Cari
amici, poichè ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose.
rifondazione.it Raniero La Valle
Non
sarebbe necessario essere qui per dirvi come sono andate le cose, se noi
ci trovassimo in una situazione normale. Ma se guardiamo quello che
accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è affatto normale.
Che cosa infatti sta succedendo? Succede che undici persone al giorno
muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo,
davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di Siracusa
dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di
profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel
mondo alla ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno.
Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni.
E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.
E’ in
corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in
tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è
distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da
cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra,
in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si
allestiscono stragi in nome di Dio.
E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.
Fallisce
il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della terra, che accumulano armi
di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo,
non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non sanno che fare
per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che fare per
evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere
un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della
terra, e l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di
armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e
delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e
la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel
che ha perso le elezioni amministrative in Germania.
E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i senatori dai consigli regionali.
E
ancora: l’Italia è a crescita zero, la disoccupazione giovanile a luglio
è al 39 per cento, il lavoro è precario, i licenziamenti nel secondo
trimestre sono aumentati del 7,4 % rispetto allo stesso periodo
dell’anno precedente, raggiungendo 221.186 persone, i poveri assoluti
sono quattro milioni e mezzo, la povertà relativa coinvolge tre milioni
di famiglie e otto milioni e mezzo di persone.
E
l’Italia che fa?
Fa una legge elettorale che esclude dal Parlamento il
pluralismo ideologico e sociale, neutralizza la rappresentanza e
concentra il potere in un solo partito e una sola persona.
Ma si
dice: ce lo chiede l’Europa. Ma se è questo che ci chiede l’Europa vuol
dire proprio che l’istituzione europea ha completamente perduto non solo
ogni residuo del sogno delle origini ma anche ogni senso della realtà e
dei suoi stessi interessi vitali.
Ma se
questa è la distanza tra la riforma costituzionale e i bisogni reali del
mondo, dell’Europa, del Mediterraneo e dell’Italia, la domanda è perché
ci venga proposta una riforma così.
La verità è rivoluzionaria, ma se si viene a sapere.
E’
venuto dunque il momento di dire la verità sul referendum. La verità è
rivoluzionaria nel senso che interrompe il corso delle cose esistenti e
crea una situazione nuova.
Il
guaio della verità è che essa si viene a sapere troppo tardi, quando il
tempo è passato, il kairós non è stato afferrato al volo e la verità non
è più utile a salvarci.
Se si
fosse saputa in tempo la bugia sul mai avvenuto incidente del Golfo del
Tonchino, la guerra del Vietnam non ci sarebbe stata, l’America non
sarebbe diventata incapace di seguire la via di Roosevelt, di Truman, di
Kennedy, e avrebbe potuto guidare l’edificazione democratica e pacifica
del nuovo ordine mondiale inaugurato venti anni prima con la Carta di
San Francisco.
Se si
fosse conosciuta prima la bugia di Bush e di Blair, e saputo che le armi
di distruzione di massa di Saddam Hussein non c’erano, non sarebbe
stato devastato il Medio Oriente, il terrorismo non avrebbe preso le
forme totali dei combattenti suicidi in tutto il mondo e oggi non
rischieremmo l’elezione di Trump in America.
Se si
fosse saputa la verità sul delitto e sui mandanti dell’uccisione di
Moro, l’Italia si sarebbe salvata dalla decadenza in cui è stata
precipitata.
Dunque la verità del referendum va conosciuta finché si è in tempo.
Ma la
verità del referendum non è quella che ci viene raccontata.
Ci dicono
per esempio che la sua prima virtù sarebbe il risparmio sui costi della
politica, e che i soldi così ottenuti si darebbero ai poveri.
Ma così
non è: secondo la Ragioneria Generale dello Stato, il cui compito è di
verificare la certezza e l’affidabilità dei conti pubblici, il risparmio
si ridurrebbe a cinquantotto milioni che si otterrebbero togliendo la
paga ai senatori, mentre resterebbe il costo del Senato, e i poveri non
c’entrano niente.
L’altra
virtù del referendum sarebbe il risparmio sui tempi della politica. Ci
dicono infatti di voler abolire la navetta delle leggi tra Camera e
Senato.
Ma così non è. In realtà si allungano i tempi della produzione
legislativa; infatti si introducono sei diversi tipi di leggi e di
procedure che ricadono su ambedue le Camere:
1) le leggi sempre
bicamerali, Camera e Senato, come le leggi costituzionali, elettorali e
di interesse europeo;
2) le leggi fatte dalla sola Camera che entro
dieci giorni possono essere richiamate dal Senato;
3) le leggi che
invadono la competenza regionale che il Senato deve entro dieci giorni
prendere in esame;
4) le leggi di bilancio che devono sempre essere
esaminate dal Senato che ha quindici giorni per proporre delle
modifiche;
5) le leggi che il Senato può chiedere alla Camera di
esaminare entro sei mesi;
6) le leggi di conversione dei decreti legge
che hanno scadenze e tempi convulsi se richiamate e discusse anche dal
Senato. Ciò crea un intrico di passaggi tra Camera e Senato e un
groviglio di competenze il cui conflitto dovrebbe essere risolto
d’intesa tra gli stessi presidenti delle due Camere che configgono tra
loro.
Ci
dicono poi che col referendum si assicura la stabilità politica, e
almeno fino a ieri ci dicevano che al contrario se perde il referendum
Renzi se ne va.
Ma queste non sono le verità del referendum. Finché si
resta a questo la verità del referendum non viene fuori.
Non è la legge Boschi il vero oggetto del referendum.
La
verità del referendum sta dietro di esso, è la verità nascosta che esso
rivela: il referendum infatti non è solo un fatto produttore di effetti
politici, è un evento di rivelazione che squarcia il velo sulla
situazione com’è. È uno svelamento della vera lotta che si sta svolgendo
nel mondo e della posta che è in gioco. Il referendum come cunto de li
cunti, potremmo dire in Sicilia, il racconto dei racconti, come togliere
il velo del tempio per vedere quello che ci sta dietro, se ci sta Dio o
l’idolo. Il referendum come rivelatore dello stato del mondo.
Ora,
per trovare la verità nascosta del referendum, il suo vero movente, la
sua vera premeditazione, bisogna ricorrere a degli indizi, come si fa
per ogni giallo.
Il
primo indizio è che Renzi ha cambiato strategia, all’inizio aveva detto
che questa era la sua vera impresa, che su questo si giocava il suo
destino politico. Ora invece dice che il punto non è lui, che lui non è
la vera causa della riforma, ha detto di aver fatto questa riforma su
suggerimento di altri e ha nominato esplicitamente Napolitano; ma è
chiaro che non c’è solo Napolitano. Prima ancora
di Napolitano c’era la banca J. P. Morgan che in un documento del 2013,
in nome del capitalismo vincente, aveva indicato quattro difetti delle
Costituzioni (da lei ritenute socialiste) adottate in Europa nel
dopoguerra:
a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei
Parlamenti;
b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei
confronti dello Stato;
c) la tutela costituzionale del diritto del
lavoro;
d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite del
potere.
Prima
ancora c’era stato il programma avanzato dalla Commissione Trilaterale,
formata da esponenti di Stati Uniti, Europa e Giappone e fondata da
Rockefeller, che aveva chiesto un’attenuazione della democrazia ai fini
di quella che era allora la lotta al comunismo. E la stessa cosa
vogliono ora i grandi poteri economici e finanziari mondiali, tanto è
vero che sono scesi in campo i grandi giornali che li rappresentano, il
Financial Times ed il Wall Street Journal, i quali dicono che il No al
referendum sarebbe una catastrofe come il Brexit inglese. E alla fine è
intervenuto lo stesso ambasciatore americano che a nome di tutto il
cocuzzaro ha detto che se in Italia viene il NO, gli investimenti se ne
vanno.
Ebbene
quelle richieste avanzate da questi centri di potere sono state accolte e
incorporate nella riforma sottoposta ora al voto del popolo italiano.
Infatti con la riforma voluta da Renzi il Parlamento è stato
drasticamente indebolito per dare più poteri all’esecutivo. Delle due
Camere di fatto è rimasta una sola, come a dire: cominciamo con una, poi
si vedrà. Il Senato lo hanno fatto così brutto deforme e improbabile,
che hanno costretto anche i fautori del Senato a dire che se deve essere
così, è meglio toglierlo. Inoltre il potere esecutivo sarà anche
padrone del calendario dei lavori parlamentari. Il rapporto di fiducia
tra il Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché
l’esecutivo non avrà più bisogno di fare i conti con quello che resta
del Senato, ma perché dovrà ottenere la fiducia da un solo partito.
La
legge elettorale Italicum prevede infatti che un solo partito avrà –
quale che sia la percentuale dei suoi voti, al primo turno o al
ballottaggio – la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (340
deputati su 615). Il problema della fiducia si riduce così ad un
rapporto tra il capo del governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto
la legge della disciplina di partito. Quindi non sarà più una fiducia
libera, non sarà una vera fiducia, sarà per così dire un atto interno di
partito, che addirittura può ridursi al rapporto tra un partito e il
suo segretario.
Per
quanto riguarda le altre richieste dei poteri economici, i diritti del
lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act, il rapporto tra Stato e
Regioni ha subito un rovesciamento, perché dall’ubriacatura regionalista
si ritorna a un centralismo illimitato, mentre, assieme alla riduzione
del pluralismo politico, ci sono delle procedure che renderanno più
difficili le forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di
iniziativa popolare, e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità
per i cittadini di intervenire nei confronti del potere.
Questo è
il disegno di un’altra Costituzione.
La storia delle Costituzioni è la
storia di una progressiva limitazione del potere perché le libertà
dipendono dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere assoluto e
incontrollato, ma convalidato dalla fiducia dei Parlamenti e garantito
dal costante controllo democratico dei cittadini. E’ questo che ora
viene smontato, per cui possiamo dire che la democrazia in Italia
diventa ad alto rischio.
Ma a
questo punto è chiaro che quello che conta non è più Renzi, ed è chiaro
che quanti sono interessati a questa riforma gli hanno detto di tirarsi
indietro, perché a loro non interessa il sì a Renzi, interessa che non
vinca il no alla riforma.
Il
secondo indizio è il ritardo della data della convocazione, che non è
stata ancora fissata dal governo; ciò vuol dire che la partita è troppo
importante per farne un gioco d’azzardo, come ne voleva fare Renzi,
mentre i sondaggi e le sconfitte alle amministrative sono stati
inquietanti. Perciò occorreva meno baldanza da Miles Gloriosus e più
preparazione. E occorreva alzare il livello dello scontro, e soprattutto
ci voleva il riarmo prima che si giungesse allo scontro finale. Il
riarmo per acquisire la superiorità sul terreno era l’acquisto del
controllo totale dell’informazione, non solo i giornali, di fatto già
posseduti, ma radio e TV, ciò che è stato fatto in piena estate con le
nomine alla RAI.
Se
davvero si trattava di scorciare i tempi e distribuire un po’ di sussidi
ai poveri, non c’era bisogno del controllo totale dell’informazione.
Inoltre
bisognava distruggere il principale avversario e fautore politico del
No, il Movimento 5 Stelle. Questo spiega l’attacco spietato e incessante
alla Raggi. E poi ci volevano i tempi supplementari per distribuire un
po’ di soldi con la legge finanziaria.
C’è poi
un terzo indizio. Interrogato sul suo voto Prodi dice: non mi pronunzio
perché se no turbo i mercati e destabilizzo l’Italia in Europa. Dunque
non è una questione italiana, è una questione che riguarda l’Europa, è
una questione che potrebbe turbare i mercati. Insomma è qualcosa che ha a
che fare con l’assetto del mondo.
Lo spartiacque non è stato l’11 settembre
A questo punto è necessario sapere come sono andate le cose.
Partiamo dall’11 settembre di cui si è tanto parlato ricorrendone l’anniversario in questi giorni.
Il
mondo è cambiato l’11 settembre 2001? Tutti hanno detto così. Ma il
mondo non è cambiato quel giorno: quello è stato il sintomo spaventoso
della malattia che già avevamo contratto. L’11 settembre ha mostrato
invece il suo volto il mondo che noi stessi avevamo deciso di costruire
dieci anni prima.
Nel
1991 con dieci anni di anticipo sulla sua fine fu da noi chiuso il
Novecento, tanto che uno storico famoso lo soprannominò “Il secolo
breve” e così fu dato inizio a un nuovo secolo, a un nuovo millennio e a
un nuovo regime che nella follia delle classi dirigenti di allora
doveva essere quello definitivo, tanto è vero che un economista famoso
lo definì come la “fine della storia” .
Quello
che avevamo fatto dieci anni prima dell’11 settembre è che avevamo
deciso di rispondere alla fine del comunismo portando un capitalismo
aggressivo fino agli estremi confini della terra; avevamo deciso di
rispondere alla cosiddetta fine delle ideologie trasformando il
capitalismo da cultura a natura, promuovendolo da ideologia a legge
universale, da storicità a trascendenza; avevamo preteso di superare il
conflitto di classe smontando i sindacati, avevamo deciso di sfruttare
la fine della contrapposizione militare tra i blocchi facendo del Terzo
Mondo un teatro di conquista.
La
scelta decisiva, che non si può chiamare rivoluzionaria perché non fu
una rivoluzione ma un rovesciamento, e dunque fu una scelta
restauratrice e totalmente reazionaria, fu quella di disarmare la
politica e armare l’economia ma non in un solo Paese, bensì in tutto il
mondo. Non essendoci più l‘ostacolo di un mondo diviso in due blocchi
politici e militari, eguali e contrari, l’orizzonte di questo regime fu
la globalità, la mondialisation come dicono i francesi, si stabilì un
regime di globalità esteso a tutta la terra.
Quale è stato l’evento in cui ha preso forma e si è promulgata, per così dire questa scelta?
C’è una
teoria molto attendibile secondo cui all’inizio di un’intera epoca
storica, all’inizio di ogni nuovo regime, c’è un delitto fondatore.
Secondo René Girard all’inizio della storia stessa della civiltà c’è il
delitto fondatore dell’uccisione della vittima innocente, ossia c’è un
sacrificio, grazie al quale viene ricomposta l’unità della società
dilaniata dalle lotte primordiali.
Secondo
Hobbes lo Stato stesso viene fondato dall’atto di violenza con cui il
Leviatano assume il monopolio della forza ponendo fine alla lotta di
tutti contro tutti e assicurando ai sudditi la vita in cambio della
libertà.
Secondo Freud all’origine della società civile c’è il delitto fondatore dell’uccisione del padre.
Se poi
si va a guardare la storia si trovano molti delitti fondatori. Cesare
molte volte viene ucciso, il delitto Matteotti è il delitto fondatore
del fascismo, l’assassinio di Kennedy apre la strada al disegno di
dominio globale della destra americana che si prepara a sognare, per il
Duemila, “il nuovo secolo americano”, l’uccisione di Moro è il delitto
fondatore dell’Italia che si pente delle sue conquiste democratiche e
popolari.
Ebbene
il delitto fondatore dell’attuale regime del capitalismo globale
fondato, come dice il papa, sul governo del denaro e un’economia che
uccide, è la prima guerra del Golfo del 1991.
La guerra come delitto fondatore e il nuovo Modello di Difesa
È a partire da quella svolta che è stato costruito il nuovo ordine mondiale.
E noi
possiamo ricordare come sono andate le cose a partire dal nostro
osservatorio italiano Non è un punto di osservazione periferico, perché
l’Italia era una componente essenziale del sistema atlantico e
dell’Occidente, ma era anche il Paese più ingenuo e più loquace, sicché
spifferava alla luce del sole quello che gli altri architettavano in
segreto.
Questa è
la ragione per cui posso raccontarvi come sono andate le cose, a
partire da una data precisa.
E questa data precisa è quella del 26
novembre 1991, quando il ministro della Difesa Rognoni viene alla
Commissione Difesa della Camera e presenta il Nuovo Modello di Difesa.
Perché
c’era bisogno di un nuovo Modello di Difesa? Perché la difesa com’era
stata organizzata in funzione del nemico sovietico, che non c’era più,
era ormai superata. Ci voleva un nuovo modello. Il modello di difesa che
era scritto nella Costituzione era molto semplice e stava in poche
righe: la guerra era ripudiata, la difesa della Patria, intesa come
territorio e come popolo, era un sacro dovere dei cittadini. A questo
fine era stabilito il servizio militare obbligatorio che dava luogo a un
esercito di leva permanente, diviso nelle tre Forze Armate
tradizionali.
Le norme di principio sulla disciplina militare dell’ 11
luglio 1978, definivano poi i tre compiti delle Forze Armate.
Il primo
era la difesa dell’integrità del territorio,
il secondo la difesa delle
istituzioni democratiche,
il terzo l’intervento di supporto nelle
calamità naturali.
Non c’erano altri compiti per le FF.AA. La difesa del
territorio comportava soprattutto lo schieramento dell’esercito sulla
soglia di Gorizia, da cui si supponeva venisse la minaccia
dell’invasione sovietica, e la sicurezza globale stava nella
partecipazione alla NATO, che prevedeva anche l’impiego dall’Italia
delle armi nucleari.
Con la
soppressione del muro di Berlino e la fine della guerra fredda tutto
cambia: non c’è più bisogno della difesa sul confine orientale, la
minaccia è finita e anche la deterrenza nucleare viene meno. Ci sarebbe
la grande occasione per costruire un mondo nuovo, si parla di un
dividendo della pace che sono tutti i soldi risparmiati dagli Stati per
le armi, con cui si può provvedere allo sviluppo e al progresso di tutti
i popoli del mondo; servono meno soldati e anche la durata della ferma
di leva può diventare più breve.
Ma
l’Occidente fa un’altra scelta; si riappropria della guerra e la
esibisce a tutto il mondo nella spettacolare rappresentazione della
prima guerra del Golfo del 1991, cambia la natura della NATO, individua
il Sud e non più l’Est come nemico, cambia la visione strategica
dell’alleanza e ne fa la guardia armata dell’ordine mondiale cercando di
sostituirla all’ONU e anche di cambiare gli ideali della comunità
internazionale che erano la sicurezza e la pace.
Viene scelto un altro
obiettivo: finita la guerra fredda, c’è un altro scopo adottato dalle
società industrializzate, spiegherà il nuovo “modello” italiano, ed è
quello di “mantenere e accrescere il loro progresso sociale e il
benessere materiale perseguendo nuovi e più promettenti obiettivi
economici, basati anche sulla certezza della disponibilità di materie
prime”. Di conseguenza, si afferma, si aprirà sempre più la forbice tra
Nord e Sud del mondo, anche perché il Sud sarà il teatro e l’oggetto
della nuova concorrenza tra l’Occidente e i Paesi dell’Est. Alla
contrapposizione Est-Ovest si sostituisce quella Nord-Sud.
Tutto
questo precipita nel nuovo modello di difesa italiano, è scritto in un
documento di duecentocinquanta pagine e il ministro Rognoni, papale
papale, lo viene a raccontare alla Commissione Difesa della Camera, di
cui allora facevo parte.
E’ un
dramma, una rottura con tutto il passato. Cambia il concetto di difesa,
il problema, dice il ministro, non è più “da chi difendersi” (cioè da un
eventuale aggressore) ma “che cosa difendere e come”. E cambia il che
cosa difendere: non più la Patria, cioè il popolo e il territorio, ma
“gli interessi nazionali nell’accezione più vasta di tali termini”
ovunque sia necessario; tra questi sono preminenti gli interessi
economici e produttivi e quelli relativi alle materie prime, a
cominciare dal petrolio. Il teatro operativo non è più ai confini, ma
dovunque sono in gioco i cosiddetti “interessi esterni”, e in
particolare nel Mediterraneo, in Africa (fino al Corno d’Africa) e in
Medio Oriente (fino al Golfo Persico); la nuova contrapposizione è con
l’Islam e il modello, anzi la chiave interpretativa emblematica del
nuovo rapporto conflittuale tra Islam e Occidente, dice il Modello, è
quella del conflitto tra Israele da un lato e mondo arabo e palestinesi
dall’altro. Chi ha detto che non abbiamo dichiarato guerra all’Islam?
Noi l’abbiamo dichiarata nel 1991. L’ho dichiarata anch’io, in quanto
membro di quel Parlamento, anche se mi sono opposto.
I
compiti della Difesa non sono più solo quei tre fissati nella legge di
principio del 1978 ma si articolano in tre nuove funzioni strategiche,
quella di “Presenza e Sorveglianza” che è “permanente e continuativa in
tutta l’area di interesse strategico” e comprende la Presenza Avanzata
che sostituisce la vecchia Difesa Avanzata della NATO, quella di “Difesa
degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale”,
che è ad “elevata probabilità di occorrenza” (e sono le missioni
all’estero che richiedono l’allestimento di Forze di Reazione Rapida), e
quella di “Difesa Strategica degli spazi nazionali”, che è quella
tradizionale di difesa del territorio, considerata però ormai “a bassa
probabilità di occorrenza”.
A
seguito di tutto ciò lo strumento non potrà più essere l’esercito di
leva, ci vuole un esercito professionale ben pagato. Non serviranno più i
militari di leva; già succedeva che i generali non facessero salire gli
arruolati come avieri sugli aeroplani, e i marinai sulle navi; ma d’ora
in poi i militari di leva saranno impiegati solo come cuochi,
camerieri, sentinelle, attendenti, uscieri e addetti ai servizi
logistici, sicché ci saranno centomila giovani in esubero e ben presto
la leva sarà abolita.
E’ un
cambiamento totale. Non cambia solo la politica militare ma cambia la
Costituzione, l’idea della politica, la ragion di Stato, le alleanze, i
rapporti con l’ONU, viene istituzionalizzata la guerra e annunciato un
periodo di conflitti ad alta probabilità di occorrenza che avranno
l’Islam come nemico. Ci vorrebbe un dibattito in Parlamento, non si
dovrebbe parlare d’altro. Però nessuno se ne accorge, il Modello di
Difesa non giungerà mai in aula e non sarà mai discusso dal Parlamento;
forse ci si accorse che quelle cose non si dovevano dire, che non erano
politicamente corrette, i documenti e le risoluzioni strategiche dei
Consigli Atlantici di Londra e di Roma, che avevano preceduto di poco il
documento italiano, erano stati molto più cauti e reticenti, sicché
finì che del Nuovo Modello di Difesa per vari anni si discusse solo nei
circoli militari e in qualche convegno di studio; ma intanto lo si
attuava, e tutto quello che è avvenuto in seguito, dalla guerra nei
Balcani alle Torri Gemelle all’invasione dell’Iraq, alla Siria, fino
alla terza guerra mondiale a pezzi che oggi, come dice il papa, è in
corso, ne è stato la conseguenza e lo svolgimento.
Il perché della nuova Costituzione
E
allora questa è la verità del referendum. La nuova Costituzione è la
quadratura del cerchio. Gli istituti della democrazia non sono
compatibili con la competizione globale, con la guerra permanente, chi
vuole mantenerli è considerato un conservatore. Il mondo è il mercato;
il mercato non sopporta altre leggi che quelle del mercato. Se qualcuno
minaccia di fare di testa sua, i mercati si turbano. La politica non
deve interferire sulla competizione e i conflitti di mercato. Se la
gente muore di fame, e il mercato non la mantiene in vita, la politica
non può intervenire, perché sono proibiti gli aiuti di Stato. Se lo
Stato ci prova, o introduce leggi a difesa del lavoro o dell’ambiente,
le imprese lo portano in tribunale e vincono la causa. Questo dicono i
nuovi trattati del commercio globale. La guerra è lo strumento supremo
per difendere il mercato e far vincere nel mercato.
Le
Costituzioni non hanno più niente a che fare con una tale concezione
della politica e della guerra. Perciò si cambiano. Ci vogliono poteri
spicci e sbrigativi, tanto meglio se loquaci.
E
allora questa è la ragione per cui la Costituzione si deve difendere.
Non perché oggi sia operante, perché è stata già cambiata nel ‘91, e il
mondo del costituzionalismo democratico è stato licenziato tra l’89 e il
’91 (si ricordi Cossiga, il picconatore venuto prima del rottamatore).
Ma difenderla è l’unica speranza di tenere aperta l’alternativa, di non
dare per compiuto e irreversibile il passaggio dalla libertà della
democrazia costituzionale alla schiavitù del mercato globale, è la
condizione necessaria perché non siano la Costituzione e il diritto che
vengono messi in pari con la società selvaggia, ma sia la società
selvaggia che con il NO sia dichiarata in difetto e attraverso la lotta
sia rimessa in pari con la Costituzione, la giustizia e il diritto.
Nessun commento:
Posta un commento