giovedì 22 settembre 2016

Non si è interrotto un sogno




Il No della Sindaca alla candidatura olimpica di Roma non basta. Può servire a iniziare a pensare e praticare l’idea di una città diversa.
 dinamopress Rossella Marchini e Antonello Sotgia
Che c’è di più personale del sognare? Siamo talmente gelosi dei nostri sogni che quando non li ricordiamo siamo ancora più felici, perché così sono al sicuro. Nessuno ce li può strappare. Per essere condivisi i sogni hanno bisogno di uscire fuori da noi stessi, incontrarsi con quelli degli altri. Per riuscire a capire bene quello che vogliamo cambiare, ancor prima di come riuscire a farlo. Per questo, con il NO GRAZIE (neanche tanto grazie) schiaffato in faccia al permaloso presidente del Coni Malagò dalla Sindaca di Roma, se non saremo nel 2024 avvolti dai cinque cerchi olimpici, non abbiamo certo perso un sogno.

I sogni non sono come i tram che vanno avanti e indietro. Il percorso inverso, da fuori a noi non vale. Soprattutto quando i sogni sono appesantiti dal denaro 5miliardi di euro. Le città costano e Roma costa tanto.
Sarebbe stato un sogno se Roma si fosse sviluppata senza case spalmate come una marmellata a consumare territorio. La realtà ci dice, invece, che è urbanizzata per oltre 51.000 ettari. Un terzo del proprio territorio. Sarebbe stato un sogno se a tutti i 2.873.976 abitanti, e i molti altri che ci chiedono di vivere sotto il nostro cielo, fosse riconosciuto il diritto ad avere una casa. La realtà ci dice che, invece, sono almeno 50mila le persone che una casa non ce l’hanno. Sarebbe stato un sogno se i 5.500 chilometri che rappresentano l’estensione della rete stradale romana conservassero ancora, oltre la loro definizione toponomastica, la struttura e la sicurezza che ogni strada deve avere. La realtà ci dice che, invece, la maggior parte di loro è al collasso e la sicurezza è più o meno un optional. Sarebbe stato un sogno ....
Non si capisce perché se davvero il governo ha in animo di fare sognare Roma, non destini alla città gli stessi denari che è pronto ad investire sui giochi olimpici. Malagò, messo alla porta dal Sindaco, è tornato al di là del Tevere nel salone d’onore del Coni, a piagnucolare sul fatto che sono “i grandi eventi” quelli che fanno la città e che Roma non lo ha capito.
Che i costi s’impennino, come ricordato da Raggi, avviene per il presidente del Coni, perché, quando si fa qualcosa di bello “viene voglia di fare di più”. Insomma è come quando vai al supermercato perché ti accorgi che non hai il pane ed esci con una bottiglia di “pecorino”. Ora chi metterà mano, ha continuato, al recupero del Flaminio? Chi finirà i fossili edilizi che altri “grandi eventi” hanno disseminato in città. Su una cosa è stato chiaro, dopo oggi, il Coni non metterà neppure un euro per adeguare gli stadi italiani per gli europei del 2020. Un ricatto alla città che voleva far sognare? Che c’è dietro le olimpiadi così bramosamente ricercate? La Sindaca le ha chiamate “olimpiadi del mattone”. Solo che non ha spiegato, e sarebbe bello che ciò si facesse scrivendo in Consiglio Comunale la necessaria delibera di accompagnamento al No, che la città è cambiata. Una conferenza stampa non basta.
Al mattone abbiamo dato tanto anche in occasione del sogno precedente. Quello del 60, che ha stravolto il piano regolatore ribaltando di 90° l’espansione della città a vantaggio della rendita fondiaria. Malagò era pronto a fare carta straccia del suo “dossier olimpico”, Diana Bianchetti (la madrina sportiva) spergiurava che si sarebbe potuto cambiare tutto, purché si proseguisse. L’importante è non raccontare i propri sogni. Malagò lo sa bene. Chi gioca al lotto dice che i numeri non si devono dire a nessun. Altrimenti non escono. Il sogno che Malagò porta avanti per conto terzi, è quello della finanza. Insistere a caricare la città, i suoi cittadini ed il paese di debiti. Lui deve solo aprire la strada per permettere al governo di continuare con il ricatto del debito a tagliare i servizi, a negarci i sogni, a immiserire la nostra vita.
Il No di Virginia Raggi non ci basta, ma ci sprona a continuare nel nostro lavoro di costruzione di una città solidale capace di dire molti si. Noi siamo capaci perché i sogni veri sappiamo riconoscerli. Sono quelli che ci raccontiamo incessantemente, costruendo una città che fa del vivere comune il proprio grande evento.

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