Andiamo con ordine, con tanto di premessa, per i non addetti ai lavori. Mercoledì 21 settembre, due giorni dopo che la Consulta ha detto, di fatto, “celebrate il referendum, poi si vede, si discute alla Camera una mozione di Sinistra Italia (che non passerà). Il testo: “La Camera impegna se stessa a cambiare l’Italicum che è incostituzionale”. Una mozione tira l’altra. Ecco che i 5 Stelle ne presentano una per reintrodurre la mitica “proporzionale” della Prima Repubblica (che sarà anch’essa bocciata da tutti gli altri partiti). Poi i centristi, nel senso di Alfano&Co che chiedono al Pd di presentare una mozione di maggioranza per cambiare l’Italicum. E di avviare "subito" la discussione. E qui c’è qualche problema.
Premessa finita (con una aggiunta: la mozione parlamentare non è un atto vincolante). Torniamo alla battaglia, che non c’è. Passa Beppe Fioroni, orgogliosamente nostalgico di quei tempi. Sotto braccio il libro di Luca Moro, nipote di Aldo Moro: “Sì – dice - sto andando a presentarlo. Hai visto i grillini? Hanno presentato la mia legge elettorale, solo che io la sostengo per convinzione perché sono democristiano, loro per necessità, così vincono ma non sono obbligati a governare. Dopo di che un Parlamento serio nel momento in cui la Consulta rinvia una legge non fa nessuna mozione, perché o scrivi troppo o scrivi troppo poco”.
Il riferimento è alla richiesta del partito di Alfano. A metà pomeriggio le agenzie battono: Alleanza Popolare chiede alla maggioranza una mozione per cambiare l’Italicum. Sergio Pizzolante, un centrista combattivo, spiega: “È un atto politico significativo, perché per la prima volta la maggioranza prende un impegno a cambiare la legge elettorale”. Giuseppe Lauricella, vecchia volpe, capisce il gioco: "Questa formula del Parlamento che impegna se stesso con una mozione è una barzelletta. E' come se uno facesse un preliminare con se stesso...". Ammesso che il Parlamento lo prenda questo benedetto impegno. Perché è chiaro che, a questo punto, Renzi non lo vuole assolutamente prendere di qui al referendum. Quando il premier parla da New York facendo finta di aprire (“Aspettiamo proposte da Cav e Lega”) su un divanetto di Montecitorio sono seduti Orfini, Guerini e Rosato. Quest’ultimo è il più tranchant: facciamole cadere tutte le mozioni, e non ne presentiamo nessuna. Orfini e Guerini parlottano tra di loro: “Al massimo scriviamo una mozione che equivale a un foglio di carta bianca. In cui si scrive che la maggioranza si impegna a esplorare se ci sono le condizioni per eventuali convergenze e bla bla bla”.
Otto di sera. Guerini, rilassato: "La nostra mozione? Diciamo che esprime uno stato d'animo di apprezzamento per questa ripresa della discussione". Insomma, parole parole parole, con l’obiettivo di tenere l’Italicum fino al referendum. Dicendo, al tempo stesso, alla sinistra: noi ci siamo impegnati a cambiarlo, ma sono gli altri a non volerlo cambiare... Sconvocata anche l’assemblea del gruppo Pd prevista per il tardo pomeriggio: “Bene – dice Speranza guardando il telefonino – così stasera si va a cena”. L’assemblea è convocata per mercoledì alle 15. Un’ora prima del voto delle mozioni. Così, tanto per essere sicuri del dibattito zero. Brunetta, dritto al punto, come al solito: “Dopo il rinvio della Corte il dibattito è una inutile perdita di tempo. Se ne parlerà dopo il referendum”. Domanda. A che è serve allora tutto questa fatica di mozioni, dibattiti voto? Chiediamolo ad Arturo Scotto, il capogruppo di Sinistra Italia, che ha fatto iniziare l’effetto domino delle mozioni: “Rivendico l’iniziativa perché fa vedere come Renzi gioca a nascondino o, se preferite, a poker bluffando. Perché non bastano impegni generici a cambiare la legge elettorale, come forse scriveranno nella mozione. Bisogna dire come, dove e quando. Altrimenti è un bluff...”. Ecco.
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