Poco meno di quarant’anni fa, il Paese iniziò un percorso nuovo che l’avrebbe portato in un vicolo cieco, l’attuale vicolo cieco.
Nel gennaio del 1981, infatti, facendo seguito a pressioni americane e mitteleuropee, il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrisse una semplice lettera all’ allora Governatore C. A. Ciampi per informarlo che da quel momento la Banca d’Italia non era più obbligata ad acquistare i titoli del debito pubblico a bassissimi tassi di interesse che lo Stato non riusciva a vendere direttamente al mercato.
Si voleva così sottrarre, senza passare per un voto parlamentare, alla classe politica corrotta e clientelare, lo strumento più importante, quello degli investimenti e della spesa pubblica produttiva.
Da quel momento, con un colpo solo lo Stato si vide equiparato a qualsiasi disgraziato che debba implorare soldi dalle banche, alle condizioni decise dal mercato cioè dalle banche stesse; il Tesoro non poté più decidere il tasso di interesse e, infatti, da allora il debito pubblico cominciò a schizzare dal 60% del pil (1980) al 120% (1989).
La spesa pubblica produttiva e per investimenti si contrasse, ma quella ordinaria e vincolata no, sicche’ si ottenne esattamente l’opposto di quello che si auspicava: la qualità della spesa peggiorò; il Paese si trovò in difficoltà; la classe politica sollevata dal compito di decidere le grandi strategie, si concentrò solo su clientelismo, corruzione e poltrone.
Dopo il 1981 è stato un crescendo di misure volte a contenere la spesa pubblica e i disavanzi, accrescere la pressione fiscale, governare con l’assillo dei conti, legarsi sempre più mani e piedi per accettare quanto chiesto dall’Europa e ottenere un posto nell’euro in prima fila.
Ma in questi quasi quarant’anni il mondo è cambiato radicalmente (sono aumentati esigenze, reti informatiche e telematiche, meccanizzazione delle infrastrutture, cambiamenti nell’edilizia civile e industriale, sensibilità per l’ambiente, la sicurezza e la salute); ma non si sono registrati sufficienti progressi sul fronte della cultura economica e politica.
Si è accettata l’idea che le risorse pubbliche siano scarse e che i privati possano gestire tutte le attività meglio dello Stato.
Quindi si è dimenticato che se talune attività è bene che vengano gestite con la logica del profitto, molti altri servizi (sanità, trasporti collettivi, infrastrutture) richiedono standard di sicurezza che per lo Stato sono investimenti e per i privati sono costi (da minimizzare).
Ma se lo strumento delle privatizzazioni e l’obiettivo del profitto non risultano in certi casi adeguati perché gli operatori di borsa guardano al livello del profitto e quest’ultimo è concorrente al costo della sicurezza, rimangono solo 4 strade.
L’aumento delle tasse; ma nessuno lo vuole.
L’aumento dei disavanzi pubblici, ma essi sono stati – a torto – demonizzati (invece si doveva continuare a finanziarli a bassi tassi di interesse).
La moneta pubblica sovrana non a debito, ma quasi nessuno sa cos’è.
Le partecipazioni statali che hanno vincolo di bilancio, ma non devono necessariamente massimizzare il profitto.
Se non si accetta almeno uno dei 4 strumenti appena accennati è inutile ed ipocrita piangere i morti di Genova. Bisogna accettarli come le vittime di una guerra; una guerra che gli Italiani stanno perdendo, come altri popoli, ma che – ora – debbono dimostrare di non volere.
Non volete pagare troppe tasse o veder aumentare il debito pubblico?
Benissimo, allora delle due l’una: o accettate le vittime derivanti da insufficiente manutenzione del territorio e delle infrastrutture o vi decidete a pensare in termini di sovranità monetaria e di ritorno alla spesa pubblica produttiva.
Ogni Stato dell’eurozona può emettere mezzi monetari a sola circolazione nazionale con cui pagare gli investimenti necessari: gli Stati e le banche centrali diversi dalla BCE non possono emettere banconote e moneta a corso legale in tutta l’eurozona (articolo 128 del Trattato di Lisbona), ma nulla vieta la emissione di statonote, monete di pezzatura non standard o biglietti di Stato a sola circolazione nazionale…
Pensiamoci!
Nino Galloni
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