lunedì 26 settembre 2016

Bagnoli e Olimpiadi. Un destino comune per Roma e Napoli città ribelli.

Bagnoli a Roma "Vogliamo realizzare Napoli Città Autonoma dal punto di vista delle politiche della finanza locale, delle cornici amministrative e giuridiche per dimostrare che c'è un'alternativa alle politiche oligarchiche e dell'austerita'".
"L'Italia deve essere dei Comuni. Ci siamo stancati di foraggiare le casse dello Stato e di non avere le risorse che ci spettano. Noi non abbiamo avuto leggi speciali e non le vogliamo, ma vogliamo quello che ci spetta, vogliamo andarci a prendere il maltolto e vogliamo che lo Stato garantisca i servizi costituzionali e che i finanziamenti europei arrivino direttamente alle città senza rimanere troppo tempo chiusi negli uffici regionali".
Si tratta di una dichiarazione e di un atto importante per almeno due motivi. Il primo perché non solo respinge al mittente la logica del commissariamento con cui il governo Renzi vorrebbe mettere le mani sull’area di Bagnoli per affidarla poi ai soliti affaristi. Il secondo perché rilancia sul piano politico generale un progetto di autonomia delle città che intendono sottrarsi ai vincoli del patto di stabilità e del pareggio di bilancio, strumento con cui il governo centrale ricatta le amministrazioni locali che dissentono dalle linee generali dell’esecutivo. E’ fin troppo facile capire che, in un fase di brusca gerarchizzazione dei poteri decisionali imposta da Bruxelles e dai custodi della competitività, il manifesto politico di “Napoli Città Autonoma” può rappresentare una base politica importanti della rottura e della costituzione di una alleanza sociale tra amministrazioni delle città ribelli, movimenti sociali, forze democratiche e popolari per disegnare con parametri radicalmente diversi il presente e il futuro delle città e delle aree metropolitane e, tendenzialmente, del paese.

Ma il destino di una Napoli che guarda e invoca il riscatto del Meridione – come evocato dallo stesso De Magistris in piazza Montecitorio – appare indissolubilmente legato a quello di Roma.
Il No della giunta Raggi alle Olimpiadi ha visto la reazione isterica del comitato d’affari pronto a gettarsi sulla torta delle Olimpiadi, che avrebbero regalato alla capitale una dose ulteriore di debito pubblico  e cemento. Il  governo Renzi è immediatamente accorso a sostegno della banda di Montezemolo, Malagò, Caltagirone affermando che il rifiuto di accollarsi le Olimpiadi non è accettabile e soprattutto che non può essere l’amministrazione comunale a decidere in materia. Non è difficile leggere in questo intreccio di affaristi e politiche autoritario una velleità a procedere sulla strada del “commissariamento” anche per le Olimpiadi a Roma.
Insomma a Bagnoli si espropria dalle decisione l’amministrazione comunale e quella municipale sull’area dell’ex Italsider, a Roma si punta ad espropriare l’amministrazione comunale dalla decisione su un evento come le Olimpiadi. In nome di cosa? Degli affari e della gerarchia decisionale che vorrebbero imporre con ogni mezzo gli interessi di un capitalismo vorace e rapace su quelli popolari.
Sullo sfondo si delinea poi un’altra partita micidiale: quella sulle risorse per i bilanci comunali. “Io non ce la faccio più a governare Napoli senza soldi” ha detto alcuni giorni fa De Magistris in un dibattito pubblico a Portici. A Roma solo da pochissimi giorni è stato nominato un assessore un bilancio e adesso si comincerà a fare i conti con le risorse comunali disponibili e quelle che mancano.
Se De Magistris aveva annunciato in campagna elettorale di essere riuscito a sanare il debito pregresso (ma adesso pesano i tagli ai finanziamenti ai servizi del presente), la Raggi aveva messo nel programma l’audit sul debito stellare del Comune di Roma per dividere quello effettivo da quello illegittimo. Se dopo il NO alle Olimpiadi aprisse anche questo capitolo, ci troveremmo di fronte oggettivamente ad un’altra città ribelle ai diktat del governo e della finanza, anche non volendo esserlo soggettivamente. Ma la Raggi, diversamente da De Magistris, non sembra ancora avere nelle corde né tra i suoi consiglieri, la lungimiranza di capire che cambiamenti reali nelle città sono possibili solo con la partecipazione attiva dei movimenti sociali e delle realtà popolari che in questi anni hanno fatto resistenza contro le privatizzazioni, gli speculatori, i cementificatori, gli affaristi. Insomma di quelle forze che si sono opposte frontalmente prima al sistema di Mafia Capitale e poi al commissariamento Tronca. Le regole e l’amministrazione degli onesti non bastano neanche lontanamente ad affrontare i comitati d’affari e le loro rappresentanze politiche e burocratiche dentro lo stesso Comune.
Su Napoli e Roma si apre dunque una partita di estremo interesse per i movimenti sociali che agiscono in queste due aree  metropolitane. L’intesa quasi naturale che si è respirata nell’assemblea popolare sotto Montecitorio può diventare forza moltiplicatrice e progetto generale. Già l’assemblea comune di luglio scorso delle città ribelli aveva aperto un dibattito interessante, estendibile ad altre città, soprattutto quelle del Meridione e le ex città industriali come Genova, Livorno, Torino devastate dalle deindustrializzazione. Ma il percorso di confronto e azione comune tra Roma e Napoli deve concretizzarsi prima possibile. Ce n’è urgenza e se ne intravedono le potenzialità, anche per altre aree metropolitane nel resto del paese.

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