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Siamo stati noi. Inutile girarci attorno, la crisi del liberismo è partita dall’Italia ed è destinata a durare ancora a lungo. Secondo autorevoli analisti la crisi del liberismo – non del capitalismo, attenzione: del liberismo, che non è la stessa cosa – è partita nel 2008 con la crisi
dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers. E invece è
partita con noi euroscettici targati 2011 e, sissignori, dalla piccola
addomesticata Italietta. Alla crisi
tecnica in atto, “noi” abbiamo infatti aggiunto l’informazione, ed è
per questo che ci odiano. Andatevi a vedere i tweet dei liberisti
italiani, in stile Scacciavillani e Boldrin, per farvene un’idea.
Sembrano impazziti! Mia nonna in cortile aveva delle galline che
facevano meno casino quando giungeva il momento di tirar loro il collo.
Molti “di noi” li insultano e rispondono punto su punto alle critiche e
alle provocazioni. E invece hanno ragione: la causa del crollo della
loro religione ideologica siamo noi. E abbiamo appena cominciato.
L’Italia è il primo paese del vecchio continente e il primo membro
fondatore dell’Unione Europea
a essere governato da una leadership euroscettica. Per essere giusti,
tuttavia, “leadership critica verso la Ue” sarebbe una definizione più
appropriata, visto che non la smettono di rimarcare ogni santissimo
giorno che non vogliono uscire dall’euro e bla bla bla.
Leggendo la faccenda da parte di chi (noi) euroscettico lo è davvero,
e non per convenienza momentanea, la nascita del governo di Conte
segnala che la rete liberale euro-atlantica ha perso il controllo
politico dell’Italia. Usando una terminologia finanziaria, direi che questo è un “trend” serio, e segue la scofitta dei liberal dell’Europa orientale e isolana: svolta in Austria, la Brexit e, prima fra tutte, la politica
illuminante degli islandesi. Poco prima della grande svolta, quella
italiana, abbiamo l’occupazione di un certo Donald Trump della Casa
Bianca. La “destra” tradizionale non ha nulla a che fare con questo
nuovo fenomeno: un movimento in crescita che rifiuta ciò che l’Europa (e il mondo occidentale in generale) è diventato nei decenni successivi alla fine della Guerra
Fredda, così come le sue basi ideologiche. Contrariamente a ciò che
molti scrivono per dare alla faccenda un tono nostalgico o
neopauperistico, l’ondata euroscettica e antiliberista non combatte il
pluralismo, il multiculturalismo, ecc, ma l’immigrazione di massa, la
globalizzazione economica incontrollata, la repressione delle identità
locali e nazionali, l’individualismo estremo, lo sradicamento culturale,
l’islamizzazione e la cosiddetta “ideologia di genere”.
Quel movimento (noi), variamente chiamato “nazionalista”,
“populista”, “rossobruno”, “anti-establishment”, “sovranista”, in
realtà contiene una sorprendente varietà di posizioni che spaziano dal
comunismo ad Adam Smith e sta indubbiamente cavalcando un’onda storica
simile a quella che portò alla fine del blocco sovietico. Se la devono
mettere in saccoccia: il panorama della politica
occidentale sta cambiando ed anzi ha già causato cambiamenti
irreversibili. Occorre però tenere gli occhi bene aperti – spalancati! –
perché non mancano moltissimi agganci tra l’ascesa di questo movimento e
liberali “sotto copertura”, nel senso che sembrano keynesiani, ma che
in realtà sono liberali disposti a concedere qualche briciola mantenendo
però saldamente in mano il potere. Di certo, i conservatori liberali classici, ma sedicenti progressisti, non hanno capito nulla della vicenda dei migranti; e questa incapacità di pensare alla politica è la migliore garanzia della loro scomparsa e dell’aumento dei loro avversari. Finora, questo pare essere il trend.
L’Italia era tra i paesi con il più alto sostegno all’integrazione
europea. Un decennio fa, i partiti anti-establishment ed euro-critici
potevano mirare, tutti insieme, al 10% -15% dei voti. Come è diventato
un posto dove possono raggiungere bene oltre il 60%? Dal mio punto di
vista ciò è spiegato da una combinazione di fattori sistemici, politiche
terribili e terribile comunicazione da parte dell’Ue come istituzione,
dalle maggiori figure politiche europee e dai loro rappresentanti
italiani. Fondamentalmente, la situazione attuale è stata generata dalla
questione delle riforme economiche e dall’immigrazione. Sul primo
fronte, è noto che l’Italia sia stata attaccata appositamente (spread),
ma ha evitato un collasso finanziario nel 2011-2012, perché la Bce è
intervenuta con una massiccia liquidità e, in seguito, acquisti di bond
per stabilizzare le sue finanze. Questo tuttavia era basato su un
accordo politico tra Roma da una parte e Bruxelles, Francoforte e
Berlino dall’altra: l’Italia fu salvata ma dovette promettere una lunga
lista di riforme economiche e sociali. L’idea dell’Ue germanica era
piuttosto chiara: l’Italia è attualmente un sistema economico
insostenibile (balle); mentre la Bce acquista un po’ di tempo, le
riforme vengono attuate, riportando il paese su una traiettoria di
sostenibilità.
Peccato che la serie di riforme draconiane richieste dall’Ue era
fondamentalmente impossibile da attuare nel contesto italiano. Ci sono
formidabili limiti legali e persino costituzionali a ciò che il governo
può fare per affrontare diritti, pensioni, sussidi, contratti stabiliti e
così via. L’Italia, piaccia o non piaccia, ha una Costituzione
keynesiana. Il tradimento di questa impostazione democratica ha
provocato una dolorosa compressione della domanda interna. Tutto il
resto, sono balle talmente giganti da non stare nelle mutande. Sul
fronte dell’immigrazione, sia il governo di Letta che quello di Renzi
hanno creato una situazione di assoluto caos: qualcosa che è stato
riconosciuto persino, a suo merito, dal ministro degli interni Marco
Minniti (sotto Gentiloni), che ha ammesso gli effetti disastrosi di tali
politiche. Il comportamento dell’Ue su questa questione è stato
completamente contraddittorio. Da un lato Bruxelles ha insistito su un
piano per la redistribuzione dei migranti che nessuno vuole.
Il piano appare al meglio assurdo, con possibilità minime di essere mai
adottato; dall’altra, tutti i paesi confinanti con l’Italia hanno
rafforzato i loro controlli sugli stranieri.
Vale la pena ricordare che la crisi
migratoria nel Mediterraneo deve essere ricondotta direttamente
all’assurda campagna militare del 2012, avviata da Francia e Gran
Bretagna, che non solo ha distrutto alcuni degli interessi di sicurezza
più vitali dell’Italia (un alleato dell’Ue e della Nato), ma dell’Europa in generale, compresi in definitiva quelli di Francia e Gran Bretagna, accelerando la destabilizzazione della politica
europea. Ancora una volta, la posizione della leadership dell’Ue e
della sua filiale italiana sembra essere che questa situazione caotica
nel Mediterraneo durerà potenzialmente per molti anni e persino decenni,
e che gli italiani (come il resto degli europei) dovrebbero
semplicemente sopportare… Nessuno sembrava rendersi conto che questo non
era possibile – tranne noi. Quello che però gli elettori e i
sostenitori dell’attuale governo non hanno ancora capito, e che li rende
in parte diversi da noi, è che molti di “noi” non confidano in un
grande successo di questo governo. In caso di fallimento, infatti,
l’elettorato non si sposterà affatto nella direzione pregressa dei
liberal euro-moderati, ma si radicalizzerà sempre di più su posizioni
euroscettiche.
(Massimo Bordin, “Perché i neoliberisti odiano l’Italia – e fanno benissimo”, dal blog “Micidial” del 13 agosto 2018).
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mercoledì 22 agosto 2018
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