L'ex ministro della Giustizia si schiera per la legalizzazione. Visto il fallimento delle politiche di contrasto del traffico di stupefacenti, e perché la «guerra alla droga è diventata una crociata contro la diversità e contro gli ultimi, tra cui i tossicodipendenti».
Giovanni Maria Flick |
"Dobbiamo lasciarci alle spalle il secolo del proibizionismo». Dice di esser cauto, Giovanni Maria Flick,
ma è in realtà assai convinto. L’ex presidente della Corte
costituzionale ed ex ministro della Giustizia, è sulla stessa lunghezza
di Raffaele Cantone e Franco Roberti, il capo dell’Anac e il procuratore nazionale antimafia, entrambi intervenuti a favore di una legalizzazione della cannabis.
Frena sulle droghe più pesanti, Flick, che nel 2014, da avvocato, si è già trovato a sostenere l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi in Corte costituzionale: «Hanno effetti più deleteri sulla salute», dice. E però il giurista sulla cannabis è per una legalizzazione, un modello simile a quello portato per la prima volta in discussione alla Camera, prima dell’estate. Lì la proposta di legge - avanzata da un intergruppo bipartisan - però arranca, e già veder proseguire il cammino del solo uso terapeutico sarebbe un successo, come abbiamo raccontato nello speciale che troverete sull’Espresso in edicola, domenica con Repubblica.
Flick è invece tra quelli che pensano che la legalizzazione sia urgente, perché la «guerra alla droga ha finito per esser più che altro la crociata di “armate della paura” contro la diversità, demonizzata, e contro gli ultimi, tra cui i tossicodipendenti, che sono i più fragili e dovrebbero esser aiutati e non criminalizzati».
Frena sulle droghe più pesanti, Flick, che nel 2014, da avvocato, si è già trovato a sostenere l’incostituzionalità della Fini-Giovanardi in Corte costituzionale: «Hanno effetti più deleteri sulla salute», dice. E però il giurista sulla cannabis è per una legalizzazione, un modello simile a quello portato per la prima volta in discussione alla Camera, prima dell’estate. Lì la proposta di legge - avanzata da un intergruppo bipartisan - però arranca, e già veder proseguire il cammino del solo uso terapeutico sarebbe un successo, come abbiamo raccontato nello speciale che troverete sull’Espresso in edicola, domenica con Repubblica.
Flick è invece tra quelli che pensano che la legalizzazione sia urgente, perché la «guerra alla droga ha finito per esser più che altro la crociata di “armate della paura” contro la diversità, demonizzata, e contro gli ultimi, tra cui i tossicodipendenti, che sono i più fragili e dovrebbero esser aiutati e non criminalizzati».
Professore, cosa pensa delle recenti aperture di Cantone e Roberti sulla legalizzazione?
«Mi sembrano opinioni condivisibili, anche perché basate sull’evidenza
dei dati, sull’esperienza non certo felice di decenni di proibizionismo,
che non hanno affatto ridotto l’uso e il traffico di stupefacenti. Sono
dichiarazioni che inseriscono poi in un quadro internazionale che va
nella direzione di una depenalizzazione. Alle parole di Cantone e
Roberti aggiungerei infatti quelle del ministro Andrea Orlando
che il 20 aprile 2016, alla sessione straordinaria dell’Onu sulle
droghe, ha detto: “Dovremmo esaminare tutte le lacune delle nostre
politiche sulla droga dal punto di vista dei diritti umani”. Sono
d’accordo».
Nell’introduzione
del libro che Maria Antonietta Farina Coscioni e Carla Rossi dedicano
al tema ("Proibizionismo, criminalità, corruzione") lei ne fa un
discorso di “piena dignità sociale della diversità”. Perché?
«Perché è l’attenzione
alla dignità sociale sancita dall’articolo 3 della nostra Costituzione
ad avermi fatto arrivare su questa posizione, ad avermi fatto cambiare
idea. Esattamente come ho cambiato idea sull’ergastolo, rispetto a
quando ero ministro, rispetto a quando consideravo l’ergastolo
inevitabile, pur conoscendone bene il contrasto rispetto alla
Costituzione, la negazione del principio riabilitativo rappresentata dal
“fine pena mai”. Perché non dobbiamo dimenticare che se finora
l'ergastolo non è stato ritenuto incostituzionale dalla Corte
Costituzionale, è solo perché anche gli ergastolani possono tornare un
giorno in libertà, se partecipano al percorso di osservazione e
ri-educazione. Ma l'ergastolo ostativo impedisce questo discorso anche
in via di principio, e quindi, così come non dovrebbero esistere gli
ergastoli ostativi, che impediscono ai condannati di accedere ai
benefici penitenziari, credo che anche nelle politiche di contrasto alla
droga si debba partire dal rispetto della persona e della sua
diversità».
Sulla
legalizzazione molte delle aperture sono arrivate dopo la relazione
della direzione antimafia che fotografa come “nonostante gli sforzi” il
proibizionismo non abbia avuto gli effetti desiderati. E anzi ha
aumentato i costi. Che vantaggi si avrebbero per la Giustizia?
«Credo basti ricordare
che le nostre carceri sono popolate soprattutto da tossicodipendenti,
oltre che da migranti clandestini e da recidivi. Un terzo, un terzo e un
terzo. E lo stesso vale per i tribunali. Quello con cui facciamo i
conti è il frutto di una guerra alla droga che ha finito per esser più
che altro la crociata di “armate della paura” contro la diversità,
demonizzata, e contro gli ultimi, che sono i più fragili e dovrebbero
esser aiutati e non criminalizzati».
Legalizzazione, liberalizzazione, depenalizzazione. Lei cosa farebbe?
«Penso che una
legalizzazione ben regolata potrebbe farci chiudere finalmente il secolo
proibizionista. La realtà internazionale dà conto dell’inefficacia
delle politiche repressive e della penalizzazione che finisce per
favorire, per paradosso, il mercato delle droghe più pesanti, con cui è
più facile venire in contatto. Quello che invece funziona è la
responsabilizzazione, la prevenzione, su cui verrebbero spese molto meglio le risorse ora impegnate nel proibizionismo».
Legalizzare la
cannabis sì, dunque, in punta di Costituzione, ma le droghe pesanti no.
Perché? Il principio dovrebbe esser lo stesso...
«Per le droghe pesanti è diverso perché diverso è il mercato illegale, che è pesantissimo, e diversi, e più gravi, sono gli effetti sulla salute. E poi penso che procedere per piccoli passi possa evitare di radicalizzare la discussione, di far riemergere il tema della paura».
«Per le droghe pesanti è diverso perché diverso è il mercato illegale, che è pesantissimo, e diversi, e più gravi, sono gli effetti sulla salute. E poi penso che procedere per piccoli passi possa evitare di radicalizzare la discussione, di far riemergere il tema della paura».
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