Il fatturato degli erbicidi con una concentrazione di glifosato superiore al 48% è aumentato del 39% nell’ultimo decennio in Argentina. Con conseguenze devastanti per la popolazione.
Il
mercato degli agrochimici in Argentina è un mercato florido la cui
espansione è stata evidente negli ultimi trent’anni. Come evidenziato
nel rapporto della Fondazione Ambiente e Risorse Naturali 2015,
la superficie agricola destinata alla produzione intensiva di frutta,
verdura ed ortaggi è aumentata del 68% passando da 21 milioni di ettari
nel 1970 a 35 milioni nel 2011. La produzione agricola ha subito un
incremento del 189% da 36 a 104 milioni di tonnellate sulla base di un
chiaro modello dipendente dall’uso di fitosanitari il cui mercato ha
pertanto dimostrato un’evoluzione crescente e sostenuta nel tempo. Nel
1991 l’utilizzo di erbicidi, insetticidi e fungicidi si attestava
attorno a 100 milioni di litri/kg; nel 2012 l’utilizzo di questi ultimi
raggiunge 317 milioni di litri. Fra i vari erbicidi, quello a base di
glifosato rappresenta di gran lunga il più utilizzato – 64% del totale
delle vendite e 76% del totale dei prodotti chimici utilizzati nella
coltivazione di soia (2012). Nell’ultimo decennio è stato inoltre
registrato un incremento del principio attivo che si utilizza
nell’elaborazione dell’erbicida – passando da una concentrazione del 48%
ad una del 74% (Osservatorio Socio-Ambientale della soia). Secondo
CASAFE – Camara de Sanidad Agropecuaria y Fertilizantes
– il fatturato degli erbicidi con una concentrazione di glifosato
superiore al 48% è aumentato del 39% nell’ultimo decennio. Un mercato
reso florido dalla politica neoliberista e a favore delle grandi
corporation del governo Menem che nel 1996 approva in soli tre mesi la
coltivazione di soia transgenica aprendo all’impiego di glifosato su
coltivazioni geneticamente modificate e resistenti al diserbante.
A
partire da quel momento, il territorio argentino e la sua popolazione si
sono convertiti in una terra di sperimentazioni a servizio di un
modello agroindustriale intensivo e totalmente asservito alle
multinazionali leader del settore. In prima linea la Monsanto con il Roundup ready.
Pablo Ernesto
Piovano, classe 1981, è uno dei primi ad aver documentato attraverso la
fotografia le conseguenze durissime del massiccio uso di erbicidi nel
nord est dell’Argentina, ed in particolare nelle province di Misiones,
Entre Rios e Chaco. Grazie ad un primo contatto con la rete dei medici
dei villaggi fumigati – Médicos de Pueblos Fumigados
(REDUAS) -, Pablo Piovano si avvicina al tema degli agrotossici. Un
tema molto caldo in Argentina dove al 2012 quasi il 60% del territorio
nazionale (oltre 21 milioni di ettari) risulta coltivato con uso di
agrochimici e transgenici coinvolgendo 1/3 della popolazione (quasi 13
milioni di abitanti). Nel 2012 la discrepanza fra le cifre diffuse dai
media e quelle presentate dalla rete dei medici indipendenti – REDUAS –
suscita la curiosità di Piovano che con macchina fotografica alla mano
decide di varcare il confine della provincia di Buenos Aires per andare
500 km a nord verso un piccolo paese della provincia di Entre Rios. Ed è
lì che incontra la prima vittima degli agrotossici. “Fabìan Tomasi ha
lavorato per anni in un’azienda agrochimica come addetto al carico ed
all’irrorazione di diserbanti ed è attualmente affetto da polineuropatia
grave e talmente magro da non poter sollevare un bicchier d’acqua” –
racconta Piovano. “Con il suo aiuto sono entrato in contatto con altre
vittime di paesini vicini come San Salvador nella Provincia di Entre
Rios, in cui il tasso di incidenza tumorale è tre volte superiore alla
media nazionale”.
Piovano documenta le
terribili malformazioni, malattie della pelle, tumori e gravi problemi
respiratori di uomini, donne e bambini esposti all’uso indiscriminato di
pesticidi ed erbicidi. Il reportage fotografico di Piovano – El costo humano de los agrotóxicos
– è stato presentato anche in Italia nel 2015 presso il Festival della
fotografia etica di Lodi e Photolux di Lucca. Piovano si è reso
portavoce attraverso la fotografia documentaristica di una denuncia,
quella del genocidio silente di cui sono vittima le popolazioni rurali
del Nord dell’Argentina esposte massicciamente agli agrotossici. “Ho
realizzato tre viaggi nelle province settentrionali dell’Argentina, ed
il tipo di relazione che si è creato con le vittime protagoniste delle
mie fotografie è stato differente fra un viaggio e l’altro – racconta
Piovano -. Durante il primo viaggio di quaranta giorni le persone che ho
incontrato si sono dimostrate aperte e ben disposte a raccontare le
loro storie di vita, a narrare e ad essere narrate. Mi hanno accolto e
fatto entrare nelle loro case. Il terzo viaggio verso la provincia di
Cordoba è stato invece diverso. Cordoba è la sede di uno degli impianti
della Monsanto, la gente è più politicizzata e vi è maggiore
organizzazione nella protesta contro la multinazionale. Tuttavia, vi è
anche maggiore divisione fra la popolazione poiché la città e l’intera
zona vivono attorno allo stabilimento della Monsanto, per cui una
condanna esplicita da parte dei singoli potrebbe creare tensioni fra chi
lavora all’interno dello stabilimento e chi no”.
Piovano sottolinea
il carattere di denuncia sociale del suo lavoro, un monito all’attuale
modello di sviluppo basato sullo sfruttamento intensivo della terra e
delle sue risorse. Quella di Piovano è sicuramente una fotografia
militante che si pone l’obiettivo di controinformare e denunciare
apertamente il massacro a cielo aperto che anno dopo anno le
multinazionali dell’agribusiness stanno portando avanti con il
beneplacito delle istituzioni. È un materiale caldo di discussione che
lo stesso Piovano definisce “non da museo” e che vorrebbe portare al
centro del dibattito europeo e delle istituzioni internazionali affinché
venga riconosciuto il crimine di ecocidio perpetrato ai danni della
terra e delle popolazioni che vi abitano e a favore del profitto di
poche multinazionali, fra le quali in primis la Monsanto.
Di glifosato se ne
parla ormai da tempo anche in Europa. Dopo una serie di rimpalli fra
l’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro che nel marzo 2015
aveva classificato come “probabilmente” cancerogeno per l’uomo il
diserbante e l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare che aveva
connotato invece il glifosato a marzo 2015 come “probabilmente non
cancerogeno”, il 30 giugno 2016 la Commissione Europea ha deciso di
prorogare di 18 mesi l’autorizzazione per il suo utilizzo in attesa del
parere dell’Agenzia per la chimica europea – ECHA – a fine 2017. In
mancanza di decisionismo da parte della UE, si è ricorso ad una serie di
palliativi. In particolare, viene vietato l’uso di poe-tallowamine come
coformulante degli erbicidi a base di glifosato, introdotto un
rafforzamento dei controlli sull’utilizzo prima della raccolta e la
restrizione dell’uso della sostanza in aree pubbliche. In ogni caso
rimane a discrezione dei singoli stati membri la decisione di rendere
operative le misure proposte dalla Commissione – come avvenuto in Italia
con il decreto dirigenziale 16 agosto 2016 del Ministero della salute
-. Nell’attesa di un parere definitivo da parte della Commissione
Europea cresce la mobilitazione fra i cittadini attorno alla piattaforma
#StopGlifosato e, in tal senso, la diffusione di materiale d’inchiesta
come quello portato in Europa da Pablo Ernesto Piovano è fondamentale
affinché non si spengano i riflettori su una questione di primaria
importanza che riguarda la salute di tutti i cittadini in
contrapposizione al profitto di pochi grandi gruppi industriali.
Articolo pubblicato su www.ilmanifesto.it
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