controlacrisiAutore:
Francesco Marchetti
"Voterò
sì, turandomi il naso". E poi: "Bisogna tutelare sia gli interessi
nazionali che i posti di lavoro. Ma questo non si può fare assegnando
concessioni sine die".
Lo ha detto il governatore della Toscana,
Enrico Rossi, riguardo al referendum sulle trivelle. Una dichiarazione
che, com’era forse nelle sue intenzioni, ha rinfocolato lo scontro con
il premier Matteo Renzi, che invece ha invitato la gente a disertare le
urne: "Io non voterò, spero che il referendum fallisca".
Lo scontro
tra Rossi e Renzi è per la segreteria nazionale del Pd e il terreno
privilegiato, manco a dirlo, è la Toscana, essendo entrambi toscani. Ed
ex sindaci. Con una differenza, però: l’ex boy-scout di Rignano è stato
primo cittadino di Firenze, una grande città, mentre l’attuale
presidente della Regione Toscana lo è stato di Pontedera, una piccola
città operaia, che non a caso, però, lui ha scelto per annunciare la sua
scesa in campo.
Le vicende toscane sono strettamente intrecciate a
quelle nazionali e il controllo del Pd toscano è imprescindibile per
dare la scalata al Nazareno. Rossi lo sa bene e sa anche che la partita
che sta giocando Renzi è molto rischiosa, nel senso che il premier, se
non vuole implodere, almeno una poltrona, tra la segreteria del Pd e
Palazzo Chigi, dovrà lasciarla. Prima delle dichiarazioni sul referendum
del 17 aprile, anche per far presa sul potenziale elettorato delle
primarie e di sinistra, Rossi ha attaccato l’intra-moenia dei medici,
ossia le attività libero-professionali che i medici dipendenti del
settore pubblico possono svolgere all’interno del servizio sanitario
nazionale. "Non si può aprire bottega nel servizio pubblico", ha
tuonato. E poi ha proposto di abolire queste attività, scatenando l’ira
del responsabile nazionale della Sanità del Pd, Federico Gelli, deputato
di Pisa, che lo ha tacciato di demagogia: "Non saprei come altro
commentare le sue parole se non usando il termine demagogia".
Rossi
sa bene che la strada è in salita e che la partita, ormai aperta, ha una
qualche possibilità di successo solo se riesce a differenziarsi da
Renzi. Ma sa anche che deve trovare alleati, dentro e fuori il partito, a
cominciare dalla Regione che guida, dove non pochi sono i consiglieri
schierati con Renzi, come gli emergenti Leonardo Marras, Giacomo
Bugliani, Antonio Mazzeo e Monia Monia, anche se non mancano neppure
quelli che, all’occorrenza, sarebbero con lui. Prova ne che due
consigliere, Alessandra Nardini e Serena Spinelli, si sono apertamente
dichiarate per il "si" al referendum sulle trivelle, mentre Andrea
Pieroni, che ha annunciato il "no", ha affermato che "incoraggiare
l’astensionismo è un’operazione inopportuna e un po’ furbesca".
Ma
soprattutto, in Regione, Rossi sembra avere contro il presidente
dell’Assemblea, Eugenio Giani, che fu presidente del Consiglio comunale
di Firenze quando Renzi era sindaco. Giani passa per essere un renziano
della prima ora, tanto che anche lui snobberà il referendum. E tanto
che, infischiandosene di quanto Rossi in quei giorni chiedeva
pubblicamente ai vertici del partito, ovvero prendere le distanze da
Denis Verdini, ha affidato la responsabilità dell’Ufficio stampa a una
giornalista già in servizio in Consiglio, Camilla Marotti, ex
caposervizio del verdiniano Giornale della Toscana, considerata vicina
al banchiere di Campi Bisenzio. Tuttavia, al di là delle apparenze,
nella realtà le cose stanno in un modo un po’ diverso. E’ vero che Giani
è schierato con Renzi e non con Rossi. Ma, a ben vedere, più che
renziano, Giani è un "gianiano", un uomo che porta avanti una sua linea
politica e suoi obiettivi, tra cui quello di diventare sindaco di
Firenze. Ex socialista, il consenso che ha è frutto di rapporti
personali e dell’iper-presenzialismo. Tiene molto all’immagine. Non si
può permettere, dunque, di sporcarla. Così, tanto per rimanere a
Verdini, se la situazione penale di quest’ultimo dovesse peggiorare,
Giani non avrebbe difficoltà, con le conseguenze del caso, a dissociare
il suo nome da quello dell’ex delfino di Silvio Berlusconi, che da
quando è uscito da Forza Italia e ha dato vita al gruppo
Liberalpopolare, appena serve, corre in soccorso di Renzi.
Rossi
aspetta l’esito del referendum e può nel frattempo dire di avere dalla
sua degli alleati importanti, inaspettati, dentro il Pd. Sul referendum
sulle trivelle, ad esempio, ha incontrato il governatore della Puglia,
Michele Emiliano, il candidato a sindaco di Roma, Roberto Giachetti, ed
ultimamente anche il presidente della Sicilia, Rosario Crocetta, che ha
detto che andrà a votare. Il tutto con la "benedizione", seppure
indiretta, del presidente della Corte Costituzionale, Paolo Grossi,
secondo cui "esprimere il voto significa essere pienamente cittadini".
Una dichiarazione, quella di Grossi, che ha smosso molte coscienze anche
nel Pd e ha fatto capire che Rossi, se si batte per rianimare la
partecipazione dei cittadini e non per affossarla, non è isolato e può
contribuire a costruire "qualcosa di sinistra", dentro o fuori il Pd
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venerdì 15 aprile 2016
"Voterò sì turandomi il naso". La battaglia dentro il Pd di Rossi, il più pericoloso degli anti-Renzi
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