All’indomani
dell’incontro Diem 25 del 23 marzo scorso all’Acquario Romano diverse
sono state le reazioni/risposte dei gruppi, delle testate e anche delle
singole persone, alla proposta di quell’incontro. Questa lettera aperta”
e critica, così ben strutturata da l’opportunità a noi iscritte della
prima ora di Diem 25 come semplici attiviste e all’occorrenza volontarie
in questa nuova e necessaria esperienza politica, di dire alcune cose
utili alla discussione e nel frattempo di segnalare qualcuna delle
risposte/reazioni di cui sopra (leggi qui).
Tutto
questo ci conferma qual’ è che secondo noi è la condizione contestuale
italiana in cui è avvenuto l’incontro del 23 marzo : che la situazione
sociale è acerba e che la condizione politica di base è di diffidenza e
scarsa formazione in rapporto alla dimensione europea e ciò che essa
realmente potrebbe significare.
Tre sono le questioni che ci coinvolgono di più nella “lettera aperta” :
- partire dall’incontro di Roma senza fare una valutazione sul pregresso è per noi riduttivo. Per quanto ogni incontro/evento politico possa essere il primo passo dare avvio a una proposta/processo politico-organizzativo, c’è un percorso alle spalle che l’ha reso possibile . E dunque ricordiamo non solo il 9 febbraio a Berlino, ma anche i due appuntamenti a Parigi e Madrid per “Un piano B per l’Europa”, che si sono incrociati con l’avvento di Diem 25. E ancora, vogliamo dire che era chiaro anche a noi, semplici attiviste e un po’ marginali dalla politica ( sia quella del grass-roots per non parlare del mainstream) , che all’indomani della cosiddetta “crisi greca” e delle dimissioni di Varoufakis sarebbe assolutamente successo qualcosa, come finalità e risultato dell’instancabile lavoro di Yanis Varoufakis di rendere conto delle sua esperienza reale con l’Eurogruppo e la Troika non solo al popolo da cui aveva avuto mandato ma a tutti coloro che avevano orecchie per ascoltarlo;
- valutare il rapporto tra dimensione nazionale e dimensione sovranazionale facendo una comparazione con la situazione del Sudamerica è improprio. Sul piano storico, si tratta di popoli che non hanno una cultura politica da stato-nazione, ma hanno subito quello che in Occidente va sotto il nome tristemente famoso di balcanizzazione o più classicamente divide et impera , uno dei più raffinati prodotti della nostra cultura occidentale. Per i popoli dell’area che ancora viene chiamata America Latina – ma si tratta di un nome coloniale! - è così dal 1492, con un processo di espropriazione che ha consentito al capitalismo ciò che per i marxisti – ma non solo! - va sotto il nome di accumulazione originaria, con un sistema molto più veloce delle progressive enclosures che avanzavano in Europa Occidentale: non a caso la Bolivia del Buen Vivir ha avuto bisogno di istituire, sin dal primo governo di Morales, un Ministro dell’acqua, - all’epoca Mamani - uno dei primi a visitare l’Italia (e Roma, e il modo in cui fu accolto la dice lunga su quanto (non ) avevamo capito già da allora). Tutto questo a testimonianza della necessità di riconquista di una sovranità popolare per il paese non solo sulla moneta e sulle istituzioni politiche ma persino sulle fonti dei beni primari, riconquista di una sovranità che era stata espropriata con mezzi violenti, con l’egemonia di un’unica moneta che rappresentava un unico paese, gli Stati Uniti, e l’esclusione di fatto dall’utilizzo delle fonti di grandi masse di popolazioni. L’attuale cambiamento di rotta nell’assetto economico dei paesi del Sudamerica è passato attraverso un cambiamento di paradigma : le istituzioni sovranazionali della nuove era si basano e si muovono su principi di sussidiarietà e riconoscimento della interdipendenza , l’esatto opposto della concorrenzialità e della dipendenza che genera ii dualismo sviluppo-sottosviluppo; - sottacere la portata culturale e antropologica che sta alla base della costruzione dell’identità nazionale confondendole con le astratte ragioni di natura psicoanalitica ci sembra una svista di una certa gravità : pensiamo infatti che in Italia in particolare – ma non solo – non ci sia alcun quadro politico in grado di misurarsi con una dimensione di internazionalismo dei popoli. Anche per la migliore sinistra ci sembra che il profilo non si sia mai discostato da quello di invocare una più giusta politica estera. Ed è per questo che alcuni degli elementi del Manifesto Diem 25 generano una reazione di una certa resistenza. Dovremmo invece essere consapevoli che storicamente non abbiamo una reale esperienza di “stare al mondo “ con uno sguardo diverso dal nazional-popolare, al di là della solidarietà e degli scambi culturali – valori e processi di grande importanza , certo! -. L’esperienza greca è, in un certo senso, uno specchio di tutto questo , a volte uno specchio capovolto . Tutto questo è il risultato di un processo di formazione del nostro modo di essere cittadini che è fortemente identitario in senso nazional-popolare : patriarcato/patria/stato-nazione, da qualsiasi sponda ideologica la si guardi , e che diventa il bene-rifugio per ogni soggetto che si senta abbandonato e/o assediato - dalle banche, dagli immigrati e rifugiati, dallo stato stesso…da Equitalia… - . E dunque il bene rifugio fa da base alla vecchia buona arma , quella che ha aperto il fuoco sui fronti di guerra costruiti ad hoc in Europa ed Eurasia nell’ultimo quarto di secolo.
Le rivoluzioni politiche sono introdotte da una sensazione sempre più forte, spesso avvertita solo da un settore della società, che le istituzioni esistenti hanno cessato di costituire una risposta adeguata ai problemi posti a una situazione che esse stesse hanno in parte contribuito a creare. In una maniera più o meno identica le rivoluzioni scientifiche sono introdotte da una sensazione crescente, anche questa volta avvertito da un settore ristretto della comunità scientifica, che un paradigma esistente ha cessato di funzionare adeguatamente nell'esplorazione di un aspetto della natura verso il quale quello stesso paradigma aveva precedentemente spianato la strada. Sia nello sviluppo sociale che in quello scientifico, la sensazione di cattivo funzionamento che può portare ad una crisi è un requisito preliminare di ogni rivoluzione .
( Thomas Kuhn, The structure of scientific revolution)
In questo caos paradigmatico, come dice Thomas Kuhn (che è una aggiornamento molto convincente dell’assunto gramsciano “ quando il vecchio è morto e il nuovo non può nascere”), una delle cose migliori che possiamo fare è provare a far funzionare quella proposta di infrastruttura che Yanis Varoufakis offre come “ indicazione di una forma” ( a chi chiede “quale organizzazione”?), che ci consente ora, subito ( perché abbiamo anche un problema di tempi… il Carpe Diem non è solo una felice coincidenza della lingua!), di cercarci, di connetterci, di tenerci insieme, di contarci e contare l’uno sull’altra e viceversa , e infine di riflettere quello che siamo e su ciò che abbiamo .
Per concludere, qualche riga su Yanis Varoufakis e sul motivo per cui non pensiamo di dovergli rivolgere alcuna domanda sulla provenienza della proposta e del progetto, (che comunque ci sembrano in itinere) : abbiamo visto una persona, a un metro di distanza da noi, durante l’incontro del 23 marzo, che cambiava voce sguardo per rispondere alle domande sulla sua esperienza con la Troika e l’Eurogruppo, l’unico momento in cui ha concesso a sé stesso di andare oltre il tempo contingentato del suo intervento; segnale, per noi, che quella sua particolare esperienza ha formato l’uomo politico che è oggi e che gli ha suggerito di non “tornarsene a casa”. In un’epoca che dura da troppo tempo e in cui l’umanità ha perso il contatto con la possibilità di fondare la politica su esperienze autentiche e che ci implicano profondamente, questa di Diem 25 ci sembra una grande opportunità di riavvicinamento a un ”noi stessi” che, almeno nella politica, non riusciamo a trovare più. Pensiamo dunque che questa sia una grande occasione di condivisione e formazione, e non solo di riscatto da una condizione .
Tre sono le questioni che ci coinvolgono di più nella “lettera aperta” :
- partire dall’incontro di Roma senza fare una valutazione sul pregresso è per noi riduttivo. Per quanto ogni incontro/evento politico possa essere il primo passo dare avvio a una proposta/processo politico-organizzativo, c’è un percorso alle spalle che l’ha reso possibile . E dunque ricordiamo non solo il 9 febbraio a Berlino, ma anche i due appuntamenti a Parigi e Madrid per “Un piano B per l’Europa”, che si sono incrociati con l’avvento di Diem 25. E ancora, vogliamo dire che era chiaro anche a noi, semplici attiviste e un po’ marginali dalla politica ( sia quella del grass-roots per non parlare del mainstream) , che all’indomani della cosiddetta “crisi greca” e delle dimissioni di Varoufakis sarebbe assolutamente successo qualcosa, come finalità e risultato dell’instancabile lavoro di Yanis Varoufakis di rendere conto delle sua esperienza reale con l’Eurogruppo e la Troika non solo al popolo da cui aveva avuto mandato ma a tutti coloro che avevano orecchie per ascoltarlo;
- valutare il rapporto tra dimensione nazionale e dimensione sovranazionale facendo una comparazione con la situazione del Sudamerica è improprio. Sul piano storico, si tratta di popoli che non hanno una cultura politica da stato-nazione, ma hanno subito quello che in Occidente va sotto il nome tristemente famoso di balcanizzazione o più classicamente divide et impera , uno dei più raffinati prodotti della nostra cultura occidentale. Per i popoli dell’area che ancora viene chiamata America Latina – ma si tratta di un nome coloniale! - è così dal 1492, con un processo di espropriazione che ha consentito al capitalismo ciò che per i marxisti – ma non solo! - va sotto il nome di accumulazione originaria, con un sistema molto più veloce delle progressive enclosures che avanzavano in Europa Occidentale: non a caso la Bolivia del Buen Vivir ha avuto bisogno di istituire, sin dal primo governo di Morales, un Ministro dell’acqua, - all’epoca Mamani - uno dei primi a visitare l’Italia (e Roma, e il modo in cui fu accolto la dice lunga su quanto (non ) avevamo capito già da allora). Tutto questo a testimonianza della necessità di riconquista di una sovranità popolare per il paese non solo sulla moneta e sulle istituzioni politiche ma persino sulle fonti dei beni primari, riconquista di una sovranità che era stata espropriata con mezzi violenti, con l’egemonia di un’unica moneta che rappresentava un unico paese, gli Stati Uniti, e l’esclusione di fatto dall’utilizzo delle fonti di grandi masse di popolazioni. L’attuale cambiamento di rotta nell’assetto economico dei paesi del Sudamerica è passato attraverso un cambiamento di paradigma : le istituzioni sovranazionali della nuove era si basano e si muovono su principi di sussidiarietà e riconoscimento della interdipendenza , l’esatto opposto della concorrenzialità e della dipendenza che genera ii dualismo sviluppo-sottosviluppo; - sottacere la portata culturale e antropologica che sta alla base della costruzione dell’identità nazionale confondendole con le astratte ragioni di natura psicoanalitica ci sembra una svista di una certa gravità : pensiamo infatti che in Italia in particolare – ma non solo – non ci sia alcun quadro politico in grado di misurarsi con una dimensione di internazionalismo dei popoli. Anche per la migliore sinistra ci sembra che il profilo non si sia mai discostato da quello di invocare una più giusta politica estera. Ed è per questo che alcuni degli elementi del Manifesto Diem 25 generano una reazione di una certa resistenza. Dovremmo invece essere consapevoli che storicamente non abbiamo una reale esperienza di “stare al mondo “ con uno sguardo diverso dal nazional-popolare, al di là della solidarietà e degli scambi culturali – valori e processi di grande importanza , certo! -. L’esperienza greca è, in un certo senso, uno specchio di tutto questo , a volte uno specchio capovolto . Tutto questo è il risultato di un processo di formazione del nostro modo di essere cittadini che è fortemente identitario in senso nazional-popolare : patriarcato/patria/stato-nazione, da qualsiasi sponda ideologica la si guardi , e che diventa il bene-rifugio per ogni soggetto che si senta abbandonato e/o assediato - dalle banche, dagli immigrati e rifugiati, dallo stato stesso…da Equitalia… - . E dunque il bene rifugio fa da base alla vecchia buona arma , quella che ha aperto il fuoco sui fronti di guerra costruiti ad hoc in Europa ed Eurasia nell’ultimo quarto di secolo.
Le rivoluzioni politiche sono introdotte da una sensazione sempre più forte, spesso avvertita solo da un settore della società, che le istituzioni esistenti hanno cessato di costituire una risposta adeguata ai problemi posti a una situazione che esse stesse hanno in parte contribuito a creare. In una maniera più o meno identica le rivoluzioni scientifiche sono introdotte da una sensazione crescente, anche questa volta avvertito da un settore ristretto della comunità scientifica, che un paradigma esistente ha cessato di funzionare adeguatamente nell'esplorazione di un aspetto della natura verso il quale quello stesso paradigma aveva precedentemente spianato la strada. Sia nello sviluppo sociale che in quello scientifico, la sensazione di cattivo funzionamento che può portare ad una crisi è un requisito preliminare di ogni rivoluzione .
( Thomas Kuhn, The structure of scientific revolution)
In questo caos paradigmatico, come dice Thomas Kuhn (che è una aggiornamento molto convincente dell’assunto gramsciano “ quando il vecchio è morto e il nuovo non può nascere”), una delle cose migliori che possiamo fare è provare a far funzionare quella proposta di infrastruttura che Yanis Varoufakis offre come “ indicazione di una forma” ( a chi chiede “quale organizzazione”?), che ci consente ora, subito ( perché abbiamo anche un problema di tempi… il Carpe Diem non è solo una felice coincidenza della lingua!), di cercarci, di connetterci, di tenerci insieme, di contarci e contare l’uno sull’altra e viceversa , e infine di riflettere quello che siamo e su ciò che abbiamo .
Per concludere, qualche riga su Yanis Varoufakis e sul motivo per cui non pensiamo di dovergli rivolgere alcuna domanda sulla provenienza della proposta e del progetto, (che comunque ci sembrano in itinere) : abbiamo visto una persona, a un metro di distanza da noi, durante l’incontro del 23 marzo, che cambiava voce sguardo per rispondere alle domande sulla sua esperienza con la Troika e l’Eurogruppo, l’unico momento in cui ha concesso a sé stesso di andare oltre il tempo contingentato del suo intervento; segnale, per noi, che quella sua particolare esperienza ha formato l’uomo politico che è oggi e che gli ha suggerito di non “tornarsene a casa”. In un’epoca che dura da troppo tempo e in cui l’umanità ha perso il contatto con la possibilità di fondare la politica su esperienze autentiche e che ci implicano profondamente, questa di Diem 25 ci sembra una grande opportunità di riavvicinamento a un ”noi stessi” che, almeno nella politica, non riusciamo a trovare più. Pensiamo dunque che questa sia una grande occasione di condivisione e formazione, e non solo di riscatto da una condizione .
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