giovedì 9 agosto 2018

La pacchia deve finire.

16 morti in 3 giorni. Dopo avere partecipato e organizzato per anni campagne di informazione, controinformazione o boicottaggio di prodotti palesemente ottenuti grazie allo sfruttamento del lavoro e alla distruzione ambientale mi chiedo e rilancio: a quando un "marchio" sui pomodori italiani? Ma non DOP o IGP, piuttosto una garanzia sulla correttezza rispetto a lavoratori e ambiente.


La retorica stucchevole dei cuochi stellati, o finti tali, che a tutte le ore pontificano sul mitizzato "territorio", sulla superiorità sempre e comunque del prodotto "italiano" rispetto al resto del mondo, alimenta la cortina fumogena sulle pratiche di una certa agricoltura che prospera grazie al caporalato e all'uso dei sostanze vietate. Raggirando l'Inps con le assunzioni in "grigio" (ti assumo formalmente per una cifra, ma poi tu mi restituisci una parte della busta paga) o direttamente in nero.
Quel "Made in Italy" è doppiamente distruttivo, dell'agricoltura italiana di qualità e dell'economia agricola dei paesi della sponda Sud del Mediterraneo che vengono messi fuori gioco dall'abbassamento anomalo del costo del lavoro, oltre che dai contingentamenti per l'import in Europa.
Tanto per cominciare, rinunciamo ai pomodori provenienti dalla provincia di Foggia, attuale capitale dello schiavismo agricolo, finché non ci saranno garanzie sul rispetto della legge.
Chiediamo al governo di fare i controlli previsti, di applicare la legge sul caporalato del 2016, di investire in sicurezza, di mandare le pattuglie della Stradale a controllare lo stato dei pulmini della morte, gli ispettori dell'Ispettorato del lavoro nei campi. Facciamo finire la pacchia a imprenditori disonesti che non vanno in nessun modo tutelati, ma puniti. #NoCap, "no" al capolarato.

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