mercoledì 27 febbraio 2013

Krugman commenta le elezioni: Austerity all’italiana

Due mesi fa, quando Mario Monti si è dimesso dalla carica di Capo del Governo Italiano, il giornale “The Economist” ha espresso l’opinione che la “prossima campagna elettorale sarà soprattutto un test sulla maturità e sul realismo degli elettori italiani”. Presumibilmente questa azione matura e realistica avrebbe dovuto portare al ritorno di Monti, che è stato essenzialmente imposto all’Italia dai suoi creditori, al ruolo di Capo del Governo, questa volta con un reale mandato popolare.

di Paul Krugman - International Herald Tribune, The GlobalEdition of the New York Times 27 febbraio, pagina 6.
Non sembra che le cose siano andate per questo verso. Il partito di Monti é arrivato quarto, non solo arrivando dietro l’essenzialmente comico Silvio Berlusconi, ma anche dietro al vero comico Beppe Grillo, la cui mancanza di una piattaforma coerente non gli ha impedito di diventare una forza politica poderosa.
Si è aperta una prospettiva fuori dall’ordinario, che ha diffuso nel mondo molti commenti sulla cultura politica italiana. Ma senza voler difendere le politiche del bunga bunga, lasciatemi porre la domanda più ovvia. Che bene ha esattamente fatto il realismo maturo all’Italia ed all’Europa intera?
In effetti Monti è stato il proconsole insediato dalla Germania per realizzare l’austerità fiscale in una economia già in difficoltà; la volontà di perseguirla senza limiti è ciò che i circoli politici europei definiscono come rispettabilità. Posizione che sarebbe stata corretta, se queste politiche avessero potuto funzionare, cosa che non è avvenuta. E, ben lungi dal sembrare realisti e maturi, coloro che invocano ancora l’austerità appaiono petulanti e fallimentari.

Consideriamo come avrebbero dovuto funzionare le cose fino a questo punto. Quando l’Europa si è infatuata per l’austerità, i membri della Commissione Europea hanno respinto le preoccupazioni che il taglio drastico della spesa e l’aumento delle tasse avrebbe approfondito la depressione di economie già in difficoltà. Al contrario, essi hanno insistito che queste politiche avrebbero rinforzato l’economia “ispirando la fiducia”.

Ma la fata della fiducia non si è fatta vedere. Le nazioni a cui è stata imposta una dura austerità stanno attraversando profonde crisi economiche; maggiore l’austerità, maggiore la depressione. Questa relazione è stata così forte che anche il Fondo Monetario Internazionale, in un forte mea culpa, ha ammesso che è stato sottovalutato il danno che l’austerità avrebbe prodotto. Nel frattempo, l’austerità non ha neppure raggiunto l’obiettivo minimo di ridurre il costo del debito. Al contrario, i paesi che hanno intrapreso politiche di dura austerità hanno visto aumentare il rapporto del debito pubblico sul Prodotto Interno Lordo, poiché la contrazione delle loro economie ha sopravanzato ogni riduzione degli interessi sul debito. E poiché le politiche di austerità non sono state compensate da una politica di espansione perseguita altrove, l’economia europea nel suo insieme, che non ha mai recuperato dal crollo del 2008-2009, è caduta in una recessione con tassi di disoccupazione in rapida crescita. L’unica buona notizia è che il mercato dei interessi sul debito pubblico si è calmato, largamente grazie alla proclamata volontà della Banca Centrale europea di comprare debito pubblico qualora si fosse reso necessario. Come risultato, il crollo finanziario che avrebbe distrutto l’euro è stato sventato. Ma quale freddo conforto per i milioni di europei che hanno nel frattempo perso il loro lavoro e nutrono scarse speranze di trovarne uno nuovo.

Dato tutto questo, ci si sarebbe aspettati un qualche ripensamento da parte dei gruppi dirigenti europei, qualche sprazzo di flessibilità. Invece i principali responsabili di questa politica sono diventati ancor più insistenti nel dire che l’austerità è l’unica via perseguibile.

Perciò nel gennaio 2011 Olli Rehn, vicepresidente della Commissione Europea, ha lodato i programmi di austerità di Grecia, Spagna e Portogallo e predetto che il programma Greco in particolare avrebbe dato “risultati duraturi”. Da allora i tassi di disoccupazione si sono impennati in tutti e tre i paesi, ma nel dicembre del 2012, il Sig. Rehn ha pubblicato un editoriale dal titolo “L’Europa deve proseguire con le politiche di austerità” . E’ la risposta del Sig. Rehn a coloro che mostrano che gli effetti negativi dell’austerità sono stati molto più ampi di quanto atteso è stata di inviare una lettera ai Ministri delle Finanze dei Paesi EU e al FMI in cui dichiara che queste segnalazioni sono pericolose perché rischiano di “erodere la fiducia”.

Quest’altra considerazione ci porta all’Italia, una nazione che, a causa di tutte le sue disfunzioni, ha subito una politica di sostanziale austerità, e visto la sua economia contrarsi rapidamente come risultato di queste scelte.

Gli osservatori esteri sono terrorizzati dal voto italiano, ed a ragione; anche se l’incubo di un ritorno di Berlusconi al potere non si è materializzato, il forte risultato di Grillo o di entrambi potrebbe destabilizzare non solo l’Italia, ma l’Europa intera. Ma dovranno ricordarsi che l’Italia non è unica: politici discutibili potrebbero avere successo in tutta Europa meridionale. E la ragione per cui questo sta avvenendo é che la rispettabile Europa non vuole ammettere che le politiche che ha imposto ai suoi debitori sono un fallimento disastroso. Se non saranno cambiate, il voto Italiano sarà solo un assaggio di una ulteriore pericolosa radicalizzazione.

Traduzione dall'inglese a cura di Giacomo Comi

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