Riproponiamo articolo del 6 giugno scorso per l’attualità dell’ulteriore svalutazione della lira turca.
L’euro è un accordo di cambi fissi. Perciò, al fine di poter riconquistare posizioni in termini di competitività, ciascuno Stato che vi ha aderito – non potendo più far leva sul cambio (svalutazione della moneta) – è costretto ad incidere sul lavoro riducendo i salari e contraendo le garanzie contrattuali e di legge in favore del lavoratore (svalutazione del lavoro). In pratica, con la moneta unica, il peso della competitività viene scaricato sul lavoro: legge Fornero e Jobs Act vanno esattamente in questa direzione!
Ma non solo. La cessione di sovranità monetaria produce effetti devastanti anche in ordine ad altri motivi. Ciascuno Stato dell’Eurozona si trova costretto ad andarsi a cercare la moneta, e può farlo solo in tre modi:
1) chiedendola in prestito ai mercati dei capitali privati, quindi a banche private, assicurazioni etc, che applicano tassi di interesse commisurati all’affidabilità della finanza pubblica di ciascuno Stato a poter “garantire” il “debito”. In pratica lo Stato colloca mensilmente i propri Titoli di Stato sul mercato primario, cioè quelli battuti ogni mese dal Tesoro (così incamera la moneta), ed è quindi il mercato a decidere i tassi di interesse: più i conti dello Stato sono in ordine (cioè tagli selvaggi alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, alla giustizia etc…) e più i tassi di interesse saranno bassi; più lo Stato aiuta cittadini e imprese (quindi spende a deficit) e più i tassi di interesse saranno alti. In realtà, a dirla tutta, lo Stato non “ripaga” mai il suo debito: un Titolo di Stato, alla scadenza, viene rinnovato oppure venduto ad altro investitore. Quindi il capitale non viene sostanzialmente mai ripagato. Ciò che invece lo Stato paga sono gli interessi (ecco perché lo spread – cioè la differenza tra quanto pagano i tedeschi e quanto paghiamo noi di interessi sui Titoli di Stato – è diventato una sorta di sovrano occulto);
2) andandola ad estorcere a cittadini e imprese attraverso l’aumento delle tasse, l’inasprimento dei sistemi di accertamento fiscale e i tagli selvaggi alle voci di spesa pubblica più sensibili come sanità e pensioni;
3) favorendo l’ingresso di capitali esteri attraverso gli investimenti stranieri e le esportazioni. Mi consentirete una ripetizione. Riguardo le esportazioni, in termini di competitività – non potendo più intervenire sul cambio (cioè non potendo più svalutare la moneta) -, siamo costretti ad intervenire sul lavoro attraverso la contrazione dei salari e dei diritti fondamentali (svalutazione del lavoro), e medesimo discorso dicasi per attirare gli investimenti esteri: chi intende investire nel nostro Paese non vuole trovarsi “irritanti commerciali” che gli impediscano la realizzazione del massimo profitto, cioè deve poter gestire il capitale investito senza dover fare i conti tutti i giorni con i diritti fondamentali che, nella sostanza, costituiscono un intralcio alla realizzazione del massimo profitto. Diversamente, troverà convenienza ad investire in altri Paesi con legislazioni maggiormente flessibili in materia di lavoro.
E il debito pubblico, che negli Stati a moneta sovrana con una banca centrale che funge da prestatrice illimitata di ultima istanza non rappresenta alcun problema (vedesi ad esempio il Giappone), nell’eurozona è diventato un macigno che mette a repentaglio finanche il patto sociale! Il tutto aggravato dal fatto che la BCE – addirittura per suo statuto – non può garantire i debiti pubblici di nessuno degli Stati della zona euro (quindi non funge da prestatrice illimitata di ultima istanza). Il Quantitative Easing (QE) da un lato ha svalutato l’euro sul dollaro rendendo maggiormente competitiva l’intera eurozona in una comparazione globale ma non infra-Stati (quindi non l’Italia nei confronti della Germania che sono i due maggiori Paesi esportatori dell’eurozona), mentre dall’altro sta provvedendo ad “acquistare” i Titoli di Stato sul mercato secondario (cioè quelli già in circolazione) e non sul mercato primario (battuti mensilmente dal Tesoro e che incidono direttamente sulla finanza pubblica), quindi tutte le criticità connesse al debito pubblico restano e continuano a soffocare l’economia nazionale! Con l’ulteriore criticità che tra qualche mese avrà termine anche il programma di QE.
Ciò detto, la moneta unica europea presenta gravi ed evidenti punti di contrasto con i principi inderogabili della nostra Costituzione, uno su tutti il diritto al lavoro, non a caso rubricato nei Principi Fondamentali della Carta agli artt. 1 e 4, successivamente specificato nella Parte Prima (dall’art. 35 all’art. 40).
Ma v’è di più. Il primo comma dell’art. 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”) è ormai lettera morta! Così come è lettera morta anche il secondo comma (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“), visto che già da qualche anno la sovranità popolare ha dovuto cedere il passo alla dittatura dello spread, quindi all’andamento dei mercati. La moneta unica europea ha dunque calpestato i principi inderogabili della Costituzione primigenia!
È dovere delle persone di buona volontà divulgare e informare per resistere alle menzogne!
Avv. Giuseppe PALMA
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