In mancanza di informazioni strutturate, di documenti
scritti e di progetti espliciti, si deve necessariamente lavorare sugli
indizi. Un metodo che vale per chiunque indaghi la realtà, non solo per
“gli inquirenti” pagati dallo stato.
Indizi che valgono quanto i puntini su un foglio di carta, che ad un certo punto possono essere collegati tracciando delle linee fino a restituire una forma riconoscibile.
Indizi che valgono quanto i puntini su un foglio di carta, che ad un certo punto possono essere collegati tracciando delle linee fino a restituire una forma riconoscibile.
Conflitto. Prendiamo l’esempio della Val Susa (anche se il discorso non riguarda ovviamente solo il Movimento No Tav). Qui la repressione si manifesta sempre più spesso non solo con arresti, fermi, perquisizioni arbitrarie, controllo asfissiante del territorio e della popolazione, ma con sanzioni economiche pesantissime. Alcuni rappresentati noti del movimento si son visti recapitare ordinanze di risarcimento per decine o centinaia di migliaia di euro. Cifre che preludono esplicitamente al sequestro delle case di proprietà (per chi le ha, e del resto il 70% circa della popolazione risiede in case di proprietà, quindi questo “possedere” non implica alcun privilegio o status da classe “superiore”). Fin qui il movimento è stato capace di reperire le risorse per far fronte anche su questo versante, ma è chiara l’indicazione dell’esproprio e della riduzione in miseria come punizione per gli attivisti. E sul lungo periodo è intuitivo comprendere che le difficoltà di questo tipo potrebbero diventare insuperabili per chiunque faccia politica antagonista.
Spazi sociali. L’esempio di Roma sotto il prefetto commissario Tronca è praticamente un format. Tutta una serie di associazioni, collettivi, organizzazioni sociali, centri culturali, a prescindere completamente dalla loro “qualità antagonista”, si sono visti presentare ordinanze di chiusura anche in presenza di delibere “storiche” che assegnavano loro determinati spazi a un canone “sociale”, ovviamente commisurato a delle attività senza fini di lucro o commerciali. Per rimanere aperti ed attivi questi organismi dovrebbero ora pagare affitti “di mercato”, ricalcolati retroattivamente. In pratica, centinaia di migliaia di euro, in alcuni casi addirittura milioni. Anche su questo fronte, dunque, c’è una evidente intenzione di impedire per via economica qualsiasi attività politico-culturale che non sia perfettamente allineata con il potere dominante.
Se gli unici indizi fossero solo quelli fin qui elencati, non potremmo trarne conclusioni politiche generali. Sarebbero solo uno strumento repressivo in più, fetido perché nasconde il manganello sotto le ragioni “obiettive” del mercato, subdolo perché prova a spazzar via una costellazione di soggettività politico-sociali senza neanche dover ricorrere a una legislazione apposita. Ma nulla di più.
E invece sta maturando qualcosa di ancora più indicativo.
Legge sui partiti e primarie obbigatorie. C’è un disegno di legge presentato dal Pd che sintetizza al meglio la direzione di marcia. Ma lasciamo volentieri la parola al confindustriale Sole24Ore per la presentazione:
I Cofferati e (forse) i Bassolino non ci saranno più. Il Pd ci prova a mettere ordine nel caos primarie con una proposta di legge illustrata ieri dal renzianissimo Andrea Marcucci, autore della proposta assieme al senatore Mirabelli e ai deputati Fanucci e Parrini. «Il presupposto che le primarie le rispetti solo se le vinci non va più bene», spiega Marcucci facendo intendere qual è il dente che più duole al Pd. Lo strumento trovato è questo: all’atto della presentazione della candidatura occorrerà presentare una cauzione che non verrà restituita in caso di non accettazione delle regole e dei risultati.
In pratica: se vuoi concorrere, accetti di perdere qualsiasi sia la quantità di brogli che verranno riscontrati da tutti ma non dalla commissione elettorale del partito, altrimenti non ti ridiamo i soldi della cauzione. La quale – in assenza per ora di cifre nero su bianco – sarà presumibilmente abbastanza alta da rendere quella perdita insopportabile per lo sventurato trombato alle primarie col trucco.
Ok, direte voi, cavoli del Pd e di chi sarà così matto da candidarsi contro Renzi e i suoi protetti, che porteranno certamente ai gazebo orde di migranti bisognosi di qualche spicciolo, malavitosi ed esponenenti della destra (come quelli filmati a Napoli), truppe cammellate di varia estrazione (magari orfane di Buzzi e Carminati).
E invece no, sono cavoli di chiunque d’ora in avanti voglia far politica normale, partecipando – addirittura! – alle elezioni di vario livello.
“… la proposta è ben strutturata e si ispira all’esempio americano, a cominciare dal fatto che si prevede un giorno unico per i “gazebo” di tutti i partiti per un costo di 15 milioni di euro per un periodo di 3 anni. Costo sostenuto da un fondo pubblico ad hoc (da qui la facile critica dei grillini, che accusano il Pd di volersi fare le sue primarie con i soldi dei contribuenti). Nella proposta di legge sono previste primarie per tutte le cariche monocratiche elettive (sindaci, presidenti di regioni, sindaci metropolitani) e le stesse regole possono essere adottate anche per la scelta del leader di partito che per quanto riguarda il Pd diventa automaticamente candidato premier alle elezioni politiche. Naturalmente le primarie non sono imposte. Ma è prevista una sanzione non indifferente per i partiti che decidono di non ricorrervi: la perdita dell’accesso al meccanismo del 2 per mille e agli sgravi fiscali previsti dalla legge sul finanziamento dei partiti.
Insomma, diventerebbero obbligatorie nei fatti. Manca, nella presentazione del testo, una descrizione del metodo da usare (solo per gli iscritti a quel partito? Oppure aperte a tutti con la certezza che arriverebbero ai seggi tutte quelle truppe cammellate che votano il candidato più comodo per il governo?).
Vero è che, nel disegno di legge, si prevede che le primarie debbano svolgersi tutte nello stesso giorno, ma chi può impedire a un branco di “elettori” che abbia appena votato in piazza Duomo per un partito di passare in San Babila per votarne un altro? E il riscontro incrociato tra i votanti per i vari partiti, da chi verrebbe effettuato? E in quanto tempo? E come si potrebbero distinguere, una volta registrati come voti validi, le preferenze “incongrue” depositate da gente che non avrebbe avuto diritto a votare?
Ma queste sono preoccupazioni in fondo quasi secondarie. Il tema principale è il taglio dei fondi – perdita dell’accesso al 2 per mille e agli sgravi fiscali – per tutti quei partiti che dovessero scegliere il proprio candidato senza farselo selezionare dall’avversario (com’è avvenuto con Paita, Valente, Sala e soprattutto con lo stesso Renzi). Insomma, senza primarie “aperte”.
In pratica, alla fine di questa corsa, l’intento è chiaro: possono sopravvivere solo i comitati elettorali (chiamarli partiti pare ormai davvero un insulto) con alle spalle poteri economici che si possono permettere di investire qualche milione o più per conquistare una poltrona. Da cui ovviamente trarre, con gli interessi, la cifra spesa per conquistarla. Altro che “rottamazione dei professionisti della politica” (peraltro già avvenuta…), qui si spalancano le porte ai professionisti della rapina delle risorse pubbliche! Anzi. L’accesso alla “politica” resterebbe permesso soltanto a loro.
Ma se persino al livello della “politica normale” il criterio del censo diventa l’unico parametro effettivo, allora dovrebbe esser chiaro per tutti che quel “prendere per fame” movimenti e soggetti politici d’opposizione è, nella testa del Pd – ovvero della classe dirigente incistata nel peggiore affarismo clientelare e legittimata dall’Unione Europea -, un progetto di desertificazione politica totale. Un fascismo senza marcette militari, eja eja alalà e olio di ricino, forse. Ma altrettanto pezzente, nauseabondo e criminogeno.
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