mercoledì 1 agosto 2018

Migranti Italiani. Fuga dal Sud, 1,8 milioni di emigrati in 16 anni: quasi la metà sono giovani in cerca di lavoro .

rapporto 2018 copertinaI dati del rapporto Svimez. La Sicilia la regione che soffre di più e dove i ragazzi fuggono in maggior numero. Il presidente Giannola: "Con la frenata dell'economia seppur limitata, il Sud rischia di esplodere". Servizi sanitari e pubblici ai minimi. Chi si ammala gravemente rischia di scivolare nella povertà.





repubblica.it BARBARA ARDU'ROMA - Bisogna essere giovani, ricchi e sani per vivere al Sud. Un'iperbole che descrive bene cosa c'è dentro il Rapporto Svimez 2018. E sì perché nonostante la crescita del Pil nel 2017 sia stata in linea con quella italiana, recuperando le tante posizioni perse nel corso della lunga crisi economica, le sue arretratezze sono sempre lì e rischiano di esplodere se lo Stato non decide di intervenire con forti investimenti pubblici in quell'altra metà d'Italia dove ormai sta mutando anche la conformazione storica. Nel 2017 ci sono stati più morti che nati, i giovani se ne vanno e iniziano a scappare anche gli stranieri. In 16 anni hanno lasciato il Sud 1 milione e 883mila residenti, la metà giovani ed è la Sicilia la regione dove l'emorragia è dirompente. Un Rapporto Svimez fatto più di ombre che luci.

Certo, lentamente e con piccoli sforzi, per lo più frutto di investimenti privati, il Sud tra il 2015 e il 2017 ha fatto passi avanti, recuperando parzialmente il patrimonio economico e sociale andato disperso dalla crisi economica. Il dato della crescita del Pil nel 2017 è lì a dimostrarlo (+1,4%), ma è stata una ripresa trainata dal Nord, come sempre d'altra parte, e che rischia di naufragare. Cosa è mancato? Gli investimenti pubblici. E su questo punto i ricercatori Svimez sono fermi. Tanto che se qualcosa non cambia c'è il rischio di una marcia indietro repentina. "Con la frenata seppur ancora lieve dell'economia le prospettive per il Sud peggiorano - dichiara Adriano Giannola, presidente Svimez -. Per ora tutto tiene, ma i dati che iniziano a circolare sul rallentamento della crescita preoccupano, anche perché il Mezzogiorno continua a portarsi dietro tutte le sue arretratezze". Insomma "il recupero che c'è stato negli ultimi due anni rischia di saltare nella 'stagione dell'incertezza', come definisce la Svimez gli anni che stiamo vivendo. Un rischio che per il Mezzogiorno potrebbe tradursi in una "grande frenata".

"Certo il Mezzogiorno non è tutto uguale - chiarisce Giannola - ci sono regioni che hanno fatto meglio, come lCampania e Calabria, ma ce ne sono altre, la Sicilia, che sta andando particolarmente male. E se gli investimenti privati sono ripresi nel 2017 (+3,9%) superando anche quelli del Centro Nord anche se di pochissimo, gli investimenti fissi lordi sembrano essersi fermati, mentre la spesa pubblica s'è dimenticata del Mezzogiorno (tra il 2008 e il 2017 è scesa del 7,1% al Sud, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese)". E non parla da presidente Svimez, ci tiene a precisarlo Giannola, quando gli si chiede se la reintroduzione dei voucher potrebbe aiutare il Sud. "Li vedo con un certo sospetto - spiega - perché i voucher possono andare bene in una situazione fisiologica, dove l'economia tira, ma al Sud e anche in altre parti d'Italia, la situazione è patologica e questi strumenti non faranno che aggravarla. Non è cambianto le modalità contrattuali che si crea lavoro".

A leggere il Rapporto sembra quasi che il Sud sia il laboratorio di quanto sta emergendo nell'economia. Sale l'occupazione, ma solo quella precaria. In tutto il Mezzogiorno nel 2017 la crescita dei posti di lavoro è stata determinata quasi esclusivamente dai contratti a termine (+61mila, pari a +7,5%), mentre quelli a tempo indeterminato sono sostanzialmente stalibili con un misero +0,2%. Negli anni degli sgravi contributivi erano saliti al 2,5%, ma finiti i vantaggi gli imprenditori non hanno rinnovato i contratti. Il futuro per i giovani è poi ancora più buio, tant'è che molti se ne vanno e la forza lavoro è ormai anziana. Il problema del lavoro che non c'è è ormai diventato endemico, favorendo l'esclusione di una quota crescente di cittadini dal mercato. E' raddoppiato tra il 2010 e il 2018 il numero di famiglie dove tutti cercano un lavoro. E' salito il numero di quelle senza alcun occupato e anche chi una occupazione ce l'ha non è detto se la passi bene. E' nel Sud che si tocca con mano il fenomeno dei working poor, occupati ma poveri perchè le retribuzioni sono da fame. Non solo. Il part time non è una scelta volontaria nel Mezzogiorno, ma per lo più è imposto dalle imprse. Le periferie sono il terreno dove tutto questo si consuma.

Un disagio economico che fa tutt'uno col disagio sociale. Gli italiani del Sud sono persone a cittadinanza limitata. I diritti fondamentali sono carenti in termini di vivibilità locale, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura. Nel comparto socio-assistenziale il ritardo riguarda sia i servizi per l’infanzia che quelli per gli anziani e i non autosufficienti. Ma è l’intero comparto sanitario che presenta differenziali in termini di prestazioni che sono al di sotto dello standard minimo nazionale. E i viaggi della salute, da Sud a Nord ne sono la conferma, soprattutto in alcuni campi di specializzazione. Giù al Sud, se qualcuno in famiglia si ammala seriamente, rischia l'impoverimento. Non va meglio per l'efficienza degli uffici pubblici. C'è un indice che riassume il divario crescente tra Nord e Sud per quanto riguarda la vita di tutti i giorni. L'ha creato Svimez. Eccone alcuni esempi. Fatto 100 il valore della regione più efficiente, il Trentio Alto Adige, la Campania si attesta a 61, la Sardegna a 60, l'Abruzzo a 53. Calabria (39), Sicilia (40), Basilicata (42) e Puglia (43) sono sotto la media. Vivere lì costa tempo e fatica.

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