mercoledì 21 settembre 2016

Libro. Il futuro interiore di Michela Murgia e l'Europa che verrà.

Tre mezze età (o età di mezzo) si riflettono nell'ultimo libro di Michela Murgia dal titolo Futuro interiore.
 
Editor Einaudi

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Michela Murgia
Quella della sua generazione - anni Settanta - cresciuta sul limitare fra due salti paradigmatici, uno sociale e uno tecnologico. Sono i quaranta-cinquantenni precari e individualisti, veri e propri sopravvissuti esiliati dalle ideologie ma approdati ai linguaggi digitali come si arriva da adulti a una lingua straniera: "si aggirano tra le macerie di guerre sociali che non hanno combattuto e abitano il proprio presente con la sensazione di non potervi davvero risiedere".
Quella del continente europeo più in generale che con i suoi 41 anni pro capite, è attualmente l'area con la popolazione più anziana del mondo (le stime dell'Onu prevedono che questa media si innalzerà fino a 47 anni entro il 2050). Questo invecchiamento ha molte conseguenze (suggerisce la Murgia) tra cui il fatto che i popoli vecchi fanno meno figli e hanno più paura, e tendono a eleggere governi più disposti a investire in sicurezza che in istruzione. L'Europa che verrà avrà forse più welfare per affrontare la problematica delle malattie da invecchiamento, ma molte meno scuole e asili, forse più caserme e sistemi di controllo sociale che investimenti culturali e spazi aperti ai giovani. Siamo un continente in piena crisi di mezza età - continua - già fuori dai processi dove davvero si decide il futuro ma con ancora abbastanza vita addosso da coltivare l'illusione di poter fare una qualche differenza.

Quella dell'idea di cittadinanza che è altamente datata da noi ma è lì, in quello spazio di relazione dove si definiscono le nuove identità, che l'Europa potrà forse giocarsi la possibilità di avere un ruolo nella storia futura del mondo. Come potrebbe definirsi la cittadinanza in cui sperare, si chiede? Intanto bisogna tornare indietro e considerare che le democrazie che conosciamo sono il risultato di processi storici molto complessi: i cittadini europei con voto sono stati tutti sudditi di un monarca, i sistemi parlamentari sono stati dittature feroci, e i loro confini sono cambiati innumerevoli volte, costringendo le popolazioni a ridefinire all'infinito il proprio concetto di appartenenza. E in cui la matrice dell'idea di cittadinanza sta tutta in una "maledetta parolina di quattro sillabe: identità". È "identico a me" infatti solo chi parla la mia lingua, chi si riconosce nella mia stessa storia, chi mangia secondo le mie abitudini, chi prega il medesimo dio e chi ha il mio stesso colore di pelle. Secondo questa idea, ancora estremamente diffusa, le diversità non sono un valore, ma una minaccia alle identità nazionali e a quelle personali che ci si rifugiano. La xenofobia, in conclusione, è un elemento costitutivo della stessa esistenza degli Stati europei perché la paura del diverso e della diversità nasce dalla pretesa costitutiva dell'identico e dell'identità potentemente espressa dalla evocazione tenace dello ius soli.
Speranza. Ma una società che ha maturato il concetto di bene comune, di solidarietà intergenerazionale e di rispetto ambientale può sperare in un'altra cittadinanza possibile? La sola forma di cittadinanza che può allentare il conflitto sociale - ecco la tesi di Michela Murgia - è quella che riconosce valore cogente non al sangue, al suolo o a una presunta cultura superiore, ma alla volontà di "appartenenza" di chi richiede la cittadinanza. È il caso emblematico del Canada. È cittadino chi sceglie di riconoscersi nel destino quotidiano di una data comunità costituita e affronta il percorso per farsene partecipe ma senza che questo implichi l'adesione a qualcosa di diverso dalle leggi che quella comunità si è data. Quel percorso potrebbe essere definito come esercizio di un ancora inesistente ius voluntatis: così che laddove l'identità sorge per distinguere, e quindi per dividere, l'appartenenza è invece uno strumento costruttivo, che integra le fratture e permette di riconsiderare le differenze come un valore collettivo.

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