Ma a riaprire davvero la partita, stimolando i partiti d'opposizione a impegnarsi di più per il raggiungimento del quorum e per una vittoria del Sì (e dunque a spingere verso le urne molti cittadini finora disinformati/disattenti) potrebbe essere la riaccensione del dibattito interno al Pd. La miccia è già stata accesa dalle dichiarazioni di vari esponenti della minoranza, ma soprattutto da Pierluigi Bersani, il quale ha messo senza esitazioni il dito sulla piaga. In una recente intervista, infatti,ha accusato il Pd di Renzi di aver "allestito davanti al paese un conflitto tra energia e ambiente che è roba di venti e più anni fa", mentre un dibattito autentico e non strumentale potrebbe mettere in luce quanto "il rapporto energia-ambiente possa essere fertile sul piano dell'innovazione" e portare dunque ad "un compromesso in avanti" nel disegnare un diverso modello di sviluppo. Perché questo, proprio questo, dovrebbe essere il tema-chiave della querelle referendaria, il terreno di confronto/scontro tra i due opposti schieramenti: la qualità dello sviluppo. Ovvero, per dirla nei termini cari ad Alex Langer, la mente più alta e nobile dell'ambientalismo europeo, la conversazione ecologica dell'economia e dalla società. Concetto cardine enunciato da Langer nei suoi scritti già nel 1992/94, asse portante della cultura ambientalista e verde e che oggi ritorna, certo non a caso, nella enciclica "Laudato sii" di papa Bergoglio.
Come in una matriosca, infatti, dentro al quesito del referendum (un quesito minore, come sappiamo, che riguarda la durata delle concessioni) sono 'infilati' l'uno dentro l'altro quesiti di ben maggior peso, che vanno 'estratti' a uno a uno e illustrati all'opinione pubblica.
Il primo e più importante, lo ripeto, è appunto la conversione ecologica: che si dovrebbe tradurre in un 'matrimonio' tra economia ed ecologia, nell'integrazione tra le dimensioni economiche, sociali e ambientali e dunque nella possibilità di mettere insieme le ragioni del lavoro e le ragioni dell'ambiente. Utopia verde?Nient'affatto. Questa nuova cultura già permea gli strati più innovativi della nostra società e già si traduce in esperienze concrete: 'punti luce' che ancora non fanno costellazione,ma che pur brillano,anche se tra difficoltà e contraddizioni che non vanno sottovalutate (rimando per i dati e gli esempi al ritratto di questa 'nuova Italia' tracciato dal recente rapporto Symbola).
Ma c'è di più: il cambiamento climatico, altro grande assente dal dibattito referendario, impone questo cambio di rotta, come è stato da tutti riconosciuto alla COP21 di Parigi. Il fatto che i passati mesi di gennaio e febbraio siano stati i più caldi dal 1880, data in cui sono iniziate le registrazioni, dovrebbe convincere anche i più scettici che la transizione dai combustibili fossili responsabili delle emissioni di gas serra all'efficienza energetica e alle rinnovabili è una sfida epocale che non possiamo non affrontare. E che potrebbe rivelarsi una grande opportunità per dare fiato ad un diverso modello di sviluppo e di occupazione. Già oggi il settore delle rinnovabili occupa decine di migliaia di addetti: il solo comparto biogas e metano, secondo Legambiente, che attualmente copre il 7% dei consumi con 5000 occupati, potrebbe soddisfare il 13% del fabbisogno, ovvero quattro volte la quantità di gas estratto dalle piattaforme oggetto del referendum, dando lavoro a 12mila addetti (mentre i lavoratori delle piattaforme sono circa tremila).
Ma dentro la matrioska del referendum ci sono altri temi, finora non sufficientemente esaminati, che andrebbero portati alla luce: la conversione ecologica, infatti, richiede un salto culturale, un balzo in avanti della coscienza collettiva che non potrà avvenire se le questioni di fondo della campagna referendaria vengono oscurate o non ben chiarite,come è successo finora.
La partecipazione democratica rischia di restare di facciata: "Se non so che c'è questo appuntamento e qual è la vera posta in gioco, come posso esprimere la mia opinione? È una questione di democrazia!" polemizza Sergio Bellucci, esperto di comunicazione ed economia della conoscenza, promotore di una petizione su charge.org,che ha già raccolto più di 40.000 firme e che denuncia l'oscuramento del referendum da parte di governo, istituzioni e gran parte dei media.
Last but not least, proprio sul fronte istituzionale, il referendum 'contiene' il confronto tra stato-regioni: il fatto che i promotori e fautori del Sì non siano solo i soliti ambientalisti e No-TRIV, ma ben nove regioni (sia pure con tentennamenti e defezioni dell'ultima ora) allude,come ha ben notato Michele Ainis, a "uno scontro tra poteri ancor prima che tra partiti e movimenti". Insomma, il dibattito che languiva nell'ombra e che sembrava interessare solo una minoranza del paese, potrebbe ravvivarsi assai e trascinare alle urne (e speriamo ad una vittoria dei Sì) schiere ben più ampie di quelle finora previste. E, cosa ancor più importante, indirizzare finalmente l'attenzione sulle questioni chiave, sempre più urgenti, della conversione ecologica.
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