La
comunità scientifica ritiene inequivocabile l’attuale surriscaldamento
globale del pianeta e considera elevata la probabilità che nei prossimi
decenni il pianeta debba fronteggiare cambiamenti climatici, originati
dalle attività umane, molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi
che abitano il pianeta. Conseguenze rilevanti potranno riguardare la
produzione alimentare e, con essa, la sicurezza alimentare.
Innanzitutto, alcune brevi
considerazioni sul surriscaldamento globale, che è determinato
dall’accumulo nell’atmosfera di alcuni gas che hanno la capacità di
trattenere parte della radiazione infrarossa emanata dalla Terra:
l’alterazione del bilancio energetico terrestre determina l’aumento
delle temperature globali, da cui i cambiamenti del clima.
Numerosi sono i rapporti scientifici sul
tema e sulla sua prevalente origine antropica. Rimanendo ai documenti
più recenti, è possibile citare il “Quinto rapporto di valutazione” dell’Intergovernmental Panel on Climate Change,
l’organismo ONU che periodicamente effettua una sintesi della
letteratura scientifica disponibile, cui hanno collaborato migliaia di
scienziati. Il primo volume
– che sintetizza il risultato di centinaia di simulazioni modellistiche
sulle proiezioni delle temperature nei prossimi secoli, realizzate da
numerosi gruppi di ricerca in tutto il mondo – mostra come, in assenza
di consistenti riduzioni delle emissioni, già a fine secolo l’aumento
delle temperature medie globali rispetto al periodo preindustriale
raggiungerà i 3 – 4°C, e proseguirà ulteriormente nei secoli successivi.
Impegni decisi e immediati di riduzione
delle emissioni potrebbero permettere di limitare l’aumento delle
temperature globali a meno di 2°C rispetto ai livelli preindustriali,
ossia un aumento di poco più di 1°C rispetto ai livelli attuali. Va
ricordato che questi aumenti riguardano le temperature medie globali,
ossia, si riferiscono alla media delle superfici terrestri e marine. Su
aree più limitate, o in singole stagioni, gli aumenti possono essere
maggiori o minori, perché il riscaldamento non sarà uniforme: è
probabile che sarà maggiore sulle terre emerse rispetto agli oceani, ai
poli, e nelle regioni aride.
Mentre l’aumento delle emissioni dell’anidride carbonica (CO2),
il più importante fra i gas climalteranti è causato quasi interamente
dall’uso di combustibili fossili e dai cambiamenti di uso del suolo (es.
deforestazione), gli altri due principali gas serra, metano (CH4) e protossido di azoto (N2O),
sono generati principalmente dalle attività agricole (in particolare,
dalle culture di riso) e zootecniche (quest’ultime fonte soprattutto di
CH4). CH4 e N2O sono gas climalteranti
più potenti dell’anidride carbonica nel surriscaldare il pianeta, ma
hanno un tempo di residenza in atmosfera molto inferiore. Per questo, il
contributo della produzione di cibo alle emissioni di gas serra è più
importante nel breve periodo, mentre nel lungo periodo le emissioni di
CO2 derivanti dalla combustione di prodotti fossili rappresentano il cuore del problema.
L’agricoltura e la produzione di cibo
sono intrinsecamente sensibili alla variabilità e ai cambiamenti del
clima, sia che dipendano da cause naturali o da attività umana. Molti
studi disponibili hanno delineato probabili influenze dirette dei
cambiamenti climatici sulle coltivazioni per la produzione di cibo, di
foraggio o di mangimi, nonché altri impatti indiretti sullo stato di
salute del bestiame, sul commercio di cibo e dei generi alimentari.
Sulla questione ritorna utile il già citato Quinto Rapporto dell’IPCC il
quale, nel capitolo 7 del secondo volume
presenta una rassegna accurata ed estesa (circa 600 riferimenti
bibliografici) di quanto è apparso nella letteratura scientifica sui
temi degli impatti sulla produzione di cibo derivanti dai cambiamenti
climatici, delle possibilità di adattamento e della vulnerabilità delle
diverse aree. Secondo l’IPCC, gli effetti dei cambiamenti climatici
sulle colture e la produzione alimentare sarebbero evidenti, con
“elevata confidenza scientifica”, in diverse regioni del mondo. In
particolare, eventi estremi quali ondate di calore, siccità,
inondazioni, nubifragi e incendi boschivi hanno già prodotto impatti sia
diretti, sulle condizioni di vita, sulla riduzione delle rese agricole,
sulla distruzione di abitazioni e infrastrutture, sia indiretti, in
termini di aumento dei prezzi alimentari e di insicurezza alimentare.
L’United Nations’ Food and Agricultural Organization (FAO) definisce la sicurezza alimentare come una situazione “che
esiste quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico,
sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente, che
soddisfi le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una
vita attiva e sana” (FAO, 1996). I cambiamenti climatici potrebbero
avere effetti diretti e indiretti su tutte e quattro le dimensioni
della sicurezza alimentare definite dalla FAO:
- la disponibilità di quantità sufficienti di cibo di qualità adeguata, attraverso la produzione nazionale o l’importazione di derrate alimentari;
- l’accesso a risorse adeguate per l’acquisizione di alimenti appropriati per una dieta nutriente, in termini sia economici (potere d’acquisto) sia di diritti tradizionali di utilizzo di risorse comuni;
- l’utilizzo del cibo attraverso una dieta adeguata, acqua potabile, servizi igienico-sanitari e di assistenza sanitaria per raggiungere uno stato di benessere nutrizionale in cui siano soddisfatte tutte le esigenze fisiologiche;
- la stabilità, ossia la capacità di superare crisi che possono portare una popolazione, una famiglia o singoli individui a perdere più o meno temporaneamente l’accesso ad un’alimentazione adeguata.
Numerosi sono gli studi che hanno
stimato l’impatto dei cambiamenti climatici già avvenuti sulla
produzione globale di cibo. Rimandando ad analisi più approfondite (per
una rassegna degli studi disponibili si veda, ad esempio, Caserini S., Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare, Ingegneria dell’Ambiente, vol. 2, n.1 o alcuni casi di studio raccontati su Climalteranti.it),
ci si limita a ricordare come, secondo numerosi studi, i recenti
andamenti climatici abbiano influenzato negativamente la produzione di
grano, mais e riso in molte regioni, mentre le variazioni sono meno
rilevanti nel caso della soia. Benché l’aumento delle concentrazioni di
CO2 e delle temperature possa in linea di principio favorire
le produzioni agricole alle alte latitudini, secondo l’IPCC gli impatti
negativi sulle coltivazioni sono stati a scala globale più comuni di
quelli positivi.
L’utilizzo del cibo necessario per
raggiungere un benessere nutrizionale dipende dall’acqua e dall’igiene.
Questi elementi sono influenzati dai cambiamenti climatici: l’assetto
delle risorse idriche, infatti, dipende dalla frequenza di eventi
meteorologici estremi, i quali rappresentano la causa principale nel
determinare inondazioni o siccità, in particolare in ambienti dove già è
carente o assente una sana igienizzazione.
L’agricoltura non è solo una fonte di
cibo, ma anche un’importante fonte di reddito. In un mondo in cui il
commercio è agevole, la questione cruciale per la sicurezza alimentare
non è se il cibo è “disponibile”, ma se le risorse monetarie e non
monetarie a disposizione della popolazione sono sufficienti per
consentire a tutti l’accesso a un’adeguata quantità di cibo.
L’autosufficienza alimentare di una nazione non è né necessaria né
sufficiente per garantire la sicurezza alimentare a livello individuale.
Numerose linee di evidenza mostrano la
serietà della minaccia che i cambiamenti climatici attesi per i prossimi
decenni pongono alla stabilità del sistema alimentare mondiale, a causa
della crescente domanda di cibo per sfamare una popolazione in continua
crescita e della variabilità a breve termine dell’offerta di cibo;
inoltre, il clima è un importante fattore nel determinare le tendenze
dei prezzi delle derrate alimentari, come pure la variabilità a breve
termine dei prezzi stessi.
Gli impatti potenziali sono meno chiari a
scala regionale, ma è probabile che la variabilità e il cambiamento del
clima potranno esacerbare l’insicurezza alimentare in zone già
attualmente a rischio di fame e malnutrizione. L’accesso e l’utilizzo di
cibo saranno influenzati indirettamente dagli effetti collaterali sui
redditi individuali e delle famiglie, dalla perdita di accesso ad acqua
potabile e dai danni alla salute.
Sono, quindi, di fondamentale e
strategica importanza le azioni di adattamento, in particolare per i
produttori più a basso reddito e più vulnerabili ai cambiamenti
climatici, per la loro limitata capacità di investire in pratiche e
tecnologie innovative in grado di affrontare le mutate condizioni
climatiche e per un quadro istituzionale più carente.
In un contesto di crescente competizione
per la terra, l’acqua e l’energia, è necessaria e possibile la sinergia
fra le azioni per la sicurezza alimentare e quelle per l’adattamento ai
cambiamenti climatici inevitabili, per la “mitigazione” (la riduzione
delle emissioni di gas serra) e più in generale per contenere l’impatto
del sistema alimentare sull’ambiente e la biodiversità. Questo
richiederà un notevole sforzo a diversi livelli, a partire da una
strategia globale multidisciplinare, che non abbia come unico obiettivo
semplicemente quello di massimizzare la produttività, ma sia in grado di
valutare con attenzione la distribuzione dei costi e dei benefici delle
scelte che saranno compiute e i vantaggi che la protezione del clima e
delle biodiversità avranno per le generazioni future.
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