venerdì 15 aprile 2016

"Voterò sì turandomi il naso". La battaglia dentro il Pd di Rossi, il più pericoloso degli anti-Renzi

controlacrisiAutore: Francesco Marchetti
"Voterò sì, turandomi il naso". E poi: "Bisogna tutelare sia gli interessi nazionali che i posti di lavoro. Ma questo non si può fare assegnando concessioni sine die".
Lo ha detto il governatore della Toscana, Enrico Rossi, riguardo al referendum sulle trivelle. Una dichiarazione che, com’era forse nelle sue intenzioni, ha rinfocolato lo scontro con il premier Matteo Renzi, che invece ha invitato la gente a disertare le urne: "Io non voterò, spero che il referendum fallisca".


Lo scontro tra Rossi e Renzi è per la segreteria nazionale del Pd e il terreno privilegiato, manco a dirlo, è la Toscana, essendo entrambi toscani. Ed ex sindaci. Con una differenza, però: l’ex boy-scout di Rignano è stato primo cittadino di Firenze, una grande città, mentre l’attuale presidente della Regione Toscana lo è stato di Pontedera, una piccola città operaia, che non a caso, però, lui ha scelto per annunciare la sua scesa in campo.
Le vicende toscane sono strettamente intrecciate a quelle nazionali e il controllo del Pd toscano è imprescindibile per dare la scalata al Nazareno. Rossi lo sa bene e sa anche che la partita che sta giocando Renzi è molto rischiosa, nel senso che il premier, se non vuole implodere, almeno una poltrona, tra la segreteria del Pd e Palazzo Chigi, dovrà lasciarla. Prima delle dichiarazioni sul referendum del 17 aprile, anche per far presa sul potenziale elettorato delle primarie e di sinistra, Rossi ha attaccato l’intra-moenia dei medici, ossia le attività libero-professionali che i medici dipendenti del settore pubblico possono svolgere all’interno del servizio sanitario nazionale. "Non si può aprire bottega nel servizio pubblico", ha tuonato. E poi ha proposto di abolire queste attività, scatenando l’ira del responsabile nazionale della Sanità del Pd, Federico Gelli, deputato di Pisa, che lo ha tacciato di demagogia: "Non saprei come altro commentare le sue parole se non usando il termine demagogia".
Rossi sa bene che la strada è in salita e che la partita, ormai aperta, ha una qualche possibilità di successo solo se riesce a differenziarsi da Renzi. Ma sa anche che deve trovare alleati, dentro e fuori il partito, a cominciare dalla Regione che guida, dove non pochi sono i consiglieri schierati con Renzi, come gli emergenti Leonardo Marras, Giacomo Bugliani, Antonio Mazzeo e Monia Monia, anche se non mancano neppure quelli che, all’occorrenza, sarebbero con lui. Prova ne che due consigliere, Alessandra Nardini e Serena Spinelli, si sono apertamente dichiarate per il "si" al referendum sulle trivelle, mentre Andrea Pieroni, che ha annunciato il "no", ha affermato che "incoraggiare l’astensionismo è un’operazione inopportuna e un po’ furbesca".
Ma soprattutto, in Regione, Rossi sembra avere contro il presidente dell’Assemblea, Eugenio Giani, che fu presidente del Consiglio comunale di Firenze quando Renzi era sindaco. Giani passa per essere un renziano della prima ora, tanto che anche lui snobberà il referendum. E tanto che, infischiandosene di quanto Rossi in quei giorni chiedeva pubblicamente ai vertici del partito, ovvero prendere le distanze da Denis Verdini, ha affidato la responsabilità dell’Ufficio stampa a una giornalista già in servizio in Consiglio, Camilla Marotti, ex caposervizio del verdiniano Giornale della Toscana, considerata vicina al banchiere di Campi Bisenzio. Tuttavia, al di là delle apparenze, nella realtà le cose stanno in un modo un po’ diverso. E’ vero che Giani è schierato con Renzi e non con Rossi. Ma, a ben vedere, più che renziano, Giani è un "gianiano", un uomo che porta avanti una sua linea politica e suoi obiettivi, tra cui quello di diventare sindaco di Firenze. Ex socialista, il consenso che ha è frutto di rapporti personali e dell’iper-presenzialismo. Tiene molto all’immagine. Non si può permettere, dunque, di sporcarla. Così, tanto per rimanere a Verdini, se la situazione penale di quest’ultimo dovesse peggiorare, Giani non avrebbe difficoltà, con le conseguenze del caso, a dissociare il suo nome da quello dell’ex delfino di Silvio Berlusconi, che da quando è uscito da Forza Italia e ha dato vita al gruppo Liberalpopolare, appena serve, corre in soccorso di Renzi.
Rossi aspetta l’esito del referendum e può nel frattempo dire di avere dalla sua degli alleati importanti, inaspettati, dentro il Pd. Sul referendum sulle trivelle, ad esempio, ha incontrato il governatore della Puglia, Michele Emiliano, il candidato a sindaco di Roma, Roberto Giachetti, ed ultimamente anche il presidente della Sicilia, Rosario Crocetta, che ha detto che andrà a votare. Il tutto con la "benedizione", seppure indiretta, del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi, secondo cui "esprimere il voto significa essere pienamente cittadini". Una dichiarazione, quella di Grossi, che ha smosso molte coscienze anche nel Pd e ha fatto capire che Rossi, se si batte per rianimare la partecipazione dei cittadini e non per affossarla, non è isolato e può contribuire a costruire "qualcosa di sinistra", dentro o fuori il Pd

Nessun commento:

Posta un commento