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Venditori che si rifiutano di pagare la differenza tra il prezzo calmierato e quello di mercato, perché, dicono, hanno agito in buona fede e in base a nullaosta emessi dal Comune di Roma, controlli di notai e banche che hanno concesso i mutui. Terzi e quarti acquirenti che sono contemporaneamente venditori e compratori… In mezzo, il Campidoglio che ha forzato le norme e che ora non sa più che pesci pigliare e una magistratura ondivaga, che non si decide a decidere.Sono gli ingredienti dell’intricatissima vicenda delle case in edilizia convenzionata vendute nella Capitale, esplosa dopo la sentenza della Cassazione 18135 del settembre 2015, la quale ha sancito che quella tipologia di immobili poteva essere alienata solo con il prezzo massimo prefissato. E non a quello di mercato.
Si tratta in gran parte di abitazioni di periferia sorte su terreni espropriati per pubblica utilità, le quali hanno beneficiato di sconti consistenti sul versamento degli oneri di urbanizzazione.
Immobili rivenduti dal primo proprietario trascorsi cinque anni anche al doppio del prezzo d’acquisto.
Business Insider ha denunciato la “bomba sociale” che solo a Roma riguarda 200 mila immobili, circa 400 mila persone, raccontando la vicenda dal punto di vista di quanti – i venditori, molti riuniti nel “Comitato venditori 18135” – si ritrovano oggi richieste di rimborso per centinaia di migliaia di euro da parte dei compratori.
Ma, per ogni venditore, esiste un acquirente, l’altra faccia della Luna, quella composta da quanti hanno comprato una casa a prezzi di mercato – accendendo mutui e impegni – e che oggi si ritrovano un appartamento il cui valore è molto inferiore a quanto pagato allora, visto che è gravato da un prezzo massimo di vendita. Sono quelli che dopo la sentenza della Cassazione, hanno iniziato a chiedere i rimborsi ai venditori. A volte limitandosi all’affrancazione – l’istituto grazie al quale versando una cifra al Comune, si fa decadere il vincolo del prezzo calmierato, il cui costo varia tra gli 8 e i 48 mila euro, a seconda del tipo di immobile e della posizione -, a volte richiedendo l’intera differenza tra prezzo massimo e prezzo di mercato.
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Per Di Piero i veri colpevoli di questo rebus sono i notai e i funzionari del Comune di Roma: “Sapevano già dal 2007 che le case in edilizia convenzionata potevano essere vendute solo a prezzo calmierato, ma hanno fatto finta di non saperlo, con l’appoggio del Campidoglio. Nel resto d’Italia il prezzo massimo è stato rispettato, solo nella Capitale per anni si è fatto finta che non esistesse. Il risultato è che oggi c’è una guerra tra la gente, è come il gioco del cerino, una gara a passarlo a un altro per non scottarsi”.
Meno conciliante, invece, è Chiara, che nel 2014 inizia le pratiche per comprare un bilocale di edilizia convenzionata da una prima proprietaria a prezzi di mercato. Versa la caparra, ma la venditrice tarda a uscire di casa. Dopo un lungo tira e molla, Chiara le fa causa e i suoi avvocati chiedono alla proprietaria di fornire la convenzione, l’atto stipulato da Comune di Roma e costruttori nella quale sono riportati tutti i vincoli, dai limiti di prezzo ai requisiti di reddito necessari per accedere all’edilizia convenzionata. La venditrice afferma di non averla mai avuta e di non essere a conoscenza di alcun vincolo sull’immobile. Pochi mesi dopo, Chiara però scopre che la controparte ha venduto l’immobile a una terza persona, a prezzo calmierato, con tanto di convenzione e atti del costruttore allegati al rogito. Quelli che affermava di non aver mai avuto e di non conoscere.
“Io credo nella buona fede dei secondi e terzi proprietari, dei primi no. Le convenzioni non potevano essere ignorate o fraintese. I primi acquirenti le avevano lette e firmate al rogito. Inoltre, la mia venditrice durante le trattative mi ha sempre detto che non poteva scendere sotto una determinata cifra, perché doveva recuperare anche i soldi dati in nero al costruttore oltre il prezzo calmierato!”, si sfoga Chiara che poi aggiunge: “Notai, banche, agenzie immobiliari per decenni hanno fatto finta di nulla per aumentare i loro margini di guadagno”. Del resto, ragiona Chiara, “se avessi comprato quella casa, oggi mi ritroverei un appartamento pagato a prezzo di mercato che avrei potuto rivendere solo a prezzo calmierato. E per affrancarlo avrei dovuto versare ulteriori 25 mila euro, una cifra non indifferente, considerando che avrei avuto anche un mutuo sulle spalle”.
Insomma, per Chiara, i primi proprietari hanno venduto con la consapevolezza di fare un atto illegale. “Fatto ancor più grave”, aggiunge Luca, suo compagno, “è che ancora oggi a Roma gli agenti immobiliari mettono sul mercato immobili di edilizia agevolata, assicurando che dopo la prima vendita quegli immobili non hanno alcun vincolo. Ti dicono: “È un affare, oggi compri la casa a 100 e te la rivendi domani a 200… Il che è falso, perché i vincoli rimangono sempre, ma è esattamente quanto hanno fatto i primi proprietari, i quali fecero Jackpot. Per questo sosteniamo che c’è dolo”.
Pur con le dovute differenze, Comitato venditori 18135 e Associazione Area 167 sembrano concordare sia sulla responsabilità della classe notarile e bancaria, sia su una possibile soluzione: un provvedimento legislativo che porti alla chiusura dei conflitti legali imponendo al venditore di farsi carico dell’onere dell’Affrancazione. Anche se Di Piero avverte: “La sola affrancazione non basta, ci vuole anche un conguaglio, perché l’incertezza giuridica dimostrata fino a oggi espone i compratori a un rischio continuo”.
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