Possiamo annoverare un nuovo ingresso nelle fila del socialismo militante? L’Economist ha recentemente ben illustrato
come nel periodo 1973 – 2016 la produttività del lavoro sia aumentata
moltissimo negli USA, ma i salari reali siano al contempo cresciuti
molto meno. L’illustre rivista argomenta come questo fenomeno sia
spiegabile principalmente in termini di potere contrattuale relativo di
lavoratori e capitalisti: chi è più forte spunta condizioni più
favorevoli per sé. Tenendo quindi presente il fatto che gli aumenti
salariali siano conseguibili mediante un rafforzamento delle condizioni
con le quali i lavoratori si presentano al tavolo di contrattazione, ciò
che ci chiediamo è: quali sono i fattori che rendono la classe
lavoratrice più o meno debole?
Il primo e fondamentale tassello del quadro è l’andamento del tasso di disoccupazione: quando la disoccupazione è bassa, i lavoratori possono strappare maggiori salari reali.
Tuttavia, questo aspetto è solo uno dei tanti che influenzano il potere
contrattuale dei lavoratori. Da solo, non basta. Prendiamo un esempio:
il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti, dopo aver raggiunto un
picco nel 2010, è andato continuamente calando. Nonostante ciò, le
retribuzioni mediane hanno avuto un andamento altalenante, come si vede
dai grafici che seguono.
Andiamo perciò a illustrare alcuni degli
elementi cruciali per spiegare l’andamento dei salari reali, senza
pretesa di essere esaustivi (useremo dati dal database OECD).
Innanzitutto, una sempre necessaria precisazione riguardante il tasso
di disoccupazione: esso indica il rapporto percentuale tra disoccupati e
forza lavoro. Quest’ultima è la somma tra occupati e persone in cerca
di occupazione. Il tasso di disoccupazione, dunque, ci dice quante
persone che cercano lavoro non lo trovano, ragion per cui un
tasso di disoccupazione calante può essere compatibile con un crescente
numero di persone che smettono di cercarlo, i cosiddetti
“scoraggiati”. Oltre a loro, c’è chi vorrebbe lavorare a tempo pieno ed è
invece costretto a lavorare solo part-time, chi non è né lavoratore, né
studente (i famosi NEET),
chi è disoccupato temporaneamente e chi da lungo tempo, ecc. Perciò,
sicuramente dobbiamo guardare al dato del tasso di disoccupazione, ma
quanto illustrato ci fa capire la ragione per la quale dobbiamo guardare
anche ad altri indicatori.
Un indicatore molto utile è il grado di
copertura che la contrattazione nazionale ha sul totale dei lavoratori
aventi diritto: un elevato rapporto ci dice che la contrattazione
nazionale è molto diffusa. Il potere contrattuale dei lavoratori aumenta
all’aumentare di questo indice. Senza un contratto nazionale che tuteli
il più ampio numero di lavoratori possibile, infatti, questi ultimi si
troverebbero più isolati quando si tratta di rivedere i contratti di
lavoro, e quindi molto più soggetti a pressioni e intimidazioni.
Notiamo per esempio il crollo improvviso
della copertura in Grecia, coincidente con il periodo di intervento
della Troika. Per gli altri Paesi (Francia a parte, con la sua pressoché
totale copertura), abbiamo un graduale abbassamento di questo rapporto:
i lavoratori di molti Paesi avanzati sono sempre meno coperti dalla
contrattazione nazionale.
Il tasso di sindacalizzazione dà invece
un’idea di quanto gli appartenenti alla classe lavoratrice siano
organizzati: un alto valore del rapporto tra lavoratori iscritti al
sindacato e numero di occupati segnala il fatto che un’ampia area di
lavoratori si organizza per difendere i propri diritti. È chiaro che
anche l’aumento di questo indicatore segnala un maggior potere
contrattuale per la classe lavoratrice.
È evidente il crollo della rappresentanza
sindacale avutosi dalla metà degli anni ’70 in poi: particolarmente
drammatico è l’esempio del Portogallo, passato in quaranta anni da un
tasso di sindacalizzazione di oltre il 60% a un tasso vicino al 15%.
L’accoppiata tasso di sindacalizzazione –
copertura della contrattazione nazionale dà forti indicazioni su quanto
la classe lavoratrice sia, da un lato sostenuta da (e sostenga) una
forte rappresentanza, che può quindi raccogliere le istanze collettive e
portarle al tavolo con le rappresentanze imprenditoriali, e,
dall’altro, quanto i risultati che vengono ottenuti in tali sedi possano
essere estesi alla generalità dei lavoratori mediante contratto
nazionale.
Infine, riportiamo alcuni dati riguardanti l’indice EPL (Employment Protection Legislation),
che segnala quanto sia difficile, per gli imprenditori, licenziare,
quanto sia costoso farlo, quale sia il grado di precarietà dei
contratti, e così via. Un valore più alto dell’EPL indica una maggiore
protezione del lavoratore. Una precisazione: la disponibilità di dati
arriva al 2013, visto che l’indice viene riaggiornato su scadenze
pluriennali; è quindi probabile che l’indice possa essere rivisto al
ribasso per diversi Paesi, per esempio l’Italia.
Possiamo qui notare sia chi ha
drasticamente abbattuto le tutele sul lavoro (Portogallo, Spagna), sia
chi non ha avuto bisogno di farlo (gli USA viaggiano da decenni con un
indice prossimo allo zero).
Andando quindi a ricapitolare, possiamo
redigere una lista di indicatori che ci danno un quadro non completo ma
piuttosto rappresentativo delle condizioni nelle quali la classe
lavoratrice si presenta al confronto con i capitalisti. Innanzitutto,
dobbiamo guardare al tasso di disoccupazione, il quale ci dà una prima
idea di fondo: quando quest’ultimo è elevato, sappiamo che i lavoratori
se la passeranno peggio e riusciranno a strappare poco o nulla in
termini di aumento dei salari reali. Tuttavia, abbiamo visto come questo
aspetto vada qualificato: a parità di tasso di disoccupazione, la
sottostante composizione di tale massa di disoccupati può sensibilmente
variare le considerazioni che facciamo riguardo la forza contrattuale
dei lavoratori. Inoltre, il grado di copertura della contrattazione
nazionale, il tasso di sindacalizzazione degli occupati e gli indici di
protezione del lavoro ci aiutano ulteriormente a capire cosa possiamo
aspettarci nello scontro politico tra le due opposte classi. Se è quindi
vero che l’andamento della lotta di classe è un fenomeno complesso e
sfaccettato, questo non significa comunque che non si possa avere una
idea di come i vari fattori che abbiamo illustrato abbiano un impatto
concreto. Fuor di metafora, la combinazione di abbandono di politiche di
pieno impiego, minore copertura della contrattazione nazionale,
riduzione del tasso di sindacalizzazione, riduzione delle tutele sul
lavoro ha contribuito fortemente negli ultimi decenni alla riduzione
consistente di quella che è la ‘quota salari’, ossia la percentuale del
prodotto annuo di una economia che è destinato ai salari (di converso,
la ‘quota profitti’ ci dice quanto del prodotto va al capitale). Il
grafico che segue (basato su dati ILO) ci mostra l’andamento della quota salari.
Se prendiamo come riferimento la linea
del 60%, vediamo come, Grecia a parte, tutte le economie considerate
partano abbondantemente sopra di essa a fine anni ’70 per finire
oggigiorno abbondantemente sotto. Questo significa che in quaranta anni
il capitale è riuscito a recuperare svariati punti di PIL,
appropriandosi di quote di prodotto via via crescenti a scapito del
lavoro (come testimoniato anche dalla letteratura accademica).
Prendiamo un caso limite: il Portogallo parte a inizio anni ’80 con i
salari che assorbono quasi il 70% del prodotto interno, mentre nel 2017
questa quota è caduta al 52%; questo testimonia un ribaltamento epocale
nei rapporti di forza.
Ecco che quindi possiamo concludere con
un messaggio: le analisi meccanicistiche in economia non funzionano, men
che meno quando si studia la distribuzione del reddito tra classi.
Questo fa da stimolo alle nostre riflessioni: sì, Marx aveva
indubbiamente ragione nel ritenere l’esercito industriale di riserva una
variabile di analisi irrinunciabile, tuttavia noi oggi abbiamo il
dovere di non adagiarci su quelle analisi, per poterle così aggiornare e
rafforzare alla luce degli sviluppi che il capitalismo contemporaneo
quotidianamente ci riserva. Questo diventa tanto più importante quanto
più la situazione della lotta di classe volge, come avviene oggi, a
netto svantaggio delle classi subalterne.
Nessun commento:
Posta un commento