Ci fu o no trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato? Fu Provenzano o no a venderlo ai carabinieri? Non lo sapremo mai.
U Curtu se ne va un anno e spicci dopo il suo
compare Bernardo Provenzano, portandosi nella tomba l'altra metà del
segreto dei segreti su cui la Procura di Palermo si è rotta la testa: ci
fu o no trattativa tra Cosa Nostra e lo Stato? Fu il suo compare o no a
venderlo ai carabinieri? Non lo sapremo mai, anche se per molti è più
rassicurante pensare e raccontarsi che tutto sia filato come succede tra
guardie e ladri. Per il resto Salvatore Riina da Corleone, classe 1930,
26 ergastoli da scontare e 24 anni di carcere consumati a rimuginare,
minacciare e ripetersi che a dare la vita e la morte era sempre lui,
muto è rimasto fino alla fine.
Muto come si conviene a un Capo dei capi e
assassino feroce che, tra acido per squagliare i bambini e bombe per le
stragi, non si è mai fatto mancare nulla.
Il mondo che aveva visto soccombere magistrati e poliziotti, che
aveva visto saltare in aria strade e autostrade, rimase sbalordito
davanti a quella faccia da contadino spaesato che la mattina del 15
gennaio 1993 accompagnò la notizia del suo arresto. Possibile che
quell'omino dimesso fosse il Padrino? Certo che sì. Provenzano, col
fazzoletto per asciugare il sudore intorno al collo, era come lui. In
fondo venivano dalle stesse campagne di Corleone, e avevano fatto tutta
la strada insieme prima di dividersi (forse) per darsi il cambio al
vertice di Cosa Nostra. E come Zu Binnu pure lui, Totò u Curtu, era
stato nascosto vent'anni, un fantasma, durante i quali si era sposato in
chiesa con Ninetta Bagarella e aveva fatto tre figli. Perché ammazzare
la gente è una cosa, ma la famiglia altra cosa è.
Certo, ripensare adesso alle parole di Giovanni Falcone che definiva
la mafia un fenomeno umano che in quanto tale ha un inizio e una fine,
fa venire i brividi. Come i 57 giorni d'agonia di Paolo Borsellino. Una
morte annunciata. Riina se ne è andato nel giorno del suo
ottantasettesimo compleanno, ma è un fatto che avesse cominciato a
morire molto prima: il 30 gennaio 1992, quando la Corte di Cassazione
confermò le sentenze del maxiprocesso contro Cosa Nostra istruito
proprio da Falcone e Borsellino. Fu lì che tutto si ruppe: l'alleanza
con i pezzi dello Stato che fino a quel momento gli avevano garantito
l'annullamento delle sentenze, e il patto con la politica che gli aveva
consegnato l'isola. Fu allora che Totò u Curtu impazzì. Dovevano pagare
tutti per quello schiaffo inaccettabile, decise. E cominciò a farli
fuori uno alla volta, a fargli fare la "fine del tonno".
La verità di quello che accadde veramente in quei dodici mesi scarsi,
fino al 15 gennaio 1993 e al suo arresto, se la sono equamente divisa
lui e Provenzano. Che forse lo vendette allo Stato per evitare la fine
di Cosa Nostra e ne fu ripagato con la mancata perquisizione nella villa
in cui U Curto era nascosto con la famiglia, ripulita dai picciotti
dell'organizzazione (carta da parati compresa) prima che i carabinieri
facessero irruzione scoprendo che dentro era rimasto il nulla di nulla.
Insomma, storie di fantasmi maligni, di sangue e di misteri. Riina se ne
è portati parecchi nella tomba, e come al solito adesso qualcuno verrà a
dire che dovremo farcene una ragione. Si vedrà. Intanto annotiamo il
giorno della scomparsa di un altro Padrino. Vecchio, malato e fuori
giri. Senza alcun rimpianto.
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