Stiamo ovviamente parlando dell'accordo governo-sindacati complici siglato ieri a Palazzo Chigi, con tg e giornali di regime pronti a cantarne le lodi. Un florielgio di menzogne propagandistiche che avrebbero imbarazzato anche i gerarchi del Minculpop fascista. Leader di questa classifica indegna, come sempre, Repubblica: “Fatto l'accordo sulle pensioni. Minime più alte”, oppure “quattordicesima, aumento del 30%”.
Vediamo i punti uno per uno.
Sulle pensioni minime gli interventi sono due. a) L'aumento della quattordicesima – una mensiità aggiuntiva, erogata a luglio, per chi prende 500 euro al mese. Dunque si tratta di 150 euro in più (tutto qui il “più 30%!”) in unica soluzione. Meglio che un calcio sui denti, certo, ma in pratica di tratta di 40 centesimi al giorno. Non proprio un cambiamento di status sociale… b) La quattordicesima verrà estesa a chi prende fino a 1000 euro mensili lordi, ossia 830-840 euro mensili.
Attenzione, però. Entità ed estensione della 14° dipenderanno dal calcolo di tutti i redditi a capo del singolo pensionato (casa di proprietà, terreni ecc). Dunque l'aumento potrebbe anche essere minore o addirittura nullo, così come l'estensione.
Ma arriviammo all'Ape (anticipo pensionistico), vero cuore pulsante di questo intervento. Com'è noto, la Fornero ha brutalmente innalzato – per l'ennesima volta – l'età pensionabile da 63 a 66 anni e sette mesi. Con una doppia conseguenza: tenere al lavoro persone che non sono più in grado di lavorare (si pensi ai mestieri “usuranti”, turnisti, ecc) e impedire l'assunzione di giovani (e per fortuna che tutti i governi se ne preoccupano tanto!). Ergo, sembra per un verso inevitabile permettere l'uscita di un po' di anziani e l'ingresso di qualche giovane (il 40% sono disoccupati).
Ma chi dovrebbe pagare la pensione a chi va via – volontariamente o meno – prima del limite segnato dalla Fornero?
Le risposte sono tre, secondo il governo.
Al primo livello c'è infatti la cosiddetta “Ape social”, in cui il lavoratore over 63 va in pensione senza pagare nulla, ci pensa lo Stato tramite l'Inps. Una opportunità riservata ovviamente solo agli “svantaggiati” (disoccupati, “usurati”, esodati, disabili o con un disabile nel nucleo familiare, ecc). Ma nemmeno a tutti costoro. Anzi solo a quelli il cui assegno pensionistico raggiungerà “un limite prefissato”, c'è scritto nel testo dell'accordo. Quale? Non si sa. Il governo aveva parlato di 1.500 lordi; al tavolo di discussione ha invece presentato un testo in cui fa rifermento al massimale Naspi (assegno di disoccupazione), ovvero 1.300 euro. Alla fine non hanno messo cifre ma appunto un limite da fissare in un secondo momento.
La seconda tipologia è l'”Ape aziendale”. Se l'azienda ristruttura, è in crisi, ecc, si fa carico anche del 40% del carico monetario (il resto ce lomette lo Stato); ovvero ti paga lei la pensione – tramite Inps – per il periodo di anticipo (da uno a tre anni e sette mesi). Per il lavoratore, dunque, non cambia niente? No. Ci rimette comunque una percentuale fissa per ogni anno di anticipo, ovvero riceverà a vita una pensione più bassa (tra i 100 e i 200 euro al mese in caso di assegno pensionistico atteso di 2.000 euro lordi, ossia 1.500-1.600 netti).
L'”Ape volontaria” è invece totalmente a carico del lavoratore che incautamente dovsse cadere nella trappola. Qui la penalizzazione è addirittura doppia. Da un lato c'è la riduzione dell'assegno pensionistico (circa il 6% per ogni anno di anticipo, quindi in pratica il 20% nel caso del periodo più lungo, 3 anni e 7 mesi). In seconda battuta arriva anche il taglio per pagare la rata del mutuo, perché la pensione – per tutto il periodo dell'anticipo rispetto al limite Fornero – te la paghi da solo, con un prestito bancario (più interessi e assicurazione contro la “pre-morienza” del pensionando), nell'arco di venti anni.
I giornali mainstream, su questo punto, fanno una confusione tanto totale quanto scientificamente intenzionale. Persino IlSole24Ore, che tecnicamente ci capisce, propone dei casi in cui i due tagli non vengono mai sommati. Dando quindi la sensazione di poter ricevere un assegno pensionistico minore, sì, ma tutto sommato ancora accettabile rispetto all'idea di andare al lavoro ancora per anni.
Prendiamo dunque sul serio un esempio fatto dal giornale di Confindustra: “Paolo”, quadro che andrebbe normalmente in pensione con un assegno di 2.615 euro mensili lordi. Si tratta quasi di una pensione da insegnante con 42 anni di anzianità contributiva, per un assegno netto mensile vicino ai 2.000 euro. In questo caso, calcola IlSole,la pensione netta percepita scende a 1.646 euro mensili. Cui però vanno detratti (cosa che IlSole si guarda bene dal fare) i 465 euro della rata del mutuo con la banca (li tratterrà direttamente l'Inps, comunque).
In pratica, dunque, questo semi-agiato pensionando che stava facendosi i conti con un assegno atteso di quasi duemila euro si ritroverebbe ad arrabattarsi con un mensile da 1.200 euro.
Oltre ai livelli di reddito, però bisogna guardare l'accordo su questo punto anche dal lato civilistico-giudiziario: di fatto, come sottolineano alcuni acuti commentatori in rete, “divertente questa storia dell'Ape, l'anticipo pensionistico. Per andare in pensione devi accendere un mutuo come per comprare una casa, che però è già di tua proprietà”.
Va ricordato infatti che la pensione è tecnicamente “salario differito”, ossia una quota dello stipendio che non ti è mai stata data durante la vita lavorativa perché andava accantonata – al pari del tfr – e restituita alla fine sotto forma di assegno mensile. Quindi costringerti a pagarti da solo da uno a tre anni di pensione che hai già accantonato in quasi quattro decenni di lavoro è – anche tecnicamente – una rapina a mano armata. Perché lo stato ha sia il monopolio della forza che la chiave del rubinetto dell'Inps…
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