto il gilet giallo, come simbolo di quella protesta
montante – nata contro l’aumento del prezzo del diesel e della benzina
previsto per il prossimo primo gennaio e poi congelato, ma ben presto
estesasi al caro vita e al deficit di rappresentanza politica – non
pensava probabilmente che quella geniale intuizione avrebbe costituito
un simbolo di riscatto, e allo stesso tempo l’incubo per le classi
dominanti, in Francia e nel mondo.
La creazione di un immaginario è un processo mitopoietico che ha una
profonda base materiale, parte da un oggetto comune liberato dalla
valenza “feticista” della merce e trasformato in valore d’uso in grado
di imporre un preciso codice comunicativo e capace di replicarsi come
significante al di là degli universi linguistici differenti e le culture
materiali che li partoriscono, suscitando una immediata identificazione
che ognuno declina a suo modo: non è stato forse così per la bandiera
rossa e la falce e il martello?
Alla base appunto c’è un movimento reale, quello che abolisce
le cose esistenti, che esprime una forza sociale ed ispira una idea in
fondo semplice che scioglie l’enigma della soggettivazione e sfida
l’intangibilità del potere: l’idea forza è che tutto può che cambiare e
che ognuno può essere artefice del proprio destino.
Cosa vogliono questi barbari?
Sire, probabilmente la sua testa.
Per le teste d’uovo d’Oltralpe (non parliamo di quelle nostrane) i
Gilets Jaunes sono stati un “oggetto politico non identificato”,
l’armata che uscita dall’ombra ha mostrato una rabbia oscena:
quella delle madri delle famiglie monoparentali, dei pensionati
destinati a crepare di fame nel silenzio e in solitudine, dei giovani
precari, della variante francese dei working poor (magari anche iscritti
al sindacato), della classe media impoverita e dei suoi sogni
evanescenti che vivono lungo la catena dello sviluppo ineguale della
Francia periurbana, rurale e nelle zone che la de-industrializzazione ha
reso un concatenazione di città fantasma.
Così ecco un blocco sociale in formazione, capace di esercitare
egemonia reale e di catturare lo sciame d’odio sociale per indirizzarlo
ai piani alti dell’edificio, e di mandare in vacca l’oggettività del
pensiero dominante: il vostro paradiso borghese esiste perché sussiste
il nostro inferno “popolare”, allora se la contraddizione scoppia è
doppia: economica certo, ma anche morale, nel senso più alto del
termine.
C’è qualcuno che parla per loro?
No sire, l’unica cosa che dicono è che sappiamo ciò che vogliono
Proviamo a formularla in questi termini: com’è possibile che nella grand puissance moyenne
che è il ruolo geo-politico che Macron avrebbe voluto dare alla
Francia, quinta potenza mondiale e secondo Paese più importante nella
UE, si vive in questo modo?
Come possibile che se sono precario o disoccupato è colpa mia, che se ho
un lavoro sono costretto ad esercizi di economia domestica in cui ciò
le continue rinunce sono l’unica strategia vincente di sopravvivenza,
come è possibile che dopo avere lavorato una vita una esistenza
dignitosa è ciò che non ho, ecc., ecc.?
Strano questo movimento che coniuga rivendicazioni sociali a
richieste politiche, un fenomeno che si ripete più o meno dai tempi
della rivolta dei “ciompi” a Firenze nel cosiddetto Medio-Evo.
Strane queste donne, che sono per la maggior parte precarie e
percepiscono generalmente molto meno degli uomini, ma che in alcune zone
costituiscono l’unica fonte di reddito per il loro nucleo familiare;
che occupano lo spazio pubblico mentre il potere è disposto a tollerare e
dar spazio – a volte – al femminismo mainstream delle classi
medio-alte urbane istruite, un poco meno a queste dirette discendenti di
Louise Michel (parlo del film, per chi storce il naso).
Strani questi operai che per anni hanno conosciuto solo sconfitte,
un’opinione pubblica che se non contraria quanto meno era indifferente
alle loro rivendicazioni, e padroni che vogliono sempre di più, si
uniscano alla marea gialla, talvolta dal primo giorno, magari con la
tessera del sindacato in tasca, e magari poi organizzandosi localmente e
settorialmente perché hanno trovato una nuova forza, una prospettiva,
una battaglia per cui combattere, mettendo in difficoltà la propria
dirigenza ogni qual volta “si astiene” dalla lotta e non capisce che se
qualcuno si organizza autonomamente si ha solo da imparare, se qualcuno
fa cedere il padrone allora bisogna aiutare a farlo capitolare, magari
incrociando le braccia.
Magari insieme…
Strani questi studenti, figli dei gilets jaunes, che
studiano negli istituti periferici o in quelli delle zone prima
descritte, spesso in scuole tecniche o polivalenti con le stigmate della
povertà addosso, tra i maggiormente penalizzate dalle recenti riforme
scolastiche.
Che hanno avuto i loro “fratelli maggiori” chiamati racaille
(marmaglia), e che la polizia tratta quotidianamente come scarti
sociali, mentre chi dice di voler risolvere i problemi (di destra o di
sinistra) si fa vedere solo per le elezioni.
Chi sono?
Sire, sono le Peuple
È proprio curiosa la dialettica nelle mani dei subalterni perché trasforma il senso delle cose nel loro opposto: il proletariato non distrugge, trasforma, per usare una vecchia espressione politica.
La critica-pratica della vita quotidiana è questo: trasformare la natura
dell’oppressione in estetica della ribellione, cambiandogli di segno.
Così la “galassia Zuckemberg” si trasforma nel suo contrario dando forma
ad una forma di Sparchismo digitale, così come rotonde e caselli
autostradali diventano “zone a défendre”.
ZAD che se “sgomberate” vengono spesso rioccupate, o che vengono
difese “con ogni mezzo necessario”, o che se non difendibili vengono
distrutte…
Che il governo non tolleri che “lo spazio pubblico” diventi realmente
tale, procedendo agli sgomberi di questo gigantesco esperimento di
urbanismo informale dal basso del XXI secolo è da un lato sintomo di una
capacità di cogliere da dove viene il pericolo, quanto la
manifestazione più palese del corto-circuito logico della neo-lingua del
capitale: uno spazio detto “pubblico” non può diventare veramente tale,
il centro del potere-economico politico non può essere attraversato.
Che regni l’ordine repubblicano!
Sire, se ne fottono dell’ordine repubblicano
Questo anche perché coloro che non partecipano direttamente ai
presidi, ma che sostengono la protesta con un colpo di clacson, con il
proprio gilet jaune ben in vista o dichiarano, ad esterefatti
sondaggisti, che sono d’accordo con il movimento (sono il 70% dei
francesi intervistati) e che desiderano che continui (sono più della
metà) non vedano più quella presenza tangibile di riscatto sociale, i
media mainstream faranno poi il loro sporco lavoro spostando
l’immaginario verso la guerra sacra dei penultimi contro gli ultimi,
vomitando le false discussioni su “immigrazione” e “identità nazionale”
proposte da Macron, ben accolte dalla destra e dai giullari di corte.
“Chi è Spartaco?” Ed una folla di schiavi uno dopo l’altro e poi in
un coro declama: “io sono Spartaco”, come nel film diretto da Kubrik.
Il Gilet Giallo è un nome collettivo, è il generale Ludd 2.0 gridato a
gran voce tra le pieghe delle fratture sociali prodottesi nella Francia
attuale.
L’Ancien Règime l’ha capito bene chi è spartaco en jaune,
e distilla un piano fatto di promesse inconsistenti, falsificazione
mediatiche, tentativo di recupero politico a destra, e tanta, ma tanta
repressione, se ne è accorta l’ONU, lo denuncia Amnesty International,
ma non la carta straccia dei tabloid nostrani talmente infame, da non
dare risalto nemmeno alla denuncia precisa di ben quattro organizzazioni
sindacali di categoria di giornalisti, supportate dalla federazione
europea e mondiale dei giornalisti sulla violenta limitazione del
diritto di cronaca.
Il ceto politico residuale della “sinistra radicale”, tranne lodevoli
eccezioni, non si accorge nemmeno di ciò che sta succedendo, meglio
cercare di mettere insieme i cocci per un fantasmagorico quarto polo
alle elezioni europee che prendere slancio da ciò che succede al di là
delle Alpi, e quindi accontentarsi di replicare le analisi che gli
fornisce la disinformazione made in Italy, senza fare un minimo di debunking sulle innumerevoli fake news
bevute come se fosse oro colato mentre ben tre ricerche “scientifiche”
di differenti equipe, i cui risultati sono stati pubblicati sui maggiori
quotidiani francesi: una prima da “Le Monde”, la seconda da
“Libération”, la terza da “L’Humanité” – smentiscono clamorosamente gli
assunti artefatti del peggior giornalismo nostrano di tutti tempi.
Ma bastava ascoltare le loro voci, guardare i loro volti, leggersi le loro richieste per capire cosa avessimo di fronte.
Eppure, appunto un ampio arco di forze politiche è organico alle
proteste (si va dalla France Insoumise al PCF passando per l’NPA) –
persino i socialisti hanno votato la sfiducia a Macron! – alcune
organizzazioni sindacali (specie a livello categoriale e a livello
locale) sono dentro il movimento a cui partecipano con rivendicazioni
specifiche e con modalità che introducono lo sciopero come modalità
d’azione e richiedono a gran voce la proclamazione dello sciopero
generale (la base della CGT e tutta Solidaires), alcune organizzazioni
studentesche “classiche” dei medi (UNL) e dell’università (UNEF)
organizzano blocchi, manifestazioni, assemblee…
Non parliamo poi dell’antagonismo sociale, del mondo ecologista, di un
settore della lotta anti-razzista e anti-sessista che ha capito in pieno
il significato di co-spirazione: “respirare insieme”, e insieme a loro a
respirato lacrimogeni, e preso in faccia tutte le munizioni da guerra
civile a bassa intensità che usano le forze dell’ordine.
Il continuum della storia è stato spezzato ed il macronismo diviene un
rifiuto che non può essere riciclato nemmeno dall’establishment, mentre
la repressione insieme alla “narrazione” di un dialogo sociale
ripristinato (ovvero la cogestione della repressione della repressine e
dell’austerity) sembrano le uniche exit strategy per un potere che non
ha recuperato margini con le briciole concesse, nonostante l’apparato
politico-mediatico-sindacale a lui prono mobilitato in assetto da
guerra.
In fondo è la lotta di classe, la vecchia lotta di classe che bussa
alle porte della Storia, per abbatterle, poco importa se non ce ne
accorgiamo, dobbiamo solo scegliere se essere parte del problema o parte
della soluzione.
Sire, dove fugge?
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giovedì 27 dicembre 2018
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