Invidia o compassione? Meraviglia o scetticismo? Speranza o diffidenza? Certo, ricordando le parole di Charles Péguy, secondo il quale "se c'è qualcosa di peggio di avere un animo malvagio è d'aver un animo assuefatto" e risfogliando a mente le 60 paginette di quel grande libro di Stéphane Hessel Indignatevi!, non possiamo non sorprenderci di meraviglia e sperare che finalmente, in questa generale, grigia assuefazione che addormenta gli animi sopendo ogni ardire, ci si risvegli ai grandi ardimenti per una nuova narrazione.
Da più parti, in questi ultimi anni, si è puntato il dito contro l'omologazione cui ci costringe il processo di globalizzazione in atto, globalizzazione che altro non è se non un vero e proprio processo di colonizzazione. Secondo Umberto Galimberti, nell'attuale società tecnicamente complessa e pubblicitariamente invasiva, a noi, singoli cittadini, spesso sfugge lo scopo delle nostre azioni, mentre ci viene richiesta solo la "semplice esecuzione", e aggiunge: "ciò che si richiede è solo la responsabilità della buona esecuzione, non le responsabilità dello scopo. Ora privare un'attività del suo scopo significa privare chi vi prende parte di un vero rapporto con il futuro, e senza futuro l'agire si muove in quell'orizzonte senza tempo che lo trasforma in un fare senza senso, pura risposta alle richieste dell'apparato, non dissimile dalla rigida risposta che ogni animale dà agli stimoli che provengono dal suo ambiente". (Cfr: I vizi capitali e i nuovi vizi; pag.76).
Non possiamo, in questa sede, non ricordare il forte monito di papa Francesco contro l'indifferenza: "Non cadiamo nell'indifferenza che umilia, nell'abitudinarietà che anestetizza l'animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell'amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l'ipocrisia e l'egoismo" (Misericordiae vultus; n.15).
Se non vogliamo restare stritolati da questo litotritore di una società schiava del mercato, dobbiamo riscoprire la virtù della disobbedienza e la bellezza della contestazione e ritrovare il coraggio di dire NO!
NO all' asservaggio della politica all'economia!
NO alla brutalità di una finanza che satolla i pochi e lascia a bocca asciutta i molti!
NO alla follia delle cose inutili che ci vengono imposte come necessarie!
NO all'invasione della burocrazia nella nostra vita quotidiana!.
NO all'idea che si possano accettare come normali le guerre, la fame, la schiavitù infantile!
NO al ritorno dei muri e delle cortine di ferro!
NO ad una globalizzazione che libera i capitali e i delinquenti che li trafficano e imprigiona le persone!
NO!
"C'è un bisogno enorme di tornare a pronunciare quella parola. E invece ne siamo incapaci», diceva George Steiner in una intervista concessa a Franco Marcoaldi e pubblicata su La Repubblica del 5 Novembre 2009.
E aggiungeva: "Mi creda, sono sgomento di fronte all'acquiescenza di tante persone per bene, trasformate in campioni di fatalismo. Che dichiarano apertamente il loro scetticismo in ordine all'inutilità della protesta, quasi che protestare fosse diventato imbarazzante. Ma le personalità più grandi del nostro tempo, i Nelson Mandela, i Vaclav Havel, non hanno mai provato questo tipo di imbarazzo. Purtroppo la famiglia e la scuola, per non parlare dell'intero sistema mediatico, inoculano sistematicamente tale virus. Ci predispongono al più totale conformismo. Per questo è fondamentale riabituarsi alla resistenza contro i falsi idoli del nostro tempo. A partire da quello principale: il denaro. Anzi, il fascismo del denaro".
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