Si deve correre a divorare questa mostra perché, semplicemente, non
si può rinunciare al piacere corroborante, elettrizzante, ri-costituente
(dicevano i vecchi medici condotti) che ti invade quando entri nelle
grandi sale del museo romano e ti immergi nell’ampia selezione di opere
offerta a testimoniare l’intero arco della lunga carriera del pittore di
Tripoli. Quanto questa sensazione, in un tempo di mortificante e
sistematica banalizzazione estetica culturale e politica, possa essere
“terapeutica” penso di poterlo dire, non solo da critico ed estimatore,
ma anche e soprattutto da medico.
Che l’arte rappresenti una risposta formidabile, primordiale e metastorica all’angoscia che deriva dalla fatica di “vivere per dover morire” è tesi che più volte mi è capitato di enunciare e difendere, spesso in contrasto con chi dell’arte ha una visione diversa, succube di paradigmi interpretativi che con l’origine e la natura più profonda di essa hanno molto poco a che vedere. Ebbene le oltre ottanta grandi, medie e piccole opere di Calabria, gli oli e i pastelli, le imponenti e mirabolanti composizioni, come i ritratti di lancinante salienza e i numerosi storici manifesti realizzati per la CGIL ti avvolgono e ti sollevano, strappandoti per un po’ alle miserie e alle noie del quotidiano.
A farlo contribuisce, oltre alla qualità altissima della sua pittura, l’ardimento visionario e spregiudicato di chi falsifica sistematicamente la prospettiva lineare, come nota bene Alberto Olivetti nella sua recensione su il Manifesto. In questo senso Calabria è un pittore profondamente antirinascimentale. Un esploratore (un facitore) della storia che va oltre un visione positivistica, razionale e rassicurante, per abbracciare piuttosto un punto di vista, o meglio una pluralità di punti di vista, in grado di prenderti e spingerti nella dimensione anomica di una realtà in cui oggetto e soggetto si confondo e il tutto (l’intero), magicamente, si ricompone.
E allora i vortici e gli azzardi prospettici del pittore nulla hanno a che vedere con un virtuosismo (seppure sorprendente) fine a se stesso ma, invece, realizzano un piano di micidiale efficacia. Cacciare da noi l’umanissima ma povera cura del nostro guicciardiniano “particulare” per aprirci alla complessità del mondo e della storia. Ecco, l’arte di Ennio Calabria è in grado di metterci, attraverso una prepotente sollecitazione dei sensi, nella condizione di aderire a quella sostanza infinita ed eterna di cui siamo modi ed espressioni particolari. Ciò che gli orientali fanno con la meditazione e il distacco, questo pittore riesce a fare con la luce, la materia e il colore. Provare per credere.
Che l’arte rappresenti una risposta formidabile, primordiale e metastorica all’angoscia che deriva dalla fatica di “vivere per dover morire” è tesi che più volte mi è capitato di enunciare e difendere, spesso in contrasto con chi dell’arte ha una visione diversa, succube di paradigmi interpretativi che con l’origine e la natura più profonda di essa hanno molto poco a che vedere. Ebbene le oltre ottanta grandi, medie e piccole opere di Calabria, gli oli e i pastelli, le imponenti e mirabolanti composizioni, come i ritratti di lancinante salienza e i numerosi storici manifesti realizzati per la CGIL ti avvolgono e ti sollevano, strappandoti per un po’ alle miserie e alle noie del quotidiano.
A farlo contribuisce, oltre alla qualità altissima della sua pittura, l’ardimento visionario e spregiudicato di chi falsifica sistematicamente la prospettiva lineare, come nota bene Alberto Olivetti nella sua recensione su il Manifesto. In questo senso Calabria è un pittore profondamente antirinascimentale. Un esploratore (un facitore) della storia che va oltre un visione positivistica, razionale e rassicurante, per abbracciare piuttosto un punto di vista, o meglio una pluralità di punti di vista, in grado di prenderti e spingerti nella dimensione anomica di una realtà in cui oggetto e soggetto si confondo e il tutto (l’intero), magicamente, si ricompone.
E allora i vortici e gli azzardi prospettici del pittore nulla hanno a che vedere con un virtuosismo (seppure sorprendente) fine a se stesso ma, invece, realizzano un piano di micidiale efficacia. Cacciare da noi l’umanissima ma povera cura del nostro guicciardiniano “particulare” per aprirci alla complessità del mondo e della storia. Ecco, l’arte di Ennio Calabria è in grado di metterci, attraverso una prepotente sollecitazione dei sensi, nella condizione di aderire a quella sostanza infinita ed eterna di cui siamo modi ed espressioni particolari. Ciò che gli orientali fanno con la meditazione e il distacco, questo pittore riesce a fare con la luce, la materia e il colore. Provare per credere.
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