giovedì 16 agosto 2018

Aumento delle tariffe, concessioni infinite, accordi segreti: gli aiuti di stato alla ‘Compagnia del Casello’.

Una concessione autostradale è per sempre e l’aumento dei pedaggi arriva puntuale il 1° gennaio di ogni anno. Sono le due regole ferree che governano il cosmo delle autostrade. Un universo popolato da pochissimi eletti – la “Compagnia del Casello”, 25 società dove la parte del leone la fanno Benetton, Gavio e alcuni enti locali – che fanno affari d’oro a fronte di rischi d’impresa praticamente nulli.


it.businessinsider.com

Una rendita di posizione assicurata da intese segretate, da gare quasi mai fatte; da investimenti promessi e realizzati solo in parte; da rivalutazioni finanziarie che assicurano rendimenti oltre l’8% annuo; da lavori decisi per “migliorare il servizio”, dove i maggiori introiti vanno ai concessionari, mentre le spese ricadono sugli utenti.
Insomma, se non sapete cosa fare nella vita, accettate un consiglio: accaparratevi una concessione autostradale, vi renderà ricchi.
A dimostrare la bontà dell’affare, bastano alcuni dati contenuti nella relazione 2016 della Direzione generale per la Vigilanza sulle concessionarie autostradali del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che certifica come, nonostante il traffico diminuisca, i profitti per i gestori volino.

Tra il 2009 e il 2016, infatti, il traffico autostradale italiano è sceso del 3% (da 83 milioni di veicoli a 81), mentre i ricavi netti da pedaggio sono aumentati del 20% (da 4,7 a 5,7 miliardi). Il tutto a fronte di spese – che le concessionarie si erano impegnate a fare nei Piani economi e finanziari sottoscritti col Mit – inferiori alle promesse: 15 miliardi spesi a fronte di impegni per 21,7 miliardi («La spesa progressiva per investimenti nel periodo regolatorio 2008–2016 risulta inferiore rispetto alle previsioni riportate dai Piani Finanziari operativi», scrive il Ministero).
A far volare gli incassi, ça va sans dire, gli aumenti tariffari. L’ultima tornata ha visto crescere i costi al casello del 2,74% a livello nazionale, con punte del +52% sui 31 km della Aosta Ovest-Morgex (concessionaria Rav, Autostrade per l’Italia, Aspi); del +13,91% per la Milano Serravalle-Milano Tangenziali Milano (controllata al 53% dalla holding delle regione Lombardia Asam e partecipata dalla Sias del gruppo Gavio con quasi l’11%); del +12,89% sulla A24 e A25 (Società Strada dei Parchi di Carlo Toto); del +8,34% per la Torino-Milano (Gruppo Gavio); del +5,98% per le Autostrade Meridionali (ancora Aspi).
Ma perché le autostrade aumentano i prezzi?
«È uno dei misteri italiani», spiega Giorgio Ragazzi, già professore di Economia Politica all’Università di Bergamo, ex membro del direttivo della Banca Mondiale e autore del libro: “I signori delle autostrade”. «Nessuno lo sa, perché il governo non lo spiega. Non risponde neanche alle interrogazioni parlamentari: il 18 settembre scorso l’on. Arianna Spessotto ha chiesto al ministro Graziano Delrio come mai Gavio avesse potuto fare una rivalutazione unilaterale della Torino-Piacenza per 340 milioni – soldi alla fine pagati dai contribuenti – e sta ancora attendendo la risposta».
La giustificazione storicamente adottata dai 25 gestori è che le società aumentano le tariffe perché devono rifinanziare gli investimenti.
«Il problema», continua Ragazzi, «è che gli azionisti delle concessionarie in quelle società non hanno mai messo neanche un soldo di fondi propri. Tutte si sono sempre finanziate a debito».
Ed è un giochino piuttosto ricco, visto che il governo riconosce ai gestori una redditività sui capitali dell’8% annuo, quando queste posso ricorrere a mutui trentennali a tasso fisso a meno del 2% annuo.
Lo scandalo del Passante di Genova
«Prendiamo il caso del passante di Genova», continua il professore, «Aspi si è impegnata a costruirlo entro il 2028 e a finanziarlo assieme ad altri investimenti per un totale di 7,8 miliardi entro la fine della vigente concessione (scadenza 2038). In cambio, il governo le ha accordato quattro anni di proroga della concessione; un indennizzo di subentro (l’istituito nato per compensare il concessionario uscente per gli investimenti non ancora ammortizzati) di 5,6 miliardi; una revisione tariffaria per cui i pedaggi aumenteranno con l’inflazione al 100% (contro solo il 70% di oggi) più lo 0,5% l’anno. Visto che lo stesso Ministero prevede che nel 2038 Aspi avrà un Margine Operativo Lordo (Mol) di 4,4 miliardi l’anno (e quindi nei quattro anni di proroga della concessione incasserà 17,6 miliardi), sommando questi all’indennizzo e ai rincari di tariffa, Aspi avrà maggiori entrate complessive per 23,6 miliardi: tre volte l’importo degli investimenti previsti!».

Soldi che usciranno dalle casse pubbliche e dalle tasche dei futuri utenti. 
Per Ragazzi si tratta di una forma mascherata di debito pubblico scaricato sulle future generazioni. Interrogata da Business Insider Italia sugli aumenti e sul piano finanziario, Aspi non ha ritenuto di dover rispondere.
Altro caso esemplificativo di come i ricavi vadano ai gestori, mentre i costi ricadano sugli utenti, sono le Tangenziali di Milano e la Serravalle (A7), 179,1 km in mano alla finanziaria della Regione Lombardia Asam con il gruppo Gavio quasi all’11 per cento. Nel 2016 i ricavi della società sono stati 227,8 milioni (in crescita rispetto ai 226 dell’anno prima); gli utili 34 milioni (+14 milioni rispetto al 2016). Nonostante i numeri positivi, la società ha ottenuto dal 1° gennaio 2018 un aumento delle tariffe del 13,9%. E a fronte di tutto ciò, Serravalle non ha effettuato investimenti (che ricordiamo si era impegnata ad effettuare) per oltre 220 milioni.
«Questi aumenti sono del tutto ingiustificati, visto che l’infrastruttura è ammortizzata, i costi per il personale sono in diminuzione e il traffico su Milano cresce», commenta Dario Balotta, presidente dell’Osservatorio nazionale delle Liberazione nei Trasporti (Onlit), «a pagarli sono i pendolari, i quali oggi  rappresentano il 70% degli utenti delle autostrade metropolitane».
Anche Serravalle non ha risposto alle domande di Business Insider Italia.
Concessioni perpetue grazie ai lavori
Il capitolo investimenti ha strette connessioni con quello dei prolungamenti delle concessioni.
«C’è una leggina», spiega il professor Marco Ponti, già ordinario di Economia e pianificazione dei trasporti del Politecnico di Milano, «la Costa-Ciampi la quale prevede che se il concessionario non ha realizzato tutti gli investimenti in corso, può prolungare la concessione finché non li ha terminati. Quindi, di solito due anni prima della scadenza del contratto, il concessionario chiede il permesso al Ministero di fare una certa opera e il ministero dice inesorabilmente sì. In questo modo, il concessionario ottiene il prolungamento. La colpa è del ministero che ha firmato contratti molto svantaggiosi, non del concessionario, che agisce in base al titolo sottoscritto».

È in questo modo che le concessioni in teoria quindicennali si trasformano in perpetue: quella della Autocamionale della Cisa S.p.A., per esempio, scadrà nel 2031, la Concessioni Autostradali Venete S.p.A. nel 2032; la Società Autostrada Tirrenica S.p.A. ha la scadenza prevista nel 2046, mentre la Società Italiana Traforo Monte Bianco è a posto fino al 31 dicembre 2050.
Alla luce di tali date, fanno abbastanza sorridere le dichiarazioni rilasciate il 7 luglio scorso dal ministro Graziano Delrio di ritorno da un incontro a Bruxelles con la commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager proprio sul tema concessioni e liberalizzazioni.

«C’è l’accordo sulla Gronda di Genova, sulla Asti-Cuneo e c’è una scelta strategica di fondo dell’Italia non solo di non chiedere proroghe, ma di continuare a fare gare (per le autostrade, ndr)», proclamò trionfale il ministro.
«Le proroghe concesse sono limitate, servono a uno scopo principale, cioè calmierare le tariffe per non pesare sugli utenti», aveva aggiunto il buon Graziano con poca lungimiranza visti gli aumenti del gennaio successivo.
Quindi, non ci sarà «nessuna richiesta di prolungamenti di concessioni se non nelle regole che hanno già seguito gli altri Paesi», e verranno fatte «molte più gare, al 2030, per unificare e rendere più forti anche i sistemi autostradali che oggi sono troppo frazionati», aveva concluso.
Parole che appaiono in antitesi con quanto deciso dallo stesso Delrio solo pochi mesi fa:
«Il Ministro ha firmato due concessioni che gridano vendetta», commenta ancora Ponti, «quella della A22 del Brennero, data senza gara nel novembre scorso per i prossimi 30 anni alla Autostrada del Brennero Spa, società controllata da regione Trentino – Alto Adige e dalle province di Mantova, Verona e Modena. E quella della Gronda di Genova ad Aspi, dove è stato approvato un progetto sovradimensionato – sorgerà uno svincolo alla Los Angeles, tutto in galleria – frutto di un piano studiato dallo stesso concessionario e non da un ente terzo!».

Ma torniamo alle tariffe: non contento, spesso il concessionario che ha appena ottenuto il prolungamento della concessione in base alle nuove opere approvate, usa quelle stesse opere per chiedere aumenti tariffari, perché, come scrivono i vertici dell’abruzzese Strada dei Parchi in un ricorso contro Anas del luglio 2017: “Le convenzioni autostradali prevedono che tutti gli investimenti in manutenzione si debbano finanziare con le tariffe. Vale per Strada dei Parchi come per tutte le altre concessionarie del Paese”.
Il discorso suona più o meno così: “Io concessionario voglio costruire la terza corsia sulla mia autostrada. Però quest’opera non mi porterà maggior volume di traffico, serve solo per migliorare la qualità del servizio che offro agli utenti. Quindi tu Stato mi devi aiutare a rientrare delle spese, permettendomi di aumentare le tariffe”.
Al che, ci si aspetterebbe che il funzionario del Mit dica: “Ma se l’opera non ti porta maggior volume di traffico, perché tu concessionario hai deciso di farla? Viceversa, se aumenta il numero di veicoli sulla tua concessione, allora aumenteranno anche i pedaggi, quindi ci guadagnerai…”.
Sfortunatamente tale ragionamento non viene fatto al ministero. E non può essere fatto da nessun altro ente o partito, visto che i Piani economici e finanziari alla base di ogni convenzione e utilizzati per chiedere aumenti tariffari, sono secretati. Li conoscono solo il concessionario, l’Anas e il Ministero.
Trattandosi di accordi tra il pubblico (lo Stato) e un soggetto privato (il concessionario), al quale viene dato  l’affidamento di un bene di un servizio pubblico, è lecito chiedersi il motivo della segretezza. La risposta di Anas e concessionari è sempre stata questa: visto che a trattare e firmare le convenzioni per conto del governo è l’Anas, e visto che l’Anas è una società per azioni, come lo sono le concessionarie, allora la segretezza della convenzione è d’obbligo per non turbare il mercato.
Alla luce di tutto ciò, si può ben dire che il Pubblico è più che ben disposto nei confronti dei Signori del Casello, anche perché, come spiega Ponti, «gli extraprofitti realizzati dai concessionari sono tassati al 50%, quindi anche lo Stato mangia una fetta della torta».
Il regalo di Natale
L’ultimo “regalino” alle concessionarie il governo l’ha confezionato a Natale scorso, con un emendamento inserito negli ultimi giorni di dicembre nella Legge di Bilancio 2018 (il comma 568 dell’articolo 1 che modificava il comma 1 dell’articolo 177 del Nuovo Codice degli Appalti). In base al Nuovo codice dei contratti approvato nel 2016, tutte le società titolari di una concessione pubblica, dovranno fare gare d’appalto per l’80% dei lavori da esse previste, mentre solo il 20% potrà essere affidato in house. L’emendamento di dicembre conferma tale norma per tutti i concessionari, ad eccezione dei “titolari di concessioni autostradali», per i quali la quota “è pari al sessanta per cento”.
Le concessionarie autostradali – e solo loro – potranno cioè continuare ad affidare a sé stesse il 60% degli appalti.
È solo il caso di ricordare che Anac il 31 maggio 2017 (cioè prima dell’emendamento voluto dal Pd sotto la pressione dei sindacati i quali paventavano 3 mila licenziamenti tra i lavoratori delle imprese autostradali) aveva formalmente richiesto a tutti i titolari di concessioni italiani di rendere noto:
  • tipologia dei contratti (lavori, servizi o forniture) e delle prestazioni svolte o da svolgere;
  • stato di esecuzione e caratteristiche dei contratti;
  • pianificazione degli investimenti futuri.
Ai soli concessionari autostradali aveva esplicitamente intimato di dichiarare anche scadenza della concessione, stato delle procedure di affidamento dei lavori, stato tecnico complessivo dell’infrastruttura, opere eseguite non ammortizzate. Tutte informazioni che grazie all’aiutino la “Compagnia del Casello” potrà continuare a tenere per sé.

Nessun commento:

Posta un commento