La
“fabbrica verde” del Sud Italia si basa sulla deumanizzazione
sistematica dei lavoratori migranti. In questi anni, è mancato uno
strumento di organizzazione sindacale. Anche per questo, lo sciopero di
domani lanciato da USB è di fondamentale importanza
Cosa
c’è di diverso tra i morti nei furgoni dei caporali italiani degli anni
’80 – ’90 e quello che avviene oggi nelle campagne pugliesi? Nulla, e
tutto.
Nulla, perché oggi
come allora la dimensione dello sfruttamento nelle campagne è intensiva e
feroce, tutto perché quel modello produttivo che nelle campagne
inseriva le donne italiane nell’ultimo anello dello sfruttamento è
totalmente cambiato. Il modello di sfruttamento tutto interno ai
lavoratori italiani opera dentro un modello di relazioni sociali che si
estende anche alla condivisione degli spazi urbani, mentre il modello
riservato ai lavoratori stranieri presuppone “il ghetto” come strumento
di isolamento su cui attivare forme di servitù, quindi di
inferiorizzazione.
Quello che oggi
manca ai lavoratori migranti è il riconoscimento della loro condizione
di lavoratori. Quella che vivono è una condizione che travalica le
nostre forme di precariato e di sfruttamento, perché non gli è
riconosciuta nemmeno la loro regolare presenza sul territorio, quindi
non solo sono non lavoratori, ma sono anche non persone, alle quali non è
riconosciuta alcuna dignità di presenza. Siamo oltre la categoria di
esercito di riserva. Siamo alla completa desoggettivazione. Non tenere
conto di questo aspetto significa rimuovere completamente la dimensione
del problema ed eliminare la possibilità di articolare una strategia e
una agenda adeguata.
Il mero richiamo
alla legalità, per quanto giusto, è insufficiente, considerato che la
legalità di domani sarà rappresentata dalla reintroduzione dei voucher,
quindi all’estrema subalternità e al mancato riconoscimento dei
braccianti come lavoratori e produttori di ricchezza.
C’è un dato che
sfugge ai commentatori che hanno riportato questa notizia, in tutti e
due gli incidenti ad essere coinvolti nei sinistri sono stati i
furgoncini che trasportavano i braccianti ed i camion che trasportavano i
pomodori che loro raccoglievano.
La “fabbrica verde” è
oramai un modello produttivo consolidato da più di un ventennio che ha
“annerito” le nostre campagne rese oramai una fabbrica a elevata
razionalizzazione, dove il lavoro nero, lo sfruttamento intensivo, la
mobilità dei lavoratori e l’accoglienza indegna sono il corollario di un
modello produttivo di competizione basato sulla compressione salariale
che necessita di forza lavoro invisibile e ricattabile.
Non scherziamo,
ricondurre queste stragi a una mera questione di “caporalato del
trasporto”, non solo non ci permette di comprendere a fondo cosa sia la
“fabbrica verde”, ma ancora peggio ci impedisce di capire quale sia il
bersaglio su cui indirizzare la nostra azione.
Quando siamo andati a
Nardò per organizzare lo sciopero con i braccianti avevamo ben chiaro
che il meccanismo contro il quale stavamo lottando era un modello che si
basava sulla rottura tra i lavoratori. Avevamo ben chiaro che una legge
come la Bossi / Fini e tutto il meccanismo di progressiva
clandestinizzazione dei migranti era e rimane il principale serbatoio
della forza lavoro della “fabbrica verde”. Tuttavia è necessario dire
che il modello di sfruttamento è talmente radicato che non vi è da parte
dell’impresa una valutazione meramente economica dei benefici. È
necessario, infatti, mantenere un rapporto di desoggettivazione al di là
dell’immediato guadagno. Nessuno provi ad alzare la testa.
Pur essendo stato
importante quello sciopero per la legge sul caporalato, i cui limiti
sono evidenti, e pur essendo stato importante il processo Sabr contro la
riduzione in schiavitù, sapevamo in cuor nostro che non c’era nulla da
festeggiare.
Nulla, perché la
lotta dei lavoratori nelle campagne è soprattutto lotta di classe, una
lotta materiale dove entrano in gioco i corpi, i picchetti, le minacce e
il coraggio. Una lotta di potere, di chi ha tutto contro, di chi non ha
da perdere che le catene dello sfruttamento e il filo spinato della
frontiera e del mare.
Smettiamola quindi
di girare intorno alla questione e diciamo le cose come stanno: quello
che è mancato in questi anni nelle campagne italiane non è stata la
voglia di lottare ma l’organizzazione per farla. La capacità di
costruire un sindacato a insediamento multiplo in grado di dare potere
alla forza collettiva dei lavoratori contro il potere della “fabbrica
verde”. Di quella grande distribuzione che basa il suo profitto sulla
pelle viva dei braccianti.
Lo sciopero USB di
domani è importante proprio per questo, perché dopo l’omicidio di Sacko a
Rosarno rimette al centro i braccianti in quanto persone, in quanto
lavoratori. Chi può, invece di mascherarsi nelle sigle associative,
scenda in strada con questi lavoratori.
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