Lavorate con salari da fame e morite presto! Questa
è la sintesi della prossima legge di bilancio; vediamo di affrontarla
sottolineandone quelli che, ad oggi (21 Ottobre) ne sono i punti
salienti.
1. Ritornano gli sgravi contributivi,
che hanno già mostrato il loro fallimento all’epoca dell’introduzione
del Jobs Act: regali alle imprese, a carico della collettività, che non
incentivano un’inversione di rotta nelle assunzioni stabili, dal momento
che, venuti meno gli sgravi, qualunque altra forma contrattuale, più
precaria, costa al padrone meno del contratto a tutele crescenti. Per il
prossimo anno è previsto un limite al 50% del totale degli oneri
aziendali, e un tetto massimo di 3000 euro annui. Ciò significa che, per
fare in modo che il risparmio per i padroni sia pieno, gli oneri
contributivi non devono superare i 6000 euro: facendo un calcolo a
spanne, a questa spesa corrisponde un salario netto mensile di circa 660
euro. Al Sud gli “incentivi” salgono al 100% e ne possono usufruire
anche le aziende che fanno contratti di apprendistato ai giovani che,
presso di loro, hanno svolto l’alternanza scuola/lavoro; il tetto, come
conferma il Sole 24 Ore, resta di 3000 euro, e stavolta il calcolo ve lo
fate da soli. Quello che è chiaro è che questi sgravi incentivano
assunzioni a bassi, bassissimi salari.
2. Restano i superammortamenti e gli iperammortamenti per le imprese che acquistano macchinari o digitalizzano la produzione;
la quota macchinari scende – da 140% a 130% -, quella per la
digitalizzazione resta invariata al 250%, il fondo per il finanziamento
viene aumentato. Che vuol dire “ammortamento”? Significa che le aziende
che acquistano macchinari o investono nell’informatizzazione ricevono
uno sconto sulle tasse superiore alla spesa sostenuta: nel primo caso
chi spende 1000 euro non pagherà tasse per 1300 euro, nel secondo caso,
con la stessa spesa, si ricevono 2500 euro di sconto. A giudicare dagli
effetti sull’occupazione e sulla competitività – nulli – che questa
misura ha già mostrato, non c’è da essere ottimisti circa gli effetti
positivi di questo ulteriore regalo, sempre a spese della collettività,
anche perché l’innovazione ha un costo “vivo” – formazione del
personale, manutenzione, aumento dei volumi produttivi per efficientare
la spesa – che solo una ripresa vera può sostenere, non di certo quella
di un paese con un incremento del PIL tra i più bassi d’Europa. Insomma,
nella migliore delle ipotesi, con qualche bella fattura gonfiata i
nostri capitani d’impresa si regaleranno qualche ulteriore benefit!
3. Il rinnovo contrattuale del pubblico impiego è al palo: si parla da un anno di 85 euro medi lordi, spalmati su più anni, il che si traduce in cifre ridicole, se si considera che
negli ultimi nove anni l’inflazione ha mangiato 130 euro al mese a chi
prende 1400 euro netti. Al danno la beffa: molti dipendenti rischiano,
per questo ridicolo aumento, di perdere il bonus IRPEF da 80 euro. Che
cosa inventa allora il Governo per evitare questo rischio? Semplicemente
che dovranno essere le Regioni e gli Enti locali – le cui casse sono
notoriamente stracolme d’oro – a compensare la perdita con aumenti
dell’accessorio (che in molte realtà nel corso di questi anni ha
rischiato, invece, di essere tagliato); per la Sanità ci penserà,
invece, il fondo sanitario nazionale che, come vedremo più in là, subirà
anche ulteriori sforbiciate. Gli 80 euro, insomma, allo stato dell’arte
odierno, si perdono, per cui l’aumento, per alcuni, potrebbe tradursi
addirittura in una diminuzione!
4. Istruzione e ricerca:
a fronte della sbandierata assunzione di 1500 ricercatori – dietro la
quale si nasconde spesso una carriera pluridecennale da precario, quindi
più che di assunzione dovremmo parlare di rimborso spese – il Governo
si ingrazia la casta baronale – che con lo sciopericchio corporativo di
Settembre ha guadagnato la biennalizzazione degli scatti stipendiali – e
i dirigenti scolastici, chiave attuativa e repressiva dell’attuazione
della 107 (la “Buona Scuola”), i cui stipendi dovrebbero essere
equiparati a quelli degli altri dirigenti pubblici. Una vera e propria,
trasparente, scelta di classe, che premia chi in questi anni ha prestato
servizio alla causa padronale o costituendone il megafono
intellettuale, o applicando puntigliosamente una delle più vergognose
riforme della scuola mai viste in questo paese; non possiamo dire,
certamente, che al Governo non sappiano ricompensare gli amici!
5. Lotta all’evasione fiscale: dietro
questa rituale parola d’ordine si cela, quest’anno, un grosso bubbone.
Da un lato il Governo introduce l’obbligo della fattura elettronica dal
2019, cosa senz’altro positiva, ma limitata soltanto al cosiddetto B2B (business to business, cioè
tra operatori commerciali) e non anche ai rapporti col consumatore
finale. Ciò significa che, ad esempio, tra un produttore di merce, un
sito di deposito e stoccaggio, un’azienda della logistica e un
distributore al dettaglio non ci dovrebbero più essere frodi relative
all’IVA, ma nel rapporto col consumatore finale – che di frequente è un
lavoratore dipendente – il nero continuerà ad imperversare indisturbato.
Nel frattempo, dopo due anni di sbandierata quanto inutile rottamazione
delle cartelle “ex Equitalia”, lo Stato si appresta a vendere le
residue all’asta per un prezzo che sarà intorno ai 4 miliardi (contro i
circa 500 miliardi di valore nominale); il problema è che il soggetto
privato che comprerà quei crediti non avrà, salvo interventi, i limiti
che lo Stato ha nella riscossione, e potrà procedere dunque con
pignoramenti e altre misure vessatorie senza alcun riguardo: per esempio
potrà prendersi anche la prima casa o l’intero stipendio. Abbiamo già
spiegato qui perché
della cd. rottamazione hanno potuto usufruire solo i grandi evasori,
mentre i piccoli, quelli che non hanno pagato una multa o una tassa
perché in difficoltà, sono rimasti con le loro cartelle in mano a
sperare nella sorte. Con questa legge quindi i piccoli evasori, spesso
lavoratori dipendenti o comunque gente in difficoltà, saranno nelle mani
di strozzini privati senza scrupoli, che potranno adottare qualunque
mezzo per recuperare i crediti che hanno comprato!
6. Fondo sanitario nazionale. In
questo campo il Governo dà dei punti ai classici tavolini col gioco
delle tre carte che si incontrano dalle parti della stazione centrale di
Napoli: da un lato aumenta, gridandolo ai quattro venti, di ben 1
miliardo il FSN 2018, che arriva così a 114 miliardi nominali;
dall’altro taglia i contributi alle Regioni per l’edilizia sanitaria e
per il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza (LEA),
chiedendo inoltre alle Regioni di contribuire alla riduzione del debito
pubblico. Aggiungiamo che sempre dal FSN si attingerà, probabilmente,
per evitare la perdita degli 80 euro del bonus IRPEF sui contratti del
Pubblico Impiego, per cui, alla fine della fiera, secondo stima del
solito Sole24Ore, il fondo rischia di essere tagliato di 2,7 miliardi!
7. Le politiche attive per il lavoro entrano anche nella gestione della CIGS,
durante la quale ci può essere un ricollocamento incentivato. Il
padrone che assume il lavoratore in CIGS riceve degli sgravi
contributivi per un anno anche se lo assume a tempo determinato: in
pratica le aziende vengono “deresponsabilizzate” delle crisi che sono
spesso frutto di ricollocazioni più profittevoli, mentre sui lavoratori
ricade il “peso” di dover accettare obtorto collo ricollocazioni senza alcuna certezza di stabilità del rapporto lavorativo.
8. Nulla di fatto, com’era previsto, rispetto al blocco dell’adeguamento automatico dell’età pensionistica,
che passerà a 67 anni nel 2019, a fronte di un’aspettativa di vita che –
specialmente in alcune regioni del Sud – inizia, seppur lievemente, a
diminuire, a causa del peggioramento della qualità della vita e
dell’abbassamento dei livelli di assistenza sanitaria. Nessun
perturbamento invece sul fronte della cd. APE, l’anticipazione
pensionistica che di fatto è un prestito da restituire, quindi una forma
di guadagno dei finanziatori a danno di soggetti anziani che, perdipiù,
avranno già di per se una pensione da fame. In pratica si tratterà di
rinunciare ad una parte del TFR per andare in pensione prima.
9. 1,2
miliardi a regime (2020), quindi oltre la metà dei fondi destinati agli
aumenti stipendiali nella PA, saranno destinati a fare l’elemosina ai
poveri: 190 euro ai single, 490 alle famiglie con 5 o più componenti
(che in Italia non sono la maggioranza). Una miseria che nelle grandi
città non permette nemmeno di pagare un affitto e che si inserisce nelle
sempre più stringenti politiche di controllo contro i lavoratori in
stato di fragilità: questo REI (reddito d’inclusione) sarà compatibile
con il lavoro, ma non con la NASPI. Chi lo vuole conservare, dunque,
farà bene ad accettare un lavoro quale che sia, piuttosto che a perdere
tempo alla ricerca di un posto adatto a sé.
Il
decimo punto non riusciamo a scriverlo: dovremmo trarre delle
conclusioni ripetendo cose già scritte sopra, ribadendo il classismo
della manovra, e ci annoia ripeterci. La sola conclusione che conosciamo
si chiama lotta e organizzazione: il 27 Ottobre c’è uno sciopero che
fermerà diversi settori strategici, tra logistica e trasporti, e il 10
Novembre ce n’è un altro che vedrà mobilitarsi anche il pubblico impiego e la scuola. Fermare il Paese, portare nelle piazze chi non si arrende è la sola sintesi che ci viene in mente.
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