“Ha fatto più Marchionne per l’Italia che certi sindacalisti”: questa frase pronunciata da Matteo Renzi alla cosiddetta scuola di partito del PD non può essere lasciata sotto silenzio e merita un commento perché costituisce la testimonianza di una vera e propria collocazione di fronte (un tempo si sarebbe detto “dall’altra parte della barricata”) già evidente da tempo ma che molti si rifiutano di riconoscere.
Questa frase contiene tre elementi da sottolineare: il primo riguarda l’ennesimo attacco ai corpi intermedi, in questo caso il sindacato, usando termini classici del populismo; certo che l’operato di determinati sindacalisti è da censurare e che il sindacato nel suo insieme, almeno in Italia, ha smarrito il senso complessivo della lotta di classe ma l’obiettivo di Renzi è ben altro, è quello di confondere artatamente questo dato esprimendo, invece, l’esaltazione di un meccanismo di vera e propria delega al padrone della rappresentanza stessa del lavoro. Attenzione del lavoro in quanto tale, non del mondo del lavoro.
Il secondo elemento riguarda ancora una volta la vena populistico – nazionalista che pervade il modello comunicativo del Presidente del Consiglio e Segretario del PD e che appare permeare una parte maggioritaria di quel partito: un nazionalismo di lega molto bassa, “fare per l’Italia” quasi un accento dannunziano invece della necessità di affrontare il senso collettivo dello stare assieme nell’operare in funzione del lavoro come leva di un modello di sviluppo.
Si tratta di un tema di fondo che non può essere affrontato in questa sede con compiutezza ma soltanto accennato ma che si lega, pericolosamente, proprio al punto della delega al padrone, addirittura in senso nazionalista, del tema proprio del lavoro.
Terzo punto quello dell’esaltazione appunto di chi (personalizzando per di più) fa dell’intensificazione dello sfruttamento l’ideologia per il rovesciamento della condizione di classe: proprio la lotta di classe portata avanti dall’alto, com’è avvenuto nel corso di questi anni imponendo un pauroso arretramento nell’insieme delle dinamiche sociali.
Renzi nega, come da sempre, l’idea stessa del lavoro come valore e come capitale sociale dichiarando l’impossibilità di un riscatto che serva per operare nuovi livelli di dignità collettiva nella convivenza sociale.
Una frase di stampo esclusivamente reazionario che indica con chiarezza una collocazione prima di tutto ideale che politica.
Stare dalla parte dei padroni: un tassello fondamentale nella costruzione di un regime personalistico e autoritario, ben sorretto dai potentati economici.
Si potrà ancora disvelare appieno il grande inganno nel quale è avviluppata la vicenda italiana di questo scorcio di secolo?
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