Sono 13mila e lavorano nei campi per dieci, dodici ore al giorno. Ricattati dai caporali e con paghe che raggiungono a malapena i 400 euro al mese. Ora, dopo il suicidio di un ragazzo di 24anni, chiedono giustizia. E una legge contro il lavoro nero che li protegga davvero.
Chiedono diritti, dignità e legalità e sono scesi in piazza a Latina. Sono i circa 9mila lavoratori indiani che lavorano nell'Agro Pontino e che con il loro lavoro nei campi assicurano frutta e verdura ai mercati romani. "Siamo al limite della dignità umana ed è ora di aprire una vertenza su questa situazione" spiega Giuseppe Cappucci, segretario generale della Flai Cgil di Roma e del Lazio. "Questi lavoratori sono impegnati a testa bassa sui campi per dieci, dodici ore al giorno ma ricevono buste paga da appena quattrocento euro perchè vengono dichiarate 14 giornate per 3,5 euro l'ora. In barba a tutti i contratti. Vivono in una condizione di ricatto che si riflette sulla necessità di avere rinnovato il permesso di soggiorno, con l'aggravante che a fine anno devono versare al datore i lavoro il 50 per cento dei contributi utili ad accedere alla disoccupazione agricola".La comunità indiana della provicia di Latina, che sfiora le tredicimila unità, in alcune aree rappresenta il 90 per cento della forza lavoro. Questa nuova classe operaia che dagli anni '80 si è insediata a sud di Roma esce finalmente allo scoperto con uno sciopero pubblico e le prime denunce alla Procura sulle condizioni di sfruttamento in cui è costretta a vivere, sui ricatti e le minacce quotidiane. Nel rapporto Agromafie è ben spiegato che fin dal momento dell'ingresso in Italia gli indiani sono alla mercè di sfruttatori che procurano un visto di ingresso, alla cui scadenza si apre una 'contrattazione' per poter accedere ad un permesso di soggiorno.
"E' un meccanismo che si è innescato con la Bossi – Fini, perchè consegna i lavoratori nelle mani dei propri datori di lavoro" si legge nel rapporto. E infatti, il sindacato del comparto agricolo della Cgil è attualmente parte civile in un processo che vede schierati 31 indiani contro cinque imprenditori italiani che a vario titolo avrebbero architettato un meccanismo di falsificazione dei permessi di soggiorno, attraverso false denunce all'ufficio del lavoro.
Senza contare che ad accendere la protesta è stata la tragica vicenda di un giovane indiano di 24 anni che all'inizio di aprile si è tolto la vita, forse schiacciato dal peso di una vita che non era degna di essere chiamata tale. I suoi compagni di casa lo hanno trovato impiccato con il filo dell'antenna tv nella sua abitazione. Come molti immigrati, anche gli indiani sono arrivati in Italia sperando in un riscatto ed invece sono finiti prede di caporali e aguzzini. Ma qualcuno non ce la fa a sostenere la fatica di questo fallimento, di una vita in mano ai trafficanti.
A questo punto c'è da chiedersi che fine abbiano fatto le misure contro il Caporalato annunciate dal Ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, dopo le tragiche morti dell'anno scorso in Puglia. A fare il punto è proprio il Segretario della Flai Cappucci. "Il nostro governo avezzo ai decreti legge, stavolta ha scelto un disegno di legge che è ancora fermo. Una vergogna". E aggiunge: "Vogliamo chiedere alla Regione Lazio di avviare l'iter di una proposta di legge contro il lavoro nero in agricoltura e in edilizia che è fermo in commissione. Inoltre, con la Regione si apre anche un altro discorso legato all'erogazione dei fondi comunitari. E' necessario introdurre dei criteri di esclusione per l'assegnazione del denaro pubblico, sennò rischiamo di finanziare, come succede ora, chi fa dello sfruttamento e dell'illegalità un elemento di business a danno degli imprenditori onesti".
Nessun commento:
Posta un commento