venerdì 17 agosto 2018

Il proibizionismo, da Al Capone alla cannabis.

Qual è il parassita più resistente? Un batterio? Un virus? Una tenia intestinale? No, un’idea. Persistente, contagiosa.

...Gli studi di Ferdinando Ofria, professore di politica economica all'Università di Messina, ci dicono che, tra le tante cose, qualora si legalizzasse in Italia il gettito fiscale oscillerebbe tra i 5 e gli 8 miliardi e si creerebbero fino a 300 mila nuovi posti di lavoro...

repubblica.it Roberto Rossi
IMG_20180306_121518 Una volta che si è impossessata del cervello un’idea pienamente formata, compresa, si avvinghia nella testa ed è quasi impossibile sradicarla.
Le varie forme di proibizionismo nella storia hanno avuto sempre una costante: un'idea. Presente e insindacabile. Senza alcuna pretesa di carattere morale, si è cercato di comprendere queste idee analizzandole sotto un punto di vista storico per ragionare su come e quanto il presente sia influenzato dal passato e su come, queste idee, possano essere messe in discussione per il bene della collettività ed il male delle organizzazioni criminali.
Tutto parte nel 1920 con il “Volstead Act ”che dichiarò l'alcol illegale negli Stati Uniti. L'alcol era stato individuato come la causa di molti dei mali che affliggevano la società come l'assenteismo al lavoro, le violenze domestiche e addirittura la nascita di bambini deformi. Questo fece nascere il mercato nero di alcol che andò nelle mani della criminalità che, da predatoria si trasformò in imprenditoriale e da comune ad organizzata.

Il "magnate" del contrabbando di alcolici fu Alphons Capone che raggiunse un potere tale da divenire il ricercato numero uno della Cia. Il giro d'affari di questo mercato fu enorme: 3 miliardi di dollari che corrispondevano al 3% del Pil nazionale. Praticamente grazie a questi soldi sono nate e si sono radicate le mafie in America. Dunque la mafia americana nasce, indirettamente, a causa di un preconcetto morale che demonizzò l'alcool per ragioni "progressiste", ritenendo il suo consumo immorale. Questa immoralità non era percepita però dalla maggior parte della società, per questo il contrabbando avanzò senza che le persone si sentissero fuori dalla morale e quindi fuori legge. Ciò generò una reazione sociale automatica: ovvero la creazione di un circuito illegale che deterrà il monopolio di quel bene. è nient'altro che la legge del mercato, ed allora avvenne con l'alcol, mentre oggi avviene con la cannabis.
L'altra forma di proibizionismo è quello della cannabis negli anni 30. Questa pianta venne definita la coltivazione da un miliardo di dollari per le sue straordinarie potenzialità di sfruttamento soprattutto in campo industriale. Ciò face storcere il naso a molti affaristi americani dell'epoca, uno su tutti Andrew Mellow, proprietario della Gulf Oil, ma anche segretario del tesoro degli USA che nominò a capo dell'ufficio narcotico Harry J. Anslinger che aveva il compito di screditare le potenzialità della cannabis. Attuò così una campagna mediatica contro la marijuana che faceva leva sui sentimenti razziali e xenofobi degli americani ed in poco tempo fece della marijuana il simbolo del peccato, della depravazione e della violenza.
Gli si attribuirono caratteristiche del tutto false come, tra le altre cose, il fatto che rendesse le donne infedeli e depravate. Non ci volle molto affinché tutti credessero a ciò. Il nemico del popolo era nuovamente creato. Nel 1937 Roswelt approvò il Marijuana Tex Act che proibiva la coltivazione della pianta in tutta l'America. Le assurde teorie di Anslinger vennero smentite più volte da diversi rapporti scientifici, su tutti il Rapporto La Guardia e Shafer; dati concreti che vennero oscurati dalla schizofrenia di messaggi oramai entrati prepotentemente nelle teste delle persone. La "guerra alla marijuana" fin dalle origini dunque è stata viziata da un artificio ideologico che prescinde da solide fondamenta scientifiche ed oggi ne subiamo ancora i riflessi. Ciò mi ha portato alla riflessione che collega la campagna mediatica di Anslinger alla società attuale, ovvero la società della post-verità. Eletta come parola internazionale dell'anno 2016 dall'Oxford Dictionary, post-verità" indica una situazione in cui i fatti obbiettivi sono molto meno influenti sull'opinione pubblica rispetto a concetti promulgati attraverso il mezzo dell'emotività.
Ed è proprio questo il motivo per il quale il proibizionismo va avanti: da sempre Anslinger ha parlato all'emotività della gente e l'emotività fa agire d'istinto, mentre la razionalità richiede il dovere di fermarsi, ragionare e riflettere. All'epoca non c'era tempo per riflettere, altrimenti il male si diffondeva. Nella società della post-verità non importa realmente che le informazioni convincano con argomentazioni razionali, con prove. Queste ultime devono solo colpire alla pancia, suscitare violente reazioni, per diventare più virali possibili. Oggi la chiamano post-verità, ma Anslinger settant'anni fa già faceva scuola.
La cannabis è una costante del nostro Paese e per comprendere la portata del fenomeno basta analizzare i dati: in Europa i consumatori di cannabis sono 16,6 milioni, in Italia 5 milioni. La cannabis è la sostanza più confiscata di tutte in Europa.  In Italia un detenuto su quattro entra in carcere per motivi legati alla droga. Il 56.3% delle operazioni di polizia riguardanti la droga attengono alla cannabis. La cannabis mafiosa in Italia che proviene perlopiù dall'Albania genera un giro d'affari d 4-5 miliardi l'anno e nel 91% dei casi risulta essere altamente tossica perché tagliata con piombo e metalli pesanti che creano il plusvalore per le mafie.
Oltre a ciò in Italia non mancano le produzioni nostrane: le ultime piantagioni scoperte sono state a Reggio Calabria, tra le serre dell'Aspromonte e in Campania, tra i monti lattari, con un sequestro record di 34 mila piante di marijuana.
Gli studi di Ferdinando Ofria, professore di politica economica all'Università di Messina, ci dicono che, tra le tante cose, qualora si legalizzasse in Italia il gettito fiscale oscillerebbe tra i 5 e gli 8 miliardi e si creerebbero fino a 300 mila nuovi posti di lavoro.
La cosa ancora più importante è quella che verrebbero indebolite moltissimo le attività criminali mafiose che si finanziano continuamente anche attraverso le piazze di spaccio presenti nelle periferie delle città italiane.
La qualità della vita è la prima vittima delle mafie. Queste infatti, non investono per migliorare i territori di cui sono figlie, perché le mafie hanno la principale intenzione di far restare le cose esattamente così come stanno, affinché possano sostanziarsi del degrado e della disperazione in cui riversano le periferie italiane. Si verifica quella che alcuni sociologi americani hanno definito la "teoria delle finestre rotte" secondo la quale "se le persone si abituano a vedere una finestra rotta, in seguito si abitueranno anche a vederne rompere altre" (una sorta di senso di rassegnazione).
Dunque legalizzare non vuole dire promuovere il consumo di droga, anzi, è esattamente il contrario, più si è contro e più si dovrebbe essere favorevoli alla legalizzazione, in modo tale che le prime ad essere ripulite saranno proprio le piazze di spaccio.
L'obbiettivo non deve essere eliminare totalmente la droga, in quanto sarebbe pura utopia, ma cercare di ridurre o eliminare le gravi conseguenze indotte dalle droghe nelle persone e nelle intere comunità.
La stessa direzione antimafia ha dichiarato già nel 2015 che la lotta repressiva alla cannabis in Italia è un totale fallimento.
Dunque probabilmente sarebbe arrivata l'ora di provare ad affrontare il problema in un modo diverso, slegandosi dai riflessi di un'ideologia che viene, come abbiamo visto, da molto lontano. Siamo in un'epoca che si dichiara post-ideologica ma che conserva dell'ideologia gli aspetti peggiori, dove l'immobilismo dello Stato, rispetto al tema della legalizzazione, equivale ad una resa che consegna nelle mani della criminalità miliardi di euro annui.
Legalizzare non vuol dire assolutamente incentivare al consumo di cannabis, significa regolamentare un mercato già libero e totalmente criminale. "C'è solo qualcosa di peggiore del non cercare informazioni e del sostituirle con supporti ideologici per le scelte, ignorando i dati reali, ed è quella di conoscere i dati reali e ciò nonostante di andare avanti come se nulla fosse".

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